29 febbraio 2012

Le mie ricette - Mela cotta, ubriaca


Strana ricetta, direte voi.

Sono d'accordo, ma vedetela come una ricetta terapeutica e seguitemi nel ragionamento: in ospedale la mela cotta non manca mai; quando avete mal di gola o tosse, il miele nel latte caldo è una panacea; quando siete reduci da un forte spavento o da un calo di pressione, un goccettino di Rhum vi tira su. 


In questa ricetta ci sono tutti questi ingredienti, per cui, di fatto, è un rimedio universale contro i mali.

Ingredienti
  1. Mele
  2. Miele
  3. Rhum
  4. Chiodi di garofano (uno per mela)
  5. Un pizzico di cannella
  6. Un po' di scorzetta di limone (solo la parte gialla)
Prendete le mele e, con l'attrezzino per svuotare le verdure (o per togliere i torsoli), procedendo con cautela per non forare del tutto la mela, fate una sorta di trivellazione partendo dall'alto.

Aiutandovi con un coltellino, rimuovete la parte di mela trivellata (con pazienza e delicatezza).

Nel foro mettete: un chiodo di garofano; un pizzico di cannella; del miele fino ad arrivare a due terzi del foro e, infine, un po' di Rhum (buono, non quegli intrugli da pasticceria). Competate con una scorzetta di limone inserita nel foro.

Mettete le mele sulla teglia ed infornate a 160° per un'oretta.

Fate intiepidire e guarnite con il poco liquido che sarà uscito dalle mele (una sorta di sciroppo) e con un po' di zucchero macinato grosso (in qualche supermercato si trovano delle boccette, tipo quelle delle spezie, con dentro zucchero aromatizzato con cannella, cioccolato o altro).

Mangiatele e vi sentirete subito meglio (forse).

Il pelato è morto. Lunga vita al pelato !


In origine fu il pelato. Null’altro. Punto.

Poi tutto cambiò e ciò che era non fu più.

Prima arrivò la “passata” che, al dispetto del nome, non passò e si radicò invece sulle tavole degli italiani. Forte dell’inatteso successo, generò anche figli e figliastri e così fummo invasi dalla “passata rustica”, da quella “contadina”, della “nonna”, de zio, de mi cugino, e via così...

Il pelato, però, non rimase con le mani in mano e tentò una timida reazione, proponendosi come “polpa”, “pezzettoni”, “pezzettini”, “un po’ l’uno e un po’ l’altro”,...

La guerra era oramai palese;  al pomodoro cominciarono ad aggiungersi basilico, olive, prezzemolo ed erbe magiche.

Il controllo era oramai perso. Sughi pronti, solo da scaldare, nemmeno da scaldare, nemmeno da stappare la bottiglia...tra un po’, forse, arriveranno i sughi con già dentro la pasta e con un cameriere liofilizzato che, non appena la stappi, ti serve direttamente la pasta nel piatto. Puro orrore !

E’ il pelato ? Il pelato, forse spaesato, sta sempre li. Non muore, resiste indomito, certo di una prossima rivincita che, personalmente, l’avrete oramai capito, sostengo con ferma convinzione.

Il pelato ha la “forma” del pomodoro e c’è poco da inventarsi. Tutto il resto da cosa proviene ? Dal pelato, tagliato, pigiato, spremuto, ma sempre dal pelato. E magari dal pelato di seconda, terza scelta; quello caduto dalla pianta, dal camion che lo portava, passato sotto uno schiacciasassi, Chissà...

Vogliamo la passata ? Compriamoci i pelati e li frulliano. Vogliamo i pezzettoni ? Compriamoci i pelati e li tagliamo. Vogliamo i filetti di pomodoro ? Compriamoci i pelati e li sfilettiamo.

Non ci serve altro. Aripunto.

Meglio del pelato c’è solo il San Marzano fresco, che però si trova solo nelle stagioni giuste e, poi, lo dovete pelare, dovete toglierne i semi...insomma, un lavoraccio.

E allora, recuperiamo ciò che fu e, per fortuna, ancora è. Pelato Uber Alles! Tutto il resto è noia, come ci ha insegnato Califano.

27 febbraio 2012

Grosse e di silicone ? Si, grazie !


A me piacciono grosse, ma non troppo, e di silicone. Strano direte voi, eppure al tatto sono perfette, lisce, da tenere in mano; quando le stringi rispondono alla pressione, riducendosi nella misura; quando le lasci ritornano rapidamente alla loro forma originale.

Fredde o calde a seconda della situazione. Che idea fantastica il silicone ! Peraltro adesso le trovi ovunque, e non hanno più quel non so che di elitario che avevano anni fa.

Silicone a buon mercato, ecco la vera rivoluzione nel campo delle te...glie !

Cari amici, soprattutto maschietti, so di deludervi, ma oggi parleremo di teglie, pentole e casseruole, per cui rimettete dentro la lingua, asciugatevi quel filetto di bava che già cominciava a scendere e concentratevi, perchè semmai vi incontrerò, una bella interrogazione non ve la leverà nessuno.

Tanto per cominciare da qualche parte, allora, partiamo appunto dal silicone, oramai sdoganato e perfetto per stampi e teglie, soprattutto per le preparazioni in pasticceria.

Il grosso vantaggio del silicone è la sua praticità:
  • resiste a temperature da -40° a +280°, per cui passa con disinvoltura dal freezer al forno senza bisogno di acclimatamento;
  • si può piegare e arrotolare per cui, volendo, potete mettervi una teglia in tasca e, benché non abbia idea a cosa ciò possa servire, potrete stupire a amici e parenti tirando fuori dalla tasca la teglia invece che un mazzo di carte o un coniglio;
  • non deve essere unta (a parte al primo utilizzo);
  • consente di estrarre il contenuto in modo molto più semplice delle teglie tradizionali, dove a volte si è costretti a fare veri e propri arrangiamenti acustici, nel tentativo, con sapienti colpetti, di scollare la torta, i muffin, o il soufflè;
Insomma, il silicone è fico e va pure di moda, per cui compratevi qualche teglia ed un paio di stampi. Ne sarete fieri e vi potrete anche bullare con gli amici.

Per quanto riguarda invece il pentolame, vi ricordo che la scelta del materiale segue un solo criterio: la conducibilità termica: ogni piatto, buono o cattivo che sia, deve cuocere in modo uniforme, con il calore che raggiunge ogni parte del cibo e con una temperatura idealmente costante su tutta la superficIe.

Per capire di cosa sto parlando, prendete una di quelle padelle anti-aderenti che trovate nei supermecati al prezzo di cinque-euro-e-vi-prendete-tutta-la-batteria, riempitela d’acqua e mettetela sul fuoco più grande che avete ed alzate la fiamma al massimo. Poi, anzichè vedervi un bel film in TV, piazzatevi davanti all’acqua ed aspettate trepidanti che questa raggiunga il bollore. Vi accorgerete, se sarete ancora svegli, che le bollicine cominceranno a partire dal fondo, proprio in corrispondenza della fiamma, mentre tutto intorno regnerà una quiete quasi assoluta. Tutto ciò accade perchè lo spessore della padella è tale da non garantire una degna conducibilità, per cui il calore cala drasticamente tanto più ci si allontana dalla fiamma.

Fieri di come sarete da questo esperimento in stile Piccolo Chimico, vi ricordo allora che i metalli che garantiscono la più alta conducibilità termica sono, in ordine descrescente: argento; rame e alluminio

L’acciaio stà più in giù, con una conducibilità che è quasi 4 volte minore di quella dell’alluminio (il mistero delle pentole di acciaio lo sveleremo più avanti).

Ora, l’argento lo possiamo scartare (a meno che non decidiate di fondere tutta l’argenteria di famiglia per farci la super-padella); il rame, anche se va di moda, costa un fottìo, per cui a meno che non siate avvezzi al furto dei cavi dell’alta tenione dei treni, direi che lo possiamo mettere anch’esso da parte (inoltre il pentolame di rame richiede una manutenzione non da poco).

Resta l’alluminio, ottimo conduttore, ma con un difetto: si macchia e si scurisce e, a volte, trasmette colori strani anche al cibo, soprattuto quando la padella è nuova (non fate mai una besciamella in un pentolino di alluminio). L’unico vero uso che vedo in un bel padellone in alluminio e quello di farci “saltare” la pasta per armonizzarla con il suo condimento.

La soluzione ? Padelle e pentole di alluminio con rivestimento anti-aderente di ottima qualità, quindi pesanti e spesse e non tipo ostia come quelle che si trovano nelle ceste dei supermercati. Il mio suggerimento è di fare un piccolo investimento, soprattuto per le padelle, e comprarsene una serie di vari diametri, dai 36 cm in giù.

In aggiunta alle padelle tradizionali, pendetevi anche un Wok di qualità. Al di là dell’uso nella cucina orientale, è perfetto per friggere (la friggitrice elettrica va benissimo per le patatine, ma provate a friggerci, ad esempio, qualcosa con la pastella e vi troverete ad invocare i Santi).

Per le pentole si può andare sull’acciaio, facendo però attenzione a prendere quelle di qualità, che hanno sempre un fondo molto spesso, per il semplice motivo che, in esso, nascondono un disco di alluminio per diffondere meglio il calore (ecco svelato il mistero dell’acciaio di cui parlavo prima). L’esempio tipico di pentola in acciaio ben fatta è la pentola a pressione, che può essere utilizzata, senza il suo coperchio, come una normale pentola.

Anche per le pentole vale la pena prendere tre, massimo quattro, di varie dimensioni.

Rimangono materiali esotici e tecnologici, come le padelle rivestite in ceramica, tanto di moda oggi, ma che non capisco quale valore aggiunto diano, dato che sono comunque in alluminio ed il rivestimento in ceramica non è anti-aderente come lo è quello in Teflon. In altre parole, se proprio le volete comprare, fatene un uso alternativo alle farfalle: “Vuoi salire a vedere la mia collezione di pentole in ceramica ?”.

La nonna non ce ne vorrà male, ma anche i bei pentoloni in coccio mostrano il segno degli anni. Sono, è vero, bei conduttori, ma sono delicatissimi e le brusche variazioni di temperatura possono essere fatali. Il mio suggerimento è averne giusto un paio, non per cuocere, ma per portarle in tavola con una bella zuppa dentro.

26 febbraio 2012

Le mie ricette - Polpettine di baccalà e pistacchi, pastellate al curry


Ingredienti (per una quindicina di polpettine)
  1. Circa 700 grammi di baccalà già bagnato
  2. Un po' più di mezza bustina di pistacchi (quelli non salati, ovviamente)
  3. Un uovo
  4. Curry (secondo il gusto)
  5. Circa 150 cl di panna liquida (panna fresca, per carità)
  6. Un quarto di cipolla
  7. Un po' di burro
  8. Farina
  9. Olio per friggere
  10. Olio extra-vergine di oliva
  11. Odori
  12. Mezzo bicchiere di vino bianco
  13. Sale e pepe
Dato che il baccalà deve essere ben asciutto, potete lessarlo anche la sera prima o, comunque, almeno 3/4 ore prima della preparazione.

Mettete sul fuoco una casseruola con l'acqua e gli odori (mezza carota, mezza costa di sedano e mezza cipolla), un po' di sale grosso e il mezzo bicchiere di vino bianco.

Portate a bollore e quindi metteteci il baccalà tagliato a pezzi. Calcolate 20 minuti (da subito, senza aspettare il bollore). Spegnete e mettete il baccalà a scolare in uno scolapasta per il tempo detto in precedenza (almeno 3/4 ore).

Tanto che aspettate, preparate la salsa al curry: tritate finemente la cipolla e mettetela in un pentolino con un po' di burro e fatela appassire a fuoco basso (appassire significa che deve diventare quasi una poltiglia, senza però prendere colore). Aggiungete il mezzo cucchiaino di farina e, meglio se con una piccola frusta, incorporatela al burro e alla cipolla.

Aggiungete la panna liquida ed il curry (a seconda del vostro gusto, ma comunque almeno 3 cucchiaini) e, sempre con la frusta (avrete oramai capito che ve la dovete comprare, prima o poi) amalgamate ben il tutto e, sempre girando, cuocete sino a quando la salsa comincerà a rapprendersi. Salatela e spegnete il fuoco.

Prendete due terzi dei pistacchi e tritateli nel mixer ad alta velocità (quello che si usa per caffè, parmigiano, frutta secca, ecc. -anche qui, avrete capito, che anche 'sto mixer deve entrare negli acquisti obbligati) fino a ridurli in polvere.

Mettete il baccalà nel mixer (qui, invece, serve il classico robot da cucina, per cui, considerando tutto quello che vi serve, cominciate a scrivere la letterina a Babbo Natale) e fate andare alla massima velocità sino a quando il tutto sarà quasi una crema. 



A quel punto aggiungete i pistacchi ridotti in polvere, quelli rimasti ancora interi, un filo d'olio extra-vergine e, se serve, un po' di sale. Fate andare ancora il mixer in modo che i pistacchi interi si rompano un pochino (ma non troppo, si devono poter "trovare" dentro alle polpettine).

Travasate l'impasto in una terrina ed aggiungeteci un uovo sbattuto.

Preparate la pastella con la farina (qui dovete essere bravi ed andare ad occhio), un paio di cucchiaini di curry, sale e pepe ed acqua quanto basta ad ottenere una pastella piuttosto densa (altrimenti scivolerà via dalle polpettine). 



Sull'acqua da usare per la pastella ci sono diverse scuole di pensiero; io uso quella gassata ma, volendo, potete usare acqua qualsiasi e, se volete un retrogusto particolare, anche la birra.

Con l'impasto di baccalà, formate delle polpettine (2,5 cm di diametro).

Prendete una padella per friggere (io uso un wok), metteteci l'olio (oliva - che però ha un sapore molto deciso e, quindi, potrebbe non piacere o, in alternativa, olio di semi d'arachidi, che ha il più alto punto di fumo tra gli oli di semi - state alla larga dalle taniche di "olio per friggere").

Portate l'olio alla temperatura giusta (160°, da misurare con apposito termometro, che mettere anch'esso nella letterina) e friggete le polpettine che, ovviamente, avrete prima passato nella pastella. Friggetene poche alla volta, altrimenti la temperatura dell'olio scende e, inoltre, le polpettine si potrebbero attaccare fra di loro.

Scolatele e fate asciugare su carta da cucina o per friggere.

Impiattate come preferite, disponendo un po' di salsa al curry vicino alle polpettine.

Di corsa in tavola e on lasciatene neanche una.

Le mie ricette - Riso Thai con gamberoni e fragole


Ingredienti (più o meno per 4 porzioni)
  1. 20 gamberoni freschissimi (qui quelli surgelati proprio non vanno)
  2. 180 gr. di riso Basmati
  3. 5 fragole (più qualcuna per la guarnizione, se volete)
  4. Due dita di vino bianco
  5. Olio extra-vergine di oliva
  6. Sale e pepe
Pulite i gamberoni, mettendo le teste in un pentolino (che userete, poi, anche per il riso) e scartando il resto. Se serve, incidete i gamberoni e rimuovete il filamento intestinale (se non è nero, potete anche lasciarlo).

Aggiungete alle teste un filo d'olio ed il vino biancho e portate sul fuoco, coprendo il pentolino. Fate cuocere a fuoco medio per circa 15/20 minuti, in modo che le teste abbiano il tempo di rilasciare il loro prezioso liquido.

Spegnete, lasciate intiepidire e filtrate il liquido usando una chinoise (colino conico di acciaio) o un colino a rete. Rimettete il liquido filtrato nel pentolino (dal quale avrete tolto gli eventuali residui di cottura).

Tagliate le fragole a fette sottili (2/3 mm di spessore) e poi ciascuna fetta in listarelle (stesso spessore) e, infine, ogni listarella in pezzetti. Alla fine dovreste ritrovarvi (non per magica alchimia, ma perché avete seguito per benino le istruzioni) con dei cubetti di fragole di lato 2 o 3 mm.

Portate il pentolino con il liquido dei gamberoni sul fuoco e, contemporaneamente, scaldate, in un altro pentolino, una quantità di acqua pari ad un po' di più al doppio del peso del riso (nel nostro caso il doppio sarebbe 360 cl, per cui scaldatene 400 cl).

Quando il liquido è caldo, versateci il riso e girate per fargli assorbire il liquido. Aggiungete quasi tutta l'acqua scaldata (nel caso aggiungerete l'altra solo se dovesse servire) e fate cuocere a fuoco medio, girando spesso. A circa metà cottura aggiungete le fragole e proseguite con la cottura.

Regolatevi con l'acqua, tenendo presente che se volete impiattare dando al riso la forma di un budino (come in foto), la sua consistenza dovrà essere piuttosto asciutta.

Mentre il riso cuoce, e non prima, scaldate un po' d'olio in una padella anti-aderente e, quando l'olio è caldo, fateci saltare i gamberoni, salandoli e pepandoli a vostro gusto, per non più di 3/4 minuti (i gamberoni devono giusto prendere colore e risultare chiari con delle belle strisce di un arancione-quasi-rosso).

Mentre aspettate in trepidante attesa, imburrate gli stampini e, quando il riso è cotto, versatelo negli stampi, aspettate un paio di minuti in modo che il riso si asciughi e poi rovesciate lo stampo su ciascun piatto e, con qualche colpetto, fate "scollare" il riso e rimuovete lo stampo (più facile a farsi che a dirsi).

Sistemate i gamberoni sopra, intorno, dietro, davanti....insomma, dove vi pare, ma almeno nello stesso piatto e versate sul riso un cucchiaio del fondo di cottura dei gamberoni appena saltati.

Se volete, guarnite il piatto o, se siete pigri, mangiatevelo senza troppi complimenti.

25 febbraio 2012

Le mie ricette - Umido di polpo in cestino di patata


Ingredienti (per 4 cestini)
  1. Due patati grandi a pasta gialla
  2. Un paio di polpetti freschissimi
  3. Un barattolo di pelati
  4. Mezzo bicchiere di vino bianco
  5. Due fette di pane sciapo per la guarnizione
  6. Olio extra-vergine di oliva
  7. Sale e pepe
Per quanto riguarda i polpi, scegliete secondo il vostro gusto. Io generalmente prendo i veraci, ma quando trovo polpi locali, nello specifico quelli di Anzio, li preferisco.

In una piccola casseruola mettete un po' d'olio extra-vergine, uno spicchio d'aglio ed un po' di peproncino (secondo il vostro gusto). Portate sul fuoco e fate imbiondire l'aglio e poi levatelo. Mettete il polpo nella casseruola e fatelo sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco (regola vorrebbe che si cucini con lo stesso vino che poi si servirà a tavola ma, in ogni caso, usate un buon vino, visto che il "vino per cucinare" non esiste).

Quando il vino sarà evaporato, aggiungete i pelati precedentemente frullati, salate e pepate e coprite con un coperchio che chiuda bene. Abbassare il fuoco al minimo e fate cuocere per almeno un'ora (il tempo dipende anche dalla dimensione dei polpi). Quando il polpo è cotto, togliete il coperchio e, se serve, fate andare sino a quando il sugo non sarà ben ristretto (il suo colore dovrà essere di un bel rosso scuro).

Nel frattempo pelate le patate, dividetele in due e, possibilmente con uno scavino (per capirci, quello a forma di mezza sfera), svuotate le due metà fino ad ottenere due cestini (non esagerate troppo con gli scavi, lo spessore della patata sui bordi dovrà essere di circa mezzo centimetro).

Tagliate un pochino la base dei cestini, in modo che questi possano stare in piedi. Spennellateli con l'olio in modo da non lasciare zone scoperte, mettete i cestini su una teglia ed infornate a circa 200° per una mezz'ora (il tempo è indicativo, controllate ogni tanto e spegnete quando i cestini saranno dorati al punto giusto).

Fate freddare i cestini e poi riempiteli con il polpo.

Se volete guarnire con i crostini di pane, tagliate quest'ultimo nella forma che preferite e fate dorare i crostini su un padellino appena unto d'olio.

Impiattate il tutto e di corsa in tavola.


Il carciofo non è un cremino !


Basta ! E lo dico a gran voce ! Si salvi il povero carciofo dalla pulitura dissennata ! Si abbandoni la mannaia e si impugni il cesello !

Quale peggior incubo di attendere trepidanti una acconciatura dei fratelli Bundy, già due volte campioni del mondo, e ritrovarsi sotto le grinfie del barbiere dei Marines ?

"Ho visto carciofi puliti in modi che voi umani non potreste immaginarvi"...beh, non era proprio così, ma tant'è...

Insomma, avrete capito, oggi la mia battaglia è per la dignità del carciofo. Per il rispetto del suo diritto alla preservazione della foglia; per la sua implorante richiesta alla non amputazione del gambo.

Perché il carciofo non è un cremino, dove lo stecco si butta dopo che il gelato è finito.

Perché il gambo del carciofo non è mero sostegno alla sua folta chioma, ma parte integrante di essa. Perché la sua folta chioma tale deve restare; perché una cosa è andare da un barbiere che lavora in punta di forbici ed un'altra è ritrovarsi sotto le lame di un tagliaerba.

Certo, ci sono carciofi e carciofi, esattamente come ci sono capocce e capocce (piccola deriva romanesca...), e il punto sta proprio qui: come ogni testa vuole il suo taglio, così ogni carciofo vuole la sua pulitura.

Bene, la deriva vi avrà dato l'indizio, per cui avrete già indovinato che oggi parleremo del Carciofo Romano, detto anche Mammola,  e della sua preparazione secondo tradizione romana (da non confondere con quella di progenitura ebraica, che ci regala i meravigliosi Carciofi alla Giudìa).

La mammola si caratterizza per avere molte più foglie del carciofo tradizionale, di averle più morbide, senza spine in punta e, quindi, ne richiede una eliminazione oculata, che scarti solo ciò che deve essere scartato. Non lesinate quando li acquistate; di Mammole se ne trovano di vari prezzi e, a meno che non li cuciniate a colazione, pranzo e cena, vale la pena investire qualche mezzo euro in più e prendere quelli della zona di Cerveteri (comunque, Cerveteri o meno, il colpo d'occhio può bastare, dato che già ad un rapido sguardo si distingue la Mammola di qualità da quella di seconda o terza scelta).


Bene, si parte.

Prendete il carciofo e, senza farvi prendere dalla frenesia, cominciate ad eliminare le foglie fino a quando comincerete a trovare quelle che hanno la parte attaccata al gambo di cole giallo. Fermatevi quando questa parte più gialla occupa almeno un paio di centimetri della foglia.


A questo punto prendete un coltello molto affilato (quando dico molto, intendo moooolto) e, tenendolo inclinato verso il basso (cioè con il manico che tende ad avvicinarsi al gambo), ruotateci il carciofo contro, in modo che si produca un taglio che idealmente riproduca la forma quasi sferica che il carciofo romanesco ha prima che cominciate a toglierne le foglie.

In altre parole, per capirci, il taglio deve essere tale che le foglie più esterne siano tagliate di più ed il taglio si riduca man mano che la lama del coltello si avvicina alla parte alta del carciofo.


A questo punto passate al gambo, del quale va eliminata solo la parte terminale, generalmente troppo dura, per avere quindi un gambo piuttosto lungo.

Partendo dalla base delle foglie, e sempre con il coltellino affilato, rimuovete la parte esterna della base del carciofo e proseguite con attenzione su tutto il gambo. Ripetete per tutta la circonferenza del carciofo e fate in modo che, alla fine, il gambo abbia un diametro di non più di un centimetro.


A questo punto, alcuni, che non godono della mia simpatia, suggeriscono di eliminare le foglie centrali e la relativa "barba" che si trova al cuore del carciofo. Come dire, fare una sorta di buco al centro del carciofo, trivellandolo come se si stesse cercando chissà quale tesoro nascosto.

Io dissento, posso ? Io sono per la chirurgia non invasiva, quella con il laser e non della vecchia scuola, quella che ti diceva: "Ti duole la gamba ? Bene l'amputiamo"Ripeto, la Mammola ha le foglie tenerissime e non serve scartare alcunché.

Non appena avete pulito un carciofo, mettetelo in una bacinella piena d'acqua alla quale avrete aggiunto un po' di limone (mettete nell'acqua anche il mezzo limone oramai spremuto). Ciò serve ad evitare che il carciofo annerisca.

Quando avete finito, cucinateli come meglio credete e, nel caso li voleste fare alla romana, procedete come segue

Per ogni carciofo considerate mezzo spicchio d'aglio e una decine di foglioline di mentuccia romana (è più facile trovarla nei campi che dal fruttivendolo...). Mentuccia e non menta (con la menta fateci il Mojito o il The, ma non i carciofi).

Personalmente non trito nulla e metto il mezzo spicchio d'aglio e le foglie di mentuccia al centro del carciofo, facendo un po' di pressione per aprire le foglie ed avere lo spazio necessario ad inserire con un po' di forza aglio e mentuccia. Se invece non mi avete ascoltato ed avete trivellato il carciofo, allora sarà più facile. Se preferite, invece, potete tritare grossolanamente aglio e mentuccia e procedere comunque come sopra.

Prendete un po' di sale e "strofinate" con esso tutto il carciofo.

Prendete una casseruola bella alta, in modo che i gambi dei carciofi non fuoriescano. La casseruola deve essere tale che i carciofi siano ben stretti fra di loro, altrimenti durante la cottura tendono a rovesciasi.

Mettete abbondante olio extra-vergine e portate sul fuoco. Quando l'olio è caldo, mettete i carciofi con la testa in basso e fateli rosolare un paio di minuti, poi aggiungete acqua fino ad arrivare a metà della testa del carciofo.

Coprite e fate cuocere a fuoco medio. Per vedere quando sono cotti, infilate una forchetta alla base del gambo e valutate quanto facilmente questa penetri nella polpa. Quando ritenete di essere quasi a cottura ultimata, togliete il coperchio, alzate il fuoco e fate andare sino a quando tutta l'acqua sarà evaporata e, quindi, sia rimasto solo il sughetto denso prodotto dai carciofi e dall'olio.

Alla fine il carciofo dovrà presentarsi con l'estremità delle foglie ben abbrustolita, per effetto della cottura finale a fiamma alta, e con il resto morbido.

Che dire, se siete arrivati fino a qui, allora ve li siete meritati, per cui portate in tavola e fate felici i vostri ospiti (ma anche divorati nella solitudine della vostra cucina non sono niente male...).

24 febbraio 2012

Le mie ricette - Medaglione di tonno alle nocciole, con profumo di limone


Ricetta super veloce. Dal frigorifero ai succhi gastrici in meno di 10 minuti

Ingredienti
  1. Una fetta di filetto di tonno
  2. 2 o 3 cucchiai di nocciole già tritate
  3. Olio extra-vergine d'oliva
  4. Un po' di scorza di limone
  5. Sale e pepe
Per il tonno, ricordatevi che deve essere freschissimo e, come già detto da qualche altra parte, evitate quello che ha un colore rosso accesso (purtroppo, oramai, colorano anche il pesce...). Il suo colore naturale è un roso scuro, direi granata.

Fatevi tagliare le fette ad uno spessore di un paio di centimetri scarsi (oppure prendete un pezzo intero e tagliatelo voi a casa).

Per le nocciole vi consiglio di prendere quelle già tritate, sia perché fate prima, ma anche perché, per quanto la vostra attrezzatura casalinga sia raffinata, difficilmente riuscirete ad avere un risultato così regolare.

Passate il tonno, su tutti i suoi lati, nelle nocciole, premendo in modo che queste aderiscano bene alla superficie.

Prendete un padellino anti-aderente, versateci due o tre cucchiai di olio extra-vergine e qualche strisciolina fatta con la scorzetta di limone, e mettetelo sul fuoco a fiamma media. Quando l'olio è caldo, togliete il limone e mettete nella padella il tonno (con delicatezza, per evitare che le nocciole si stacchino).

Fate cuocere per qualche minuto (tenete presente che, a cottura ultimata, il cuore del medaglione di tonno deve risultare ancora rosso, per cui il momento di girare il medaglione nella padella è quando, guardando il medaglione sui lati, la cottura è ad un paio di millimetri dal punto centrale del lato del medaglione - spero sia chiaro...).

Girate il medaglione (sempre con molta delicatezza, per via delle nocciole) , salatelo sul lato appena cotto e fatelo cuocere dall'altro secondo quanto detto sopra. Girate un ultima volta, salate e spegnete il fuoco.

Impiattate, versate sul medaglione un filo d'olio extra-vergine, una piccola macinata di pepe e guarnite con qualche scorzetta di limone.

Portate in tavola, pronti e via...

23 febbraio 2012

Le mie ricette - Sformatino di verdure e bufala, con pomodori caramellati


Ingredienti (per un paio di sformatini)
  1. Una patata
  2. Un peperone
  3. Una zucchina romana
  4. Una mozzarella di bufala (intorno ai due etti)
  5. Pane grattugiato
  6. Origano fresco (o secco se non lo avete)
  7. Olio extra-vergine di oliva
  8. Sale e pepe
  9. Un pezzetto di burro per ungere gli stampini
Tagliate la mozzarella a fettine sottili e mettetela su un tagliere inclinato a perdere un po' del suo siero.

Per prima cosa, se vi avanza del pane vecchio, fatevi il pangrattato da soli: mettete il pane tagliato in pezzi nel mixer- il pane deve essere ben secco (l'ideale sono le baguette del giorno prima) - e fate andare alla massima velocità sino a quando il pane si sarà ridotto in briciole (quando dico mixer, intendo quello per macinare finemente caffè, frutta secca et simili, che ha una coppetta molto piccola e lame ad alta velocità. Se usate un robot da cucina, che ha un contenitore molto più grande e lame che girano più lentamente, ottenete un risultato non altrettanto buono). Solo alla fine aggiungete l'origano fresco (o quello secco) e date un ultima e rapida macinata.

Taglate le verdure in fette sottili (circa 1 mm di spessore). L'ideale è usare una mandolina (affettatrice a mano), che vi consente di ottenere fette dello stesso spessore.

Ungete gli stampini cou un po' di burro e, sul fondo di ciascuno stampino, metteteci un dischetto di carta da forno tagliata a misura (vi aiuterà molto nel togliere il timballino dallo stampo).

Mettete sul fondo dello stampino un po' di pangrattato che bagnerete con un filino d'olio.

Cominciate a fare gli strati, mettendo, nell'ordine, una delle verdure (disponendola in mdoo tale che ricopra completamente lo strato precedente), una fetta di mozzarella ed un po' di pangrattato. Proseguite con gli strati, cambiando verdura ad ogni strato, fino a riempire lo stampino. Ad ogni strato completo, mettete un po' di sale e di pepe.

Terminate con un po' di pangrattato ed un altro filo d'olio.

Per la guarnizione, tagliate i pomodori
 a fette (io ho usato i camone, che sono dolci e sodi), mettete le fette su una teglia coperta con carta da forno e, su ciascuna fetta, mettete un po' di sale ed un po' di zucchero di canna (più zucchero che sale). Un filo d'olio sul tutto ed infornate nei piani alti del forno e con la funzione Grill. La temperatura deve essere molto alta (250°) in modo tale che i pomodirini si glassino senza cuocersi troppo. In 6-8 minuti dovrebbero essere pronti.

Togliete i pomodorini dal forno, abbassate un po' la temperatura (230° - 240°), togliete la funzione Grill ed impostate quella normale, ed infornate gli stampini a mezza altezza per una ventina di minuti.

Togliete gli stampini dal forno e lasciateli intiepidire, rivoltate lo stampino su un piatto, sfilatelo e lasciate riposare il timballino una decina di minuti in modo che possa perdere l'olio in eccesso. Solo a quel punto impiattate e decorate come meglio credete con i pomodorini, una spolverata di parmigiano grattugiato ed una macinata di pepe.

Bon appetit.


Ridiamo dignità alle puntarelle...



...bistrattate nel loro diritto ad un taglio perfetto, nella loro giusta pretesa ad un arricciamento secondo tradizione.

Oramai ogni banco, banchetto e scaffale di mercati e supermercati offre puntarelle-pronte-all’uso-già-tagliate-dovete-solo-condirle. Peccato, però, che quello che sta dentro le buste sembra sia passato nelle gentili mani di una trebbiatrice.

E’ vero che il “ricciolo” è l’elemento distintivo delle puntarelle, ciò che ne definisce il loro statuto ontologico, ma c’è anche dell’altro, che non merita di essere buttato via, di essere disperso nella calda accoglienza del sacchetto dell’umido.

Ribadisco fermamente il mio diritto ad una sana pulitura casalinga, al ricciolo che si forma nella mia bacinella di acqua fredda ! Voglio essere l’imprinting della puntarella !

Il ricciolo, quando nasce, deve vedere me che lo guardo con affetto, deve capire che, dietro a tanto affetto, si nasconde una voracità che, per il povero ricciolo, significherà un non duraturo futuro.

Che il ricciolo possa gridare: “Se morte dovrà essere, almeno lo sia per mano del mio creatore !”.

E allora parliamo di come io pulisco le puntarelle...

Per prima cosa taglio il dietro della pianta (il culetto, per usare un termine scientifico) e separo per benino le puntarelle.


 

Poi scelgo le foglie più belle e sane e, se sono larghette, le taglio a metà nel verso della lunghezza e le metto da parte (ricordatevi il motto “ riccioli si, ma non solo”) e mi concentro sulle punte.

Taglio ciascuna punta in modo da avere una lunghezza tra gli 8 ed i 10 centimetri e poi, con un coltellino piccolo e affilato (il pelino, per capirci), taglio ogni punta in sei/otto parti (dipende ovviamente dalla grandezza della “punta”).

Metto tutte le punte e le foglie selezionate in una grossa bacinella riempita con acqua ghiacciata - se mi sono ricordato di prepararli, uso cubetti di ghiaccio - e le lascio arricciarsi come meglio credono (ci vuole tempo, dalle 2 ore in su).



Risciacquo, asciugo (perfetta la centrifuga da insalata) e lascio asciugare ulteriormente su un panno ben steso e in corrente d'aria.

Per il condimento ricordo a tutti che, nel nuovo ordinamento giudiziario, l’uso della pasta d’acciughe è considerato reato per il quale si procede d’ufficio, senza bisogno di querela di parte.

Per cui, per una bella cofana di puntarelle:
  1. Uno spicchio d’aglio (al quale, eventualmente, avrete tolto l’anima verde)
  2. 6/8 filetti di acciughe sott’olio
  3. Olio extravergine d’oliva (facciamo 6/8 cucchiai)
  4. Aceto bianco (qui dipende dal vostro gusto)
  5. Sale

Tagliate a fettine sottili l’aglio e, se volete lasciare la possibilità ai commensali di trovarlo ed evitarlo, lasciatelo così, altrimenti mettetelo sul tagliere insieme alle acciughe è tritate il tutto con il coltello (o, se proprio volete, con la mezzaluna).

Mettete in una ciotolina l’olio, l’aceto ed il trito appena fatto ed emulsionate il tutto con una forchetta o con una piccola frusta.

Per il sale, dipende da quando prima preparate il tutto prima di mangiarvelo: se condite e mangiate nel giro di una mezz’ora, allora mettete anche il sale nell’emulsione, altrimenti aspettate e lo metterete solo al momento di andare in tavola(il sale, infatti, fa rilasciare i liquidi e quindi, se aspettate troppo, vi ritroverete con la vostra emulsione allungata dall’acqua contenuta nelle puntarelle, con un effetto “brodaglia” per nulla invitante).

Versate il tutto sulle puntarelle, che avrete ovviamente messo in un’insalatiera, e lasciate riposare e poi dateci dentro.

19 febbraio 2012

Le mie ricette - Coscia d'anatra all'armagnac, con ginepro e nocciole


Ingredienti
  1. Una coscia d'anatra
  2. Mezzo bicchiere d'Armagnac
  3. Una decina di bacche di ginepro
  4. Una decina di grani di pepe nero
  5. 15 grammi di nocciole già sgusciate
  6. 50 grammi di burro
  7. Sale e pepe
Le dosi riportate sono per una coscia e, se volete farne di più, non moltiplicate linearmente tutti gli ingredienti (a parte le cosce, ovviamente). Ad esempio, per 4 cosce, potete usare 50 grammi di nocciole e 100 di burro. Per l'Armagnac, mai più di un bicchiere (se ve ne piace di più, ma molto di più, vi posso indicare qualche gruppo d'ascolto...).


Tritate le nocciole al mixer sino a quando cominceranno a rilasciare il loro olio naturale. Diciamo che il tutto deve diventare come un pangrattato, ma leggermente unto proprio per effetto dell'olio contenuto nelle nocciole. Come una sorta di "poltiglia", per capirci.

Prendete le bacche di ginepro e schiacciatele (il batticarne, se lo avete, è perfetto). Con "schiacciatele" intendo che ogni bacca deve essere leggermente spaccata, in modo che rilasci meglio il suo aroma, e non che ci dovete passare sopra con uno schiacciasassi.

Fate sciogliere il burro in una padella e, quando è sciolto, aggiungete le bacche di ginepro ed i grani di pepe.

Quando il burro comincia a spumeggiare, metteteci la coscia d'anatra, salatela, e fatela cuocere una decina di minuti per lato. Non dovete girarla spesso, direi al massimo due volte per lato, in modo che si abbia il tempo per far formare una leggera crosta croccante (soprattutto sul lato della pelle).

Quando la coscia è quasi cotta, aggiungete l'Armagnac e fatelo sfumare a fuoco vivace.

Togliete la coscia dalla padella e, nel fondo di cottura, aggiungete le nocciole. Portate di nuovo sul fuoco a fate restringere la salsa girando in continuazione per amalgamare per bene le nocciole (noterete che, durante la cottura, si formerà della schiuma; nulla di che, ma se volete potete toglierla con un cucchiaio).

Spegnete il fuoco e fate intiepidire il fondo e poi filtrate il tutto usando un colino o una chinoise (colino conico pensato proprio per i fondi di cottura).

Rimettete il fondo filtrato nella padella (dalla quale, ovviamente, avrete tolto ogni residuo di cottura), riportate sul fuoco e ripassate la coscia nel fondo per un paio di minuti.

Impiattate la coscia e versateci sopra 3 o 4 cucchiai del fondo e, se volete, guarnite come meglio credete.

Buon appetito.

Le mie ricette - Ravioli con broccolo romano e coda di rospo al profumo di bottarga




Le dosi che seguono sono per una ventina circa di ravioli.

Ingredienti - per la pasta
  1. 400 grammi di semola di grano duro
  2. 3 uova intere
  3. 5 tuorli
Ingredienti - per il ripieno
  1. Una coda di rospo da circa 8 etti
  2. Un broccolo romano piccolo
  3. Mezzo bicchiere di vino bianco
  4. Olio extra-vergine d'oliva
  5. Sale e pepe
Ingredienti - per il condimento
  1. Un po' di burro
  2. Un po' di bottarga (a seconda del vostro gusto)
  3. Un po' di maggiorana fresca
  4. Il fondo di cottura della coda di rospo 
Per prima cosa pulite il broccolo romano, prendendo solo le cimette e lessatelo in abbondante acqua salata (acqua a bollore e poi il broccolo), scolatelo e fate freddare anch'esso. E' importante che il broccolo abia modo di asciugarsi completamente, per cui se volete lo potete lessare anche il giorno prima.

Preparate la pasta secondo il metodo tradizionale (se avete l'impastatrice fate prima, altrimenti procedete facendo la fontana di farina, mettendo al centro le uova, ed impastando per almeno una decina di minuti).

Fate riposare la pasta (al fresco, sotto una ciotola o avvolta nella pellicola trasparente) per una mezz'ora.

Tanto che la pasta si riposa, tagliate in due o tre pezzi la coda di rospo (giusto per farla entrare bene in una padella) e fatela cuocere con un po' d'olio.

A circa metà cottura aggiungete il vino bianco e fate cuocere sino a che il liquido di cottura non si sarà ristretto (ricordatevi che la coda di rospo ha un tempo di cottura superiore a quello degli altri pesci). Fate freddare.

Non buttate il fondo di cottura, che vi servirà per il condimento.

Pulite la coda di rospo e mettetela nel frullatore (o nel robot da cucina o, ancora, in una ciotola se userete il Minipimer), aggiungete anche il broccolo e frullate sino a che il tutto è ben amalgamato. Se serve aggiustate di sale e di pepe.

Stendete la pasta a sfoglia sottile (se avete la macchina, usate la tacca subito dopo lo zero) e disponete il ripieno, un cucchiaino per ogni raviolo, a distanza opportuna per poter poi formare i ravioli (più o meno come nella prima foto).

Coprite con un'altra sfoglia di pasta e con le dite fate ben aderire al ripeino, in modo che eventuali bolle d'aria possano uscire.

Prendete il taglia ravioli (quei cerchietti di acciaio o alluminio con il bordo ondulato), oppure usate un bicchiere o qualsiasi altra cosa, e tagliate il raviolo.

Nell'attesa di cuocerli metteteli su di un vassoio (perfetti quelli in cartone da pasticceria, sul quale avrete messo un po' di semola (in modo da assorbire l'umidità residua) e copriteli con un canovaccio da cucina. Tenete presente che i ravioli non sono come la pasta secca, che può riposare anche per un bel po', per cui fateli al massimo qualche ora prima di cucinarli.

Prendete il liquido di cottura della coda di rospo, portatelo sul fuoco ed aggiungetevi un pezzo di burro (40/50 grammi) ed un po' di maggiorana fresca (se non l'avete, scegliete voi un altra erba, l'importante che sia fresca). Fate andare a fuoco basso sino a quando il burro si sarà sciolto.

Prendete un colino (l'ideale è un colino conico o chinoise, pensato proprio per filtrare i fondi di cottura) e filtrate il fondo di cottura. Mettete il liquido filtrato in un padellino in modo da poterlo scaldare all'ultimo momento.

Per cuocere i ravioli, senza doverli girare con il rischio di romperli, l'ideale è usare una padella anti-aderente di grandi dimensioni (dai 36 cm in su) e con il bordo bello alto. In questo modo i ravioli hanno tutto lo spazio che serve e non rischiano di attaccarsi l'uno all'altro.

Quale che sia la scelta, portate l'acqua (tanta, usate la pentola o padella più grande che avete e, se non l'avete, è il momento giusto per andarla a comprare) a bollore, salatela, e cuocete i ravioli per circa 8 o 9 minuti (il tempo dipende da quanto sottile avete fatto la sfoglia).

Scolate i ravioli utilizzando un colino (non scolateli come si fa con la pasta, altrimenti diventa complicato separarli senza romperli), mettendoli direttamente nei piatti.

Versate su ogni porzione qualche cucchiaio del liquido che avete filtrato in precedenza e poi una grattugiata di bottarga, possibilmente utilizzando una grattugia che vi permetta di ottenere piccole lamelle (la bottarga è delicata e, se usate una grattugia a lama fine, vi si sbriciola in mano) ed una leggera macinata di pepe nero.

Portate in tavola e godeteveli.

Le mie ricette - Lattarini in carpione agrodolce


Ingredienti (per una porzione come in foto)
  1. Una bella manciata di lattarini (con riferimento alla mia manona...)
  2. Un paio di cucchiai di farina
  3. Qualche cipollotto fresco (o mezza cipolla, se non li trovate)
  4. Un cucchiaino di uvetta passa
  5. Un cucchiaino di pinoli
  6. Un paio di cucchiai di aceto
  7. Un cucchiaino raso di zucchero di canna
  8. Olio extra-vergine di oliva
  9. Olio per friggere (oliva o arachidi, che sono quelli con il più alto punto di fumo)
  10. Sale e pepe
Ricordatevi che il piatto va preparato con un certo anticipo, non meno di un paio d'ore prima di consumarlo, in modo che i sapori si possano armonizzare.

Per quanto riguarda cipolle e cipollotti, la scelta dipende anche dai vostri gusti. Personalmente, nella ricetta, ci devo bene i cipollotti rossi freschi (quelli che vedete nella guarnizione, per capirci), ma anche le cipolle di Tropea vanno benisismo e, a seguire, direi cipolle rosse, bianche e, infine, ramate.

Affettate sottilmente i cipollotti (o quello che avete scelto), metteteli in una padella con un po' d'olio e fateli appassire a fuoco basso e a padella coperta (si devono appassire e non rosolare). Quando sono quasi cotti, aggiungete l'aceto, una uguale quantità di acqua e lo zucchero di canna.

Fate cuocere, a fuoco un po' più vivace, fino a quando il liquido si sarà quasi del tutto ristretto. A quel punto aggiungete uvetta e pinoli, fate andare ancora per un paio di minuti e spegnete (le cipolle non dovranno essere troppo asciutte; un po' di liquido, denso, deve rimanere).

Passate i lattarini nella farina (fatelo solo al momento di friggerli e non troppo prima, altrimenti la farina, a contatto con il pesce, si inumidisce) e friggeteli in abbondate olio (circa 160° di temperatura). Non abbiate fretta e friggete i lattarini pochi alla volta. Ricordate che i lattarini sono piccoli e che, quindi, ci vuole poco, non più di 3 minuti.

Scolate i lattarini e metteteli su qualche foglio di carta da cucina in modo che l'olio in eccesso se ne vada. Salateli.

Impiattate facendo uno strato di lattarini, sul quale distribuirete la cipolla con il liquido residuo. Guarnite a vostra scelta e fate riposare il piatto in un luogo fresco /ma non nel frigorifero).

Portate in tavola e dateci dentro.

Le mie ricette - Tomino e fichi in crosta




Ricetta semplice e veloce.

Ingredienti (per una porzione)
  1. Un tomino
  2. Un fico secco
  3. Un disco di pasta sfoglia
  4. Due fette di pera (a polpa soda, tipo la Kaiser)
  5. Un cucchiaino raso di zucchero di canna
  6. Un po' di tuorlo d'uovo per spennellare la pasta
Ricavate le fette di pera, tagliandola ad uno spessore di circa mezzo centimetro e togliete la parte centrale con i semi. Mettete le fette di pera in un padellino con mezzo bicchiere d'acqua e lo zucchero di canna. Fate cuocere a fuoco medio per 5/6 minuti per lato (se serve aggiungete altra acqua durante la cottura).

Spegnete quando tutto il liquido si sarà ristretto in una sorta di sciroppo (per effetto dello zucchero). Fate freddare.

Nel frattempo tagliate il fico secco in fette sottili (in tutto una decina).

Prendete il disco di pasta sfoglia (il disco deve avere un diametro pari a circa il doppio del diametro del tomino, più un altro paio di centimetri per consentire al disco di "avvolgere" il formaggio), mettete al centro le fettine di fico, a coprire un diametro pari a quello del tomino, e poi poggiate il tomino sopra alle fettine di fico.

Chiudete la pasta procedendo in senso orario o antiorario, in modo che ad ogni passo possiate portare un lembo della pasta al centro del disco (la prima delle foto dovrebbe più o meno chiarire il tutto). Fate un piccolo disco con la frolla avanzata e mettetelo al centro della chiusura della frolla, come se fosse una sorta di tappo.

Spennellate la frolla con il tuorlo d'uovo (fate attenzione a non lasciare parti scoperte) ed infornate a 200° per 15/20 minuti, fino a doratura.

Fate riposare per 10 minuti e servite, usando le fettine di pera come decorazione.

Buon appetito.





17 febbraio 2012

Non è importante quello che si mangia, l’importante è stare insieme...


...ma, parafrasando un pensiero di Aristotele Onassis sui soldi e la felicità, è meglio stare insieme davanti ad un bel piatto e un bicchiere di vino buono, che di fronte ad un bicchiere di Tevernello ed una busta di 4 Salti in Padella.

E’ una dualità non da poco: Mangiamo per vivere o Viviamo per mangiare ?

Per voi il cibo è qualcosa che serve solo per non morire di fame, e proprio ci tenete a stare insieme a me ? Allora passate fra le 17 e le 19, almeno così mi risparmio la fatica davanti ai fornelli e me la cavo con un caffè o con un Crodino.

Se siete dalla parte di quelli che dicono: “Conosco un ristorantino dove si mangiano cose semplici, come a casa”, allora io vi rispondo: “Lo conosco anch’io. Si chiama cucina di casa vostra”.

Se vado in un museo è perché voglio ammirare qualcosa di diverso dai quadri che ho in salotto; se vado al cinema e perché voglio vedere qualcosa di diverso da quello che vedo in TV, stravaccato sul divano; se vado al ristorante è perché voglio assaggiare cose che a casa mia non mangio.

Tutto si riduce ad una questione di giuste premesse e relative conseguenze: “Vi invito a cena, così mentre mangiamo, ci raccontiamo un po’ di cose” rispetto a “Venite da me, così ci raccontiamo un po’ di cose e, magari, ci mangiamo qualcosa”.

Sta tutto qui, in questa piccola variazione, che sembra sintattica, ma che invece è molto di più.

16 febbraio 2012

Quella volta che mia moglie organizzò una gara di cucina...



...provai, nell’invito, a dare qualche suggerimento, tra il serio ed il faceto, e ve li riporto esattamente così come li scrissi.

Il cibo è arte e l’arte è osservazione, comprensione ed emozione, per cui un piatto non si esaurisce nel mangiarlo, ma vive anche della sua presentazione e descrizione, perciò:

  • Non buttate il piatto sul tavolo, descrivendolo, tanto per dire, come “arosto de majale”, ma siate uomini e donne di marketing e “vendetelo” nel migliore dei modi (“arista di maiale al sale marino, profumata con erbette dell’orto, su ristretto di vino rosso”). Magari farà schifo uguale, ma almeno, per qualche minuto, l’illusione ci sarà stata... 
  • La cofana sarà pure comoda, er pentolone sarà pure pratico, ma avete mai visto un Caravaggio attaccato al muro co’ du’ puntine da disegno ? Si comincia a mangiare con gli occhi, per cui impiattate come se doveste dipingere un quadro, descrivete come se doveste declamare la poesia più bella. Magari farà schifo uguale, ma almeno, per qualche minuto, l’illusione ci sarà stata... 
Se davvero credete che il vino del contadino è più buono solo perchè l’ha fatto il contadino, allora ve meritate er tavernello; se invece siete convinti che cibo e vino sono come lo Yin e lo Yang, allora siete sulla strada giusta: cucinate sapendo ciò che berrete.

Stupite i vostri avversari, ma con moderazione. Nessuna preclusione ideologica ad una cucina fusion-etnico-regional-molecolare-novel-ma-non-tropp-mar-e-mont, ma l’invito è anche quello di ricordarvi il cerchio di Giotto e la poesia “Ed è subito sera” di Quasimodo.

Le grandi innovazioni sono spesso nate dalla capacità di vedere al di la delle consuetudini: se Newton non fosse stato Newton, la mela che gli cadde in testa se la sarebbe semplicemente magnata; se Archimede non fosse stato Archimede, l’acqua uscita fuori dalla vasca avrebbe semplicemente bagnato il pavimento; se Berlusconi non fosse stato Berlusconi, oggi il Parlamento sarebbe un banale luogo dove si fa politica.

Un piatto è molto di più che la somma dei suoi ingredienti. E’ un olismo e, in più, gli ingredienti di un piatto non godono della proprietà commutativa: mettere prima l’ingrediente A e poi quello B conduce ad un risultato diverso dal mettere prima B e poi A.