30 novembre 2012

Le mie ricette - Vellutata di zucca alla Malvasia con baccalà agli agrumi e zenzero



Stagione di zucca, in particolare quella mantovana, la mia preferita, per il suo sapore intenso, con un sentore di castagne.

Poi il baccalà, che non conosce stagioni, che lo si ama o lo si odia - io, ovviamente, lo amo - e che uso piuttosto spesso.

La loro unione si giustifica considerando che il sapore dolce della zucca stempera quello deciso del baccalà, creando un contrasto che, a me, piace molto.

Ingredienti (per 8 persone)
  1. Una piccola zucca mantovana
  2. Un filetto abbondante di baccalà già bagnato (circa mezzo chilo)
  3. Mezzo bicchiere scarso di Malvasia (o altro vino passito)
  4. Mezzo bicchiere di vino bianco (buono)
  5. 250 ml di panna fresca
  6. Un’arancia
  7. Un limone
  8. Un pezzetto di radice di zenzero (opzionale)
  9. Qualche rametto di rosmarino
  10. Olio extra-vergine di oliva
  11. Sale e pepe
  12. Pane casareccio (opzionale, per la guarnizione)

Per quanto riguarda il baccalà, cercate di prenderlo dal vostro fornitore abituale, visto che, purtroppo, è facile trovare baccalà bagnati che, in realtà, contengono ancora una dose eccessiva di sale, tanto da costringervi a proseguire, a casa, la bagnatura ancora per parecchie ore, cosa che nel caso dovrà avvenire con un ricambio continuo dell'acqua.

L'ideale, quindi, sarebbe quello di assaggiare il baccalà prima di usarlo (si, avete capito bene, lo dovete assaggiare a crudo), e regolarvi di conseguenza.

Prendete allora il baccalà e, se già non lo ha fatto il vostro pescivendolo, eliminate la pelle, sollevandola a partire dalla coda e poi tirando con una certa decisione. Volendo potete usare un coltellino molto affilato, con il quale separerete la pelle dalla polpa, nel caso lo "strappo" risultasse difficile.

Eliminate, usando un paio di pinzette, meglio ancora se quelle specifiche per tale operazione, le lische residue, che dovrebbero essere concentrate al centro del baccalà e poi tagliatelo in pezzi.

Usando un pela patate o un coltellino a lama sottile ed affilata, ricavate la scorza, sia dall’arancia che dal limone, avendo cura di non prendere la parte bianca, molto amara.

Prendete una padella, meglio se anti-aderente, ungetela con tre o quattro cucchiai d'olio extra-vergine, metteteci la scorza di arancia e limone, grattugiateci anche il pezzetto di radice di zenzero - se lo zenzero non vi piace, potete anche non metterlo - e portatela sul fuoco.

Quando l'olio è caldo e le scorze e lo zenzero cominciano a sfrigolare, unite il baccalà e fatelo andare per un paio di minuti a fuoco vivace, poi unite il vino bianco, salate - solo se serve, mi raccomando - date una macinata di pepe nero, coprite con il coperchio e fate cuocere per una decina di minuti, non di più, girando di tanto in tanto.

Verso la fine della cottura, togliete il coperchio e fate restringere per bene il fondo di cottura, poi spegnente, eliminate le scorze di arancia e limone, e tenete da parte, con il coperchio.

Dedicatevi poi alla zucca, eliminando la buccia e i semi interni, e tagliando la polpa in pezzi irregolari, senza curarvi troppo della loro dimensione, dato che il taglio serve solo per ridurre il tempo di cottura.

Prendete un’altra padella, sempre meglio se anti-aderente, metteteci quattro o cinque cucchiai di olio extra-vergine, un paio di rametti di rosmarino, lasciandoli interi, e portatela sul fuoco.

Fate prendere il calore, in modo che il rosmarino cominci a cedere il proprio profumo all’olio, quindi unite la zucca, salatela e pepatela ed unite infine la Malvasia.

Coprite con il coperchio e fate cuocere fino a quando la zucca sarà ben morbida, avendo cura, anche in questo caso, di mantenere un po' di fondo di cottura, per avere la giusta densità della crema.

Quando la zucca è pronta, spegnete, eliminate i rametti di rosmarino, fate intiepidire e poi, travasate la zucca nel frullatore, o usate il Minipimer, e fate andare alla massima velocità, in modo da ridurre il tutto in crema, usando il fondo di cottura della zucca per regolare la giusta densità.

Regolate di sale la crema, poi rimettetela in un pentolino - potete usare lo stesso che avete usato per la sua cottura - uniteci la panna fresca, riportatelo sul fuoco e fate riprendere un bollore leggero, proseguendo poi la cottura per circa cinque minuti, in modo che la panna e la zucca possano armonizzarsi al meglio e la crema rassodarsi di nuovo alla giusta densità.

Se volete servire anche i crostini di pane, prendete le fette di pane casareccio, tagliatele nella dimensione dei singoli crostini, cosa che suggerisco di fare prima della loro bruscatura, dato che farlo dopo, con il pane croccante, è più difficile, e spennellate entrambe le facce dei crostini con un po' d'olio, usando un pennellino o le dita.

Prendete un padellino anti-aderente e portatelo sul fuoco, a fiamma media, e quando sarà caldo, metteteci i crostini, facendoli dorare da entrambi i lati.

Bene, ci siamo, non resta che impiattare, versando prima la crema di zucca - suggerisco che sia tiepida, non bollente - e poi distribuendo sopra di essa un cucchiaio abbondante di baccalà, anch’esso tiepido, tendente al caldo.

Fate in modo che il baccalà non ricopra completamente la crema, in modo che questa sia visibile, soprattutto se le ciotoline dove servirete il tutto non sono trasparenti.

Decorate con i crostini di pane, con un piccolo rametto di rosmarino, poi date una leggera macinata di pepe nero ed un leggerissimo filo d’olio extra-vergine.

Portate in tavola e degustate, spero con soddisfazione.

29 novembre 2012

Le mie ricette - Tortino di sarde, cavolo nero, uvetta e pecorino, con crema di rape ed alici



Oggi le sarde, trovate dal pescivendolo e, per sua bontà, da lui pulite, altrimenti avrei virato su di un'altra preparazione.

Le sarde, rispetto alle alici, hanno generalmente un sapore più forte, anche se quelle che ho trovate, di provenienza nostrana, devo dire che erano piuttosto delicate, quasi paragonabili alle alici.

Ad accompagnarle, rigorosamente verdure di stagione, come in questo caso il cavolo nero, appena sbollentato, il pecorino, per creare contrasto, e l'uvetta, per sfumare il gusto deciso del formaggio e lasciare una nota di dolce.

Ingredienti (per un tortino di circa 20 cm di diametro)

Per il tortino
  1. Un chilo di sarde
  2. Un cavolo nero
  3. Cinquanta grammi di pecorino romano grattugiato
  4. Qualche rametto di timo fresco
  5. Un paio di cucchiai di pangrattato
  6. Olio extra-vergine d’oliva
  7. Burro (per ungere gli stampi)
  8. Sale e pepe
  9. Pane carasau (opzionale)
Per la crema di rape
  1. Due rape bianche
  2. Tre acciughe sott'olio
  3. Uno spicchio d'aglio
  4. Un pezzetto di peperoncino
  5. Olio extra-vergine di oliva
  6. Sale e pepe

Per cominciare mettete l'uvetta passa in una tazza e ricopritela di acqua fredda, in modo che possa recuperare la sua morbidezza.

Poi, se il vostro pescivendolo non si è impietosito, pulendovi le sarde, dovrete farlo voi, rimuovendo per prima la testa, poi le interiora e, infine, la lisca centrale - vedrete che, con un po’ di pratica, è un’operazione facile - e, infine, sciacquatele sotto l’acqua corrente, rimuovendo le ultime lische, quelle minuscole vicino ai bordi del corpo, e fatele asciugare per bene.

Prendete poi il cavolo nero e tagliate, con un sol colpo, la parte iniziale del cespo, includendo anche la parte bianca e dure delle foglie. In pratica dovete salvare solamente le foglie, a partire da dove queste cominciano ad allargarsi.

Prendete una pentola, ampia, riempitela d'acqua, salatela al punto giusto, poi portatela sul fuoco e, quando raggiunge il bollore, tuffateci le foglie di cavolo nero, facendole cuocere cinque minuti, giusto il tempo di ammorbidirle.

Scolatele e fatele asciugare all'aria aperta per una mezz'ora.

Tanto che il cavolo si asciuga, imburrate la teglia, poi sul fondo mettete un foglio di carta da forno tagliato a misura, sul quale farete cadere un leggero filo d'olio extra-vergine, che distribuirete in modo uniforme, usando le dita oppure un pennellino.

Per ultima cosa, scolate l'uvetta ed asciugatela per benino usando qualche foglio di carta da cucina.

Bene, ci siamo e possiamo partire con la posa in teglia.

Fate per prima cosa, sul fondo, uno strato con le sarde, che salerete leggermente e sulle quali darete una macinata di pepe nero, poi disponete uno strato con le foglie di cavolo nero, a coprire completamente quello delle sarde. Distribuite un paio di cucchiai non troppo pieni di pecorino, distribuendolo in modo uniforme sul cavolo, poi qualche fogliolina di timo e, per finire, un po' di uvetta, distribuita anch'essa in modo uniforme.

Date un leggero giro d'olio extra-vergine e ripetete l'intera sequenza fino a che non finirete le sarde, completando il tortino con uno strato di cavolo nero, sul quale distribuirete ancora una volta il pecorino, un po' di uvetta e, solo per quest'ultimo strato, un po' di pangrattato, sempre distribuito uniformemente.

Accendete il forno ed infornate a 180° per una mezz'ora, poi spegnete, tirate fuori e fate freddare prima di estrarre il tortino.

Tanto che il tortino di cuoce, dedicatevi alle rape, che pelerete usando un coltellino ben affilato, in modo da togliere lo strato più esterno ed esporre la polpa interna, bianchissima.

Tagliate poi le rape in piccoli pezzetti - la rapa è decisamente resistente, per cui richiede tempi di cottura non proprio brevi - metteteli in una casseruolina, meglio se anti-aderente, con un paio di cucchiai d'olio extra-vergine ed un bicchiere d'acqua.

Portate sul fuoco, a fiamma bassa e con il coperchio, salate leggermente - ricordate che poi ci saranno le acciughe ad aggiungere sapidità - e date una macinata di pepe, e fate cuocere fino a quando la rapa non sarà morbida. Durante la cottura, se serve, aggiungete ancora acqua, ricordandovi, in ogni caso, che a fine cottura il fondo dovrà essere ben ristretto.

Quando le rape sono pronte, spegnete e, usando il minipimer o il frullatore tradizionale, riducetela in crema, poi prendete un altro pentolino - o usate lo stesso dove avete cotto le rape, dopo averlo pulito - metteteci un paio di cucchiai d'olio extra-vergine, il peperoncino e l'aglio.

Portate sul fuoco, a fiamma bassa, e fate colorire l'aglio, poi toglietelo, insieme al peperoncino, ed aggiungetele acciughe, girando con un cucchiaio di legno in modo da scioglierle dentro l'olio.

Quando le acciughe saranno sciolte, unite la crema di rapa e fatela cuocere per qualche minuto, senza coperchio, in modo che possa addensarsi ulteriormente e, al tempo stesso, armonizzarsi con le acciughe.

Spegnete e fate freddare.

Bene, ci siamo, tagliate il tortino a fette, distribuite ogni fetta nel rispettivo piatto, eventualmente mettendola sopra un pezzo di pane carasau, spezzato in modo da avere una forma simile a quella della fetta, e poi aggiungete, vicino alla fetta, un cucchiaino abbondante di salsa di rape.

Portate in tavola e dateci dentro.

28 novembre 2012

La mia prima volta...


...ovvero, cronanca semiseria del mio primo concorso di cucina.

Tutto nacque in fine estate, quando trastullandomi su Facebook, scoprii l’esistenza di un concorso sponsorizzato da Grandi Formaggi DOP, che prevedeva quattro categorie, una per ogni dei quattro formaggi DOP più conosciuti: il Parmigiano Reggiano; l’Asiago; il Pecorino Sardo e, per finire, la Mozzarella di Bufala Campana.

Parafrasando Nanni Moretti in Ecce Bombo, feci una piccola introspezione, chiedendomi: “Partecipo, non partecipo oppure partecipo, ma sto in disparte ?”

Come spesso accade, la voglia di apparire prevalse sul timore del risultato, per cui lessi il regolamento e mi lanciai nell’avventura.

Cosa faccio, cosa non faccio...alla fine scelsi la categoria a me più cara, soprattutto per l’amore smodato che nutro per Mamma Bufala e per il latte che, giorno dopo giorno, ci da (per la cronaca, ho poi inviato ricette anche per le altre categorie, ma con meno entusiasmo, più che altro per non lasciare nulla di intentato e, sicuramente, ricette che non mi hanno soddisfatto come quella della quale sto narrando).

Fatto il grande passo, mi posi poi il problema di cosa preparare, decidendo da subito, consapevole di essere passibile di blasfemia, di pensare qualcosa dove la mozzarella di bufala fosse cotta, termine che gli amanti del magico alimento aborrono, considerando - a ragione, ad essere sinceri - che la mozzarella di bufala da il meglio di se quando consumata in purezza (bello ‘sto termine, me ne dovrò ricordare tutte le volte che vorrò darmi un po’ di arie).

I quel periodo, peraltro, vivevo un travolgente innamoramento per l’orzo perlato - per la cronaca, verso la Mozzarella di Bufala Campana nutro amore eterno - e, in più, era la stagione del mitico pomodoro casalino, una gemma rossa e succosa, che a mio avviso ha pochi eguali nel panorama ortofrutticolo.

Quindi, in definitiva, quale miglior cosa di unire questi tre ingredienti in un olismo gastronomico, e di farlo nella forma di una minestra, buona anche fredda e, quindi, consumabile anche sotto la calura estiva ?

Così nacque la “Minestra d'orzo, pomodori casalino e mozzarella di bufala”, che preparai, assaggiai, condivisi con gli amici e, alla fine, inviai al concorso.

Ricordo ancora che premetti il bottone “Invia” con la stessa trepidazione che ha il Comandante del sommergibile nucleare quando gira la chiavetta rossa per lanciare i missili ballistici che annienteranno l’umanità tutta.

Inviai ed attesi...

Il concorso prevedeva la pubblicazione delle ricette su Facebook, dove sarebbero poi state selezionate le prime dieci, scelte in base ai “mi piace” degli utenti e poi, in questa short list, lo Chef  responsabile della categoria avrebbe proclamato il vincitore.

Nel mio caso, lo Chef in questione era nientepopodimenoche Gennaro Esposito, del ristorante La Torre del Saracino, uno dei ristoranti top italiani, con 18/20 sulla Guida dell’Espresso 2012 e due stelle nella Guida Michelin.

Girata la chiavetta rossa, cominciò a montare l’ansia dell’attesa ed anche quella da prestazione, perché, diciamocelo chiaramente, da non amante dell’ipocrisia e con buona pace di Pierre de Coubertin, l’importante era vincere, ‘sti cazzi partecipare.

Arrivò il 5 novembre 2012 - meno di un mese dalla fine del mondo profetizzata dai simpatici Maya – e si aprì la prima votazione, quella con i “mi piace” su Facebook.

Fu un giorno di profonda auto-analisi. Che faccio, invento una storia lacrimevole - “Vi prego, se cliccate sul “mi piace” della mia ricetta potrò debellare tutti i mali del mondo, risollevare l’economia mondiale, annullare l’effetto serra e poi...ah si, ma non mi importa, anche vincere un concorso di cucina” – e faccio uno spam smodato, oppure faccio solo garbate richieste ?

Strano a dirsi, prevalse l’approccio educato, per cui pubblicai l’avviso di apertura delle votazioni sul mio diario, sulla mia pagina e da poche altre parti. Naturalmente mi dotai di oggetti scaramantici e vissi per una settimana con le dita incrociate.

Ogni giorno contavo i miei “mi piace” e li confrontavo con quelli delle altre ricette, fra le quali ne avevo adocchiate due veramente notevoli, cosa che fece crollare quasi a zero la mia speranza di podio.

Pazienza, mi dissi, tanto sapete tutti che sono assolutamente vicino allo spirito di Pierre de Coubertin, per cui, ovviamente, l’importante era partecipare....o no ?

Dopo il 5 novembre, strano a dirsi, arrivò pure il 12, giorno di chiusura delle votazioni su Facebook. Aprii la pagina, con la stessa trepidazione di un bimbo che apre i regali sotto l’albero, andai alla mia ricetta e lessi: 102 voti. Nono posto. Che culo !

Bene, mi dissi, era necessario solo selezionare i primi dieci e non importa il numero di voti, ma solo l’esserci o meno. Me lo dissi, ma non ne fui così convinto, ma poi risentii la vocina di Pierre de Coubertin e mi tranquillizzai. Forse.

A minare ancora di più la mia sicurezza, notai che le due ricette che avevo adocchiato e che mi erano piaciute assai, erano al primo e secondo posto. Pierre, ci sei ? Ma sei proprio sicuro di quel che dicesti ?

Vabbè, pazienza, ci avevo provato, avevo partecipato e questo era ciò che contava. Forse.

Il 21 novembre -  e qui è storia recente - vengo a sapere che il giorno dopo, il 22, Gennaro Esposito sceglierà la ricetta vincente. Vado a letto con un certo malessere. Prendo un paio di ansiolitici della ben nota casa farmaceutica Pierre de Coubertin, ma non hanno granchè effetto.

22 novembre 2012. Mattina. Apro Facebook, clicco dove devo cliccare, e le mie paure prendono forma, i miei timori si palesano in tutta la loro drammaticità e le fosche previsioni si avverano. Ha vinto la splendida ricetta Un’idea di fresella di Antonella Rossi, del ristorante Napoli mia, quella che mi aveva assai colpito per la sua originalità, freschezza e colori. Bravissima, Antonella.


Vabbé, pazienza, ci ho provato, ho partecipato e questo è ciò che conta. Forse.

Esco di casa; vado ad una riunione di lavoro; entro e spengo il telefono. Riunione lunghetta; ne esco a pranzo. Accendo il cellulare ed arriva il trillo di un messaggio; apro, e leggo che c’è un messaggio in segreteria telefonica. Che palle, mi dico, sarà qualche grana di lavoro.

Pigio il tastino; lo ripigio per ascoltare il messaggio e...”Buongiorno signor Zinno, è lo Studio Cattaneo e la chiamo per il concorso Grandi Formaggi DOP...”.

Oh cacchio ! Poffarbacco ! Santi Numi ! Perché mi cercano, mica ho vinto. Sarà successo qualcosa ? Boh !?

Ari-parafrasando Nanni Moretti in Ecce Bombo: “Richiamo, non richiamo oppure richiamo, ma sto in disparte ?” (che non vuol dire nulla, ma tant’è).

Richiamo.“Buongiorno, sono Andrea Zinno, ho trovato una vostra chiamata in Segreteria...” - “Ah, buongiorno signor Zinno, sono Annabella dello Studio Cattaneo e le volevo dire che la sua ricetta, pur non vincendo, è stata ritenuta molto interessante da Gennaro Esposito, che ci ha espressamente chiesto di invitarla alla premiazione, dove potrà leggere la sua ricetta...”.

Minchia... Gennaro Esposito, dico Gennaro Esposito, ha ritenuto interessante e degna di menzione la mia ricetta ?! Ariminchia !

Seguendo pedissequamente il manuale del perfetto-vincitore-o-quasi, fingo modesto interesse, atteggiamento posato, tono calmo, ringrazio, dico che spero potrò essere all’evento. “Vede Annabella, è a Napoli, in un giorno lavorativo, ho altri impegni...”.

Menzogna delle menzogne. Altro che atteggiamento posato e tono tranquillo ! Sto rischiando, mentre sono al telefono, una fibrillazione ventricolare ! Impegni di lavoro ?! Ma de che, ho bloccato l’agenda mesi prima, manco dovessi sottopormi ad un intervento a cuore aperto.

Certo che ci sarò. Dovessi andarci a nuoto, partendo da Ostia ed approdando a Napoli, ci sarò.

Arriva il 26 novembre 2012. Mi vesto a modino, né troppo scaciato, né troppo elegante. Sciallo, direbbe mio figlio.

La mattina in ufficio, poi alle 12 di corsa alla stazione, per salire sul treno che mi porterà a Napoli. Arrivo; scendo; salgo sul Taxi, che mi scodella davanti all’Albergo dove c’è l’evento.

Come scendo, mi si palesa davanti Gennaro Esposito che sta parlando al telefono. E’ a pochi metri da me.

Che faccio ? Nanni, aiutami tu ! “Mi presento, non mi presento oppure mi presento ma sto in disparte ?” (che non vuol dire nulla, ma tant’è).

Non mi presento. Non lo so perché, ma non ce l’ho fatta. L’ho lasciato parlare al telefono e, nel frattempo, mi sono fumato il mio mezzo Toscano, sgambettando negli splendidi dintorni dell’Hotel, tanto di tempo ne avevo, visto che, da perfetto ansioso, ero arrivato circa un’ora prima dell’inizio dell’evento.

Finisco di spippettare ed entro. Mi presento alla registrazione. Grandi sorrisi e, addirittura, un posto riservato in prima fila, manco fossi il politico di turno.

Poi Annabella, dello Studio Cattaneo, mi dice: “Venga, che le presento lo Chef”. Ecco, ci siamo mi dico, ora farò come Fantozzi, con la mano sudata come una spugna e la lingua felpata.

Entro nella cucina dell’Hotel - a proposito, amata mogliettina, ricordami che devo agiornare la mia letterina a Babbo Natale - e lo incontro.

Beh, se qualcuno pensa che gli Chef di fama siano altezzosi, posso confermare che non è il caso di Gennaro Esposito. Gli stringi la mano per la prima volta e ti sembra di conoscerlo da sempre.

Conosco anche Antonella Rossi, simpatica e bravissima, e Antonio Lucisano, Presidente del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana DOP, un gentiluomo, nel vero senso della parola, preparatissimo e disponibilissimo, come tutti peraltro.

Mezz’ora di chiacchiere in cucina con tali personaggi, non ha prezzo; per tutto il resto c’è Mastercard.Sarei potuto risalire sul treno, tornarmente a Roma e sarei comunque stato più che soddisfatto.

Gennaro mi racconta come ha letto, valutato e scelto. Mi dice quanto sia importante la passione, mi dice non solo che la mia ricetta gli è piaciuta, ma che è la prima volta che legge una ricetta raccontata così bene. Quasi balbetto. Ci manca solo la lacrimuccia e poi sarei a posto.

Parte l’evento.


Presentazione e saluti; introduzione di Antonio Lucisano; un interessante intervento di Cristina Mariani, di Agritettura, sui disciplinari che regolano il marchio DOP; una degustazione guidata, sempre da Cristina, dei quattro formaggi sui quali era incentrato il concorso - divini; capisci cosa hai mangiato fino a quel momento solo se poi assaggi la vera qualità - e poi la parola a Gennaro Esposito.


Illustra e preprara la sua prima ricetta, poi capisco che sta per parlare della mia. Ripete più o meno quello che mi aveva detto in cucina, poi mi invita accanto a lui e, a quattro mani, leggiamo la mia ricetta, di come è nata, del perché, della passione e di altro.


Trovo pure il modo di buttare là, con nonchalance, che ho un blog di ricette. Hai visto mai...

Fine. E’ andata bene, molto bene. Torno al mio posto, soddisfatto e rilassato e mi godo il resto dell’evento, con le splendide ricette di Gennaro Esposito e di Antonella Rossi.

Finiamo puntuali - inutile a dirsi che sarei tornato a piedi a Roma, nel caso l’evento fosse durato più del previtso, facendomi perdere il treno già prenotato – saluti, gran vociare e altre chiacchiere, soprattutto con Antonella Rossi, che mi racconda come ha trasformato la sua passione in attività.

Resisto alla foto con lo Chef - non ho più l’età, mi dico - ma mi faccio autografare la mia ricetta, che metterò in una teca, come fosse una sacra reliquia.


Saluto tutti e, prima di andarmene, ricevo pure un inatteso regalo: una preziosissima sporta con circa cinque chili di formaggi DOP all’interno, che, vi avverto sin da subito, saranno il leitmotiv delle mie prossime ricette. Siete avvertitti.

Di nuovo il taxi, con un conducente simpatico e logorroico, che però parla in dialetto stretto, per cui fingo di ascoltarlo, ma in realtà capisco un terzo di ciò che dice; di nuovo alla stazione; risalgo sul treno e riparto soddisfatto. Assai soddisfatto.

Durante il viaggio mi messaggio con mia moglie, raccontandogli tutto. Mi dice che gli faccio tenerezza. Lo prendo come un complimento, ma non ne sono sicurissimo. Però mi faccio tenerezza anch’io, visto che veleggio verso i 52 anni.

Arrivo a casa, scodello i formaggi e ceno con la famiglia. Poi vado a nanna e sogno.
PS: i più curiosi possono trastullarsi con l’album fotografico dell’evento cliccando qui.

Le mie ricette - Tartare di gamberoni, arance, puntarelle e pinoli



Come a scandire il tempo che passa, con la regolarità di un orologio svizzero, ecco un'altra tartare, che spero tranquillizzi quelli di voi che, immagino, si stavano già preoccupando per il troppo tempo passato dall'ultima pubblicata.

Visto che mi piace usare ingredienti di stagione, non potevo esimermi dalle puntarelle, che cominciano a palesarsi sui banchi dei mercati, delle quali, per dare dignità anche a quelle parti che spesso, ed erroneamente, vengono scartate, ho usato solamente le foglie verdi.

Le parti rimanenti, naturalmente, le ho arricciate come da tradizione e me le sono pappate secondo la ricetta classica.

Per finire, poi, le arance pelate al vivo ed i pinoli e, come condimento un'emulsione di olio extra-vergine ed aceto balsamico, più un sale di quelli particolari, nello specifico il sale rosso delle Hawai.

Ingredienti (per 6 porzioni come in foto)
  1. Otto/dieci gamberoni
  2. Un cespo di puntarelle
  3. Un arancia
  4. Un cucchiaio di pinoli
  5. Aceto balsamico (quello vero)
  6. Olio extra-vergine d’oliva
  7. Sale rosso
  8. Pepe multicolore
  9. Pane carasau (per la guarnizione)

Per prima cosa pulite i gamberoni, rimuovendo la testa, il guscio e la coda, ricordando che con le teste, al solito, potete farci un brodetto, da usare poi per insaporire qualche altra creazione.

Rimuovete anche il filamento intestinale, laddove serva, provando ad estrarlo delicatamente o, se si dovesse rompere, facendo una piccola incisione sul dorso dei gamberoni e, usando la punta di un coltellino, toglierlo.

Tagliate poi i gamberoni in piccoli pezzi e metteteli in una terrina.

Passate poi alla arance, che dovrete pelare al vivo, cosa che vuol dire sbucciare le arance, eliminando anche la parte bianca, in modo che, appunto, vi si mostri la polpa in tutto il suo splendore.

Prima di procedere con la pelatura, tuttavia, ricavate un po' di scorza, che vi servirà per la decorazione finale.

Per la pelatura, quindi, mettete l'arancia sul tagliere e, usando un coltello molto affilato, tagliate la buccia, partendo dall'alto, prendendo anche la parte bianca, avendo cura di lasciare, come vi dicevo, la polpa a vista.

Dopo la pelatura, dovrete anche ricavare i singoli spicchi, anche in questo caso senza la sottile buccia bianca che li ricopre. Per fare questo, dovete prendere un coltellino affilatissimo, praticamente un rasoio, e fare dei tagli che seguano la pellicina bianca di ciascuno spicchio, in modo che questo possa poi separarsi dall’arancia, lasciando al suo posto la pellicina.

Se il tutto non vi è chiaro, qui c’è un video, trovato su YouTube, che illustra il procedimento.

Mi raccomando, la pulitura al vivo è importante, altrimenti, quando vi mangerete la tartare, vi ritrovereste con la pellicina bianca tra i denti, cosa che rovinerebbe, in parte, l'armonia del tutto.

Aggiungete le arance nella terrina dove l'aspettano i gamberoni.

Bene, non restano che le puntarelle, delle quali, come vi dicevo all'inizio, dovete prendere solo le foglie verdi, lunghe e sottili, che poi taglierete in pezzi lunghi più o meno due o tre centimetri e poi unirete anch'esse nella terrina con gli altri ingredienti.

Aggiungete i pinoli e, finalmente, date una bella mescolata per armonizzare il tutto.

Preparate, per finire, l'emulsione di olio extra-vergine e balsamico, orientandovi su una proporzione di due parti di olio ed una di balsamico, ricordando che quest'ultimo deve essere tale, motivo per cui vi suggerisco, come faccio sempre, di investire una quindicina di euro per comprarvi un aceto balsamico, dai 3 ai 5 anni di invecchiamento, piuttosto che risparmiare per comprarsi quelle melasse in vendita nei supermercati.

Emulsionate per bene olio ed aceto e poi, agendo rapidamente per evitare che l'emulsione si smonti, versatela sulla tartare.

Salate con il sale rosso, date una leggera macinata di pepe multicolore e, per finire, mescolate in modo da distribuire per benino il condimento.

Preparate le singole porzioni, mettendo un paio di cucchiai di tartare in ogni ciotolina, che se volete potrete poi guarnire con qualche pezzo di pane carasau e con delle striscioline di scorza di arancia.

Mi raccomando, porzionate (che brutta parola) solo all’ultimo momento, altrimenti il condimento si accumulerebbe sul fondo, lasciando la parte alta piuttosto asciutta.

Portate in tavola e buon appetito.

27 novembre 2012

Le mie ricette - Panzanella in insalata, con cestino di reggiano al pepe e timo



I più âgée forse ricorderanno la panzanella, meravigliosa e semplice merenda, fatta null'altro che con una fetta di pane, sulla quale si sfrangeva - anzi, da romano, dovrei dire sfragneva - un pomodoro San Marzano, condendo poi il tutto con sale e olio extra-vergine.

Tutto qui, meravigliosa nella sua semplicità.

Ieri sera l'ho voluta rifare e, visto che siamo (eravamo) nell'era del consumismo e dell'opulenza, l'ho abbondantemente arricchita, al solito saccheggiando ciò che giaceva nel frigorifero.

Se vi piace l'idea dell'opulenza, allora, al di là degli ingredienti che ho usato io, potete lasciarvi andare a variazioni, anche spregiudicate, usando anche voi ciò che avete sottomano.

L'unica nota sul formaggio, per il quale io ho usato il ReQuadro, un formaggio fatto con latte di bufala fresco, già usato in questa ricetta o quest'altra, ma che voi potete naturalmente sostituire con altro simile, tipo la feta, ad esempio.

Il cestino parmigiano reggiano, che comunque accompagna bene il piatto, con un buon contrasto di sapore, è ovviamente più per guarnizione che altro.

Ingredienti (per 4/6 persone)

Per l’insalata
  1. Tre fette di pane casareccio (qui la mia ricetta)
  2. Una decina di pomodori datterino
  3. Due cucchiai di olive taggiasche denocciolate
  4. Un cucchiaio di capperi
  5. Mezzo cetriolo
  6. Una piccola cipolla
  7. Un paio di filetti di tonno sott'olio
  8. Una fetta spessa di formaggio ReQuadro (vedi sopra)
  9. Una decina di foglioline di basilico
  10. Un paio di rametti di timo
  11. Olio extra-vergine di oliva
  12. Sale e pepe
Per ogni cestino
  1. Quaranta grammi di parmigiano reggiano grattugiato

Per prima cosa dedicatevi ai cestini, prendendo un padellino anti-aderente, possibilmente con i bordi bassi, tipo quelli usati per fare le crepes - ovviamente procederete singolarmente per ogni cestino - e mettendoci il formaggio, nella dose per il singolo cestino, in modo da creare un disco di una quindicina di centimetri di diametro e di spessore costante.

Portate il padellino sul fuoco a fiamma media, ed aspettate che il formaggio cominci a sciogliersi e a compattarsi.

Usando una spatola, aiutate il formaggio a mantenere la sua forma, premendo un po' sulla sua superficie, in modo da agevolare il compattamento. Non preoccupatevi troppo se nel disco di formaggio rimangono piccoli fori, dovuti alla sua non perfetta saldatura.

Dopo circa quattro minuti, togliete momentaneamente il padellino dal fuoco, aspettate tre o quattro minuti, in modo che il formaggio si rapprenda un pochino, poi usando la spatola, giratelo come girereste una crepes o una frittata. Non giratelo quando è ancora bollente, dato che il formaggio colerebbe via.

Riportate sul fuoco e fate dorare anche l'altro lato del cestino. Questa volta saranno sufficienti un paio di minuti.

Spegnete definitivamente, aspettate i soliti tre o quattro minuti, poi, aiutandovi sempre con la spatola, mettete il foglio di formaggio su una piccola ciotola rovesciata, premendo leggermente con le mani in modo che il formaggio, freddandosi, prenda la forma della ciotola. Ovviamente il foglio di formaggio non aderirà alla perfezione alla ciotola, cosa che però consentirà al cestino di avere una forma irregolare, che accentuerà il suo carattere "rustico".

Fate freddare il padellino e ripetete il procedimento fino a formare tutti i cestini.

Bene, tanto che i cestini si freddano, solidificandosi, passate alla preparazione dell'insalata.

Per prima cosa tagliate le fette di pane casareccio, riducetele a dadini dalla forma regolare e uniforme

Tagliate poi i pomodorini, facendo delle fette, trasversalmente alla lunghezza, spesse più o meno un centimetro.

Poi il cetriolo, che sbuccerete e taglierete esattamente come avete fatto per i pomodorini, con la sola differenza di tagliare poi le singole le fette a dadini.

La cipolla, invece, la pulirete e la taglierete a fettine molto sottili, nel verso degli anelli, che poi otterrete separando delicatamente ogni singola fettina.

A dadini anche il formaggio, mentre per il tonno, che per la sua struttura interna non si riuscirà a tagliare in modo regolare, accontentatevi di ridurlo in pezzi più piccoli, simili per grandezza a quelli degli altri ingredienti.

Raccogliete tutti gli ingredienti in una ampia terrina, poi aggiungeteci le olive, i capperi, le foglioline di basilico, spezzettate con le mani se sono grandi.

Ricordo, al solito e al di là delle quantità indicate, che ogni insalata vive di armonia, per cui valutate la vostra opera per capire se sia o meno necessario equilibrare i diversi ingredienti, nel caso aumentando la quantità di qualcuno di essi.

Salate, date una macinata di pepe e, per finire, un generoso giro d'olio extra-vergine sul tutto. La generosità dell'olio è legata anche al fatto che parte di esso sarà assorbito dal pane.

Mescolate e fate risposare per almeno dieci minuti, in modo che il pane possa ammorbidirsi per effetto, appunto, dell'assorbimento del condimento.

Bene, non resta che impiattare, mettendo in ogni cestino tre o quattro cucchiai di insalata, dando una ulteriore e leggera macinata di pepe nero ed un ultimo giro d'olio extra-vergine.

Portate in tavola e mangiate, ricordando con nostalgia, anche con una lacrimuccia, i tempi dove ci si accontentava di poco.

26 novembre 2012

Le mie ricette - Camembert con riduzione di uva fragola e praline di noci alla cannella



Credo sia la seconda volta, nella mia intera vita, che compro il Camembert.

Qualcuno dirà che mi sono perso molto, ma proprio non ce la faccio, e non parlo del sapore - molto buono - ma dell'odore, anzi dell'afrore, anzi, ma si, diciamolo, della puzza.

Dopo un paio d'ore che era entrato in casa - il formaggio - vi lascio immaginare le battute dei miei figli.

Comunque, olfatto permettendo, un formaggio dal sapore così deciso mi piace accompagnarlo con qualcosa che crei contrasto, per cui, da una parte il dolce dell'uva fragola, dall'altra la pastosità delle praline di noci, che con il loro residuo oleoso stemperano il sapore del formaggio.

Ingredienti (per 4 persone)
  1. Quattro spicchi di Camembert (vedi foto)
  2. Un bel grappolo di uva fragola
  3. Un pezzo di scorza di limone
  4. Quattro confezioni di noci già sgusciate (160 grammi)
  5. Mezzo cucchiaino di cannella
  6. Qualche rametto di timo fresco
  7. Quattro cucchiaini di zucchero di canna

Per prima cosa dedicatevi alla riduzione d'uva fragola, mettendo gli acini in un passa pomodoro - se avete quello elettrico tanto meglio - usando un disco a fori piuttosto fini e passandoli in modo da distillarne solamente il succo.

Prendete un pentolino, metteteci il succo d'uva e la scorza del limone, poi portate sul fuoco, a fiamma bassa e senza coperchio, e fate cuocere fino a quando il succo non si sarà almeno dimezzato di volume e, al tempo stesso, addensato. Ci vorranno più o meno venti minuti, da quanto il succo comincerà a bollire lentamente.

Spegnete, togliete la scorza del limone e fate freddare.

Passate alle noci, o meglio ai gherigli, che metterete nel mixer ad alta velocità (quello che is usa per macinare il caffè o, appunto, la frutta secca), facendolo andare alla massima velocità, in modo da tritare completamente le noci, facendo inoltre uscire il loro olio naturale.

Alla fine vi dovrete ritrovare con una sorta di pasta di noci, collosa e malleabile.

Travasate la pasta di noci in una terrina, aggiungeteci mezzo cucchiaino di cannella in polvere, un cucchiaino di zucchero di canna ed amalgamate il tutto.

Mettete il rimanente zucchero di canna in un piatto, poi prendete un po’ di pasta di noci - direi un cucchiaino colmo - e modellatela con le mani dandogli la forma che preferite, in modo da ottenere la pralina.

Passate la pralina nello zucchero, in modo che questo possa aderire su tutti i lati, poi mettte la pralina in un altro piatto, a riposarsi.

Ripetete fino all’esaurimento della pasta di noci e poi trasferite tutte le praline nel frigo, in modo che possano compattarsi per bene.

Direi che ci siamo e possiamo passare all’impiattamento, che naturalmente potrete fare seguendo la vostra vena artistica.

Per come l’ho fatto io, comunque, versate per prima cosa un paio di cucchiaini di ristretto d’uva sui piatti dove servirete il tutto, poi tagliate il Camembert a spicchi e mettete ciascuno spicchio sopra il ristretto d’uva e, per finire, disponete due o tre praline di noci accanto al formaggio.

Guarnite come meglio credete e portate in tavola, anticipando, mentre vi state avvicinando ai vostri ospiti, che la puzza che si sente non è dovuta a quello a cui loro stanno pensando.