18 luglio 2013

La mia seconda volta...


...ovvero, cronaca semiseria del mio secondo concorso di cucina (o quasi).

Alcuni lo sanno, ci fu una prima volta, della quale narrai in questo post, come un segno del destino, che allora però non colsi, organizzata da Grandi Formaggi DOP, associazione alla quale appartiene anche Asiago DOP, che ha sancito la mia seconda volta e della quale quella che segue costituirà cronaca spensierata, leggera e ironica.

Una prima ed una seconda volta in famiglia, si potrebbe dire, segno di un legame di sangue - o di latte, fate voi - che spero sia indissolubile, colesterolo permettendo.

Il cerchio della vita, direbbe qualcun’altro; un pizzico di culo direi invece io, visto il percorso travagliato che mi ha portato, in quel di Creazzo, a partecipare alla finalissima del concorso.

Bene, tutto nacque nella notte dei tempi, quando ricevetti un mail che solennemente annunciava l’imminente concorso Asiago CheeSfida, un gara di panini a base di Asiago DOP.

Panini ?! Perbacco, io ed i panini siamo un tutt’uno, mi dissi, una Gestalt, un olismo gastronomico, Yin e Yang, culo e camicia... insomma, dalla filosofia al vulgo, io e i panini ci capiamo, forse ci amiamo.

Partì allora la ricerca della folgorazione, che cercai di facilitare con l’aiuto della toponomastica, percorrendo strade il cui nome ricordava ben altre folgorazioni, dove il “ben altre”, ovviamente, ha per me carattere riduttivo, visto l’oramai riconosciuto ruolo antropologico che le “due fette di pane con qualcosa in mezzo” rivestono nel processo evolutivo dell’uomo (si veda, a tale proposito, l’articolo “Darwin unmasked: a sandwich-driven evolution theory”, pubblicato su Scientific American).

Le mie giornate furono così scandite da visioni mistiche, nelle quali un vorticare di derivati della macinazione del grano si combinavano con prodotti di madre terra e madre mare (si potrà dire ? Boh ?), alla ricerca di quella magica alchimia che produce la vita a partire da un pugnetto di polvere cosmica.

Un primo risultato lo ebbi con il panino che decisi di chiamare “Mare, terra e pastorizia”, che prontamente preparai, assaggiai, gradii, fotografai, descrissi ed inviai, il tutto condito da gesti scaramantici dei quali, anche a distanza di tempo, non vado fiero e che non specifico ulteriormente, se non altro per educazione.

Poi, visto che la folgorazione è un processo che sfugge al controllo, che si palesa quando meno te lo aspetti, indipendentemente dalle invocazioni alle quali si tenta di ricorrere, il giorno prima dell’ultima data utile per l’invio delle ricette - data che, a futura memoria, sto pensando di farmi tatuare in posti innominabili - giunse un altro segno, mentre ero in cucina, una domenica sera, ad organizzare la cena di moglie e figli.

Come per Newton fu la mela, per me furono gli asparagi, i quali, benché non mi caddero sulla testa, mi ispirarono il secondo panino, il “Tripla A”, quello che poi mi avrebbe fatto assurgere agli onori della cronaca.

Ancora una volta, quindi, preparai, assaggiai, gradii, fotografai, descrissi ed inviai, sempre in compagnia di madama scaramanzia, poi me ne andai felice a ninna.

Gli ingenui potrebbero a questo punto pensare che il più fosse stato fatto. Errore, madornale errore ! Essendo il concorso organizzato secondo votazione popolare, su Facebook, con la sola eccezione della prima fase, dove un parte dei panini sarebbe stata scelta da una giuria professionale, i giochi erano appena all’inizio.

Diedi quindi avvio ad una campagna elettorale, al confronto della quale quella per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America è roba da educande, sfruttando tutte le tecniche apprese negli anni: dall’approccio compassionevole - “vi prego, se il mio panino vince potrò finalmente dare un futuro ai miei figli” - passando per quello negazionista - “concorso ? Ah, si, ho partecipato ma in realtà non mi interessa più di tanto, se volete votare fate pure” - deviando verso quello campanilistico - “aiutatemi a riaffermare la grandezza delle Città Eterna, votando un panino fatto da un romano de Roma” - per arrivare a quello finto-etico “sia la vostra coscienza e il vostro gusto a guidarvi. Votate il panino che più vi piace, sia esso il mio o meno”.

Piano piano i miei panini cominciarono a farsi conoscere - benedetto fu il marketing virale - e la mia lavagnetta dei sondaggi cominciava a trasferirmi tranquillità, almeno per le prime fasi del concorso.

Confesso anche che dovetti investire del tempo per rendere edotti i miei sostenitori sulla procedura di votazione, che se da un lato riduceva quasi a zero la possibilità di voti multipli, ben nota in altri concorsi, dove ciò che accade negli ultimi minuti validi per votare fa impallidire il Big Bang origine di tutto, con ricette che passano da zero voti ad un numero pari alle stelle dell’universo conosciuto nel tempo di un battito d’ali di una farfalla (immagine evocativa, forse priva di senso), dall’altro (per chi si fosse perso, mi sto agganciando ad una virgola qualche riga più sopra) era paragonabile, per machiavellica complessità, a quei giochi di ruolo che hanno il simpatico effetto di privarvi del sonno, fino a portarvi a stati psicotici di difficile risoluzione.

Allora, provai a spiegare: vi registrate, fornendo informazioni su chi siete, dove vivete, cosa fate, cosa avete fatto nel passato, cosa farete nel futuro - qui era importante non sbagliare; loro avrebbero verificato - ovviamente avendo con voi copia della doppia elica del vostro DNA, l’estratto del casellario giudiziario (mai capito che minchia sia), la vostra dichiarazione dei redditi (mi sembrano fossero accettate anche quelle mendaci) e, per finire, la riproduzione in 3D della vostra retina.

Per quelli sopravvissuti, proseguii: pigiate sul bottoncino e attendete l’arrivo di una mail da parte di Asiago CheeSfida, tipicamente scritta in aramaico antico, ma a campione tradotta anche in Baluchi o Gikuyu (no, non sono un linguista, ma in compenso so fare sapiente uso di Wikipedia), all’interno della quale è abilmente celato un link, esattamente come il “Chi riesce a vederlo” della Settimana Enigmistica, cliccato il quale potrete, finalmente, avere l’onore di entrare nel novero dei votanti.

Molti morirono, ma molti altri sopravvissero e si dissero pronti ad immolarsi per l’amicizia che li legava a me, sacrificando lavoro, famiglia e affetti per essere pronti a manifestare il loro gradimento.

Siatene fieri, dicevo ai sopravvissuti, è un onore riservato ai più valorosi e, in più, vi da un paio di crediti per l’esame di maturità.

Finalmente venne il giorno dell’apertura delle votazioni per la prima fase del concorso e, automaticamente, come un riflesso condizionato, cominciai a sollecitare oltre misura il mio tunnel carpale, cliccando con ritmicità tipica di un metronomo per essere sempre aggiornato sull’andamento dei voti.

Tredici giorni, tanto durava la votazione della prima fase. Tredici giorni di click continui, al termine dei quali mi sentii come David Helfgott al termine della sua esecuzione del terzo concerto per pianoforte di Rachmaninov. La mia ripresa, fortunatamente, fu più rapida, sicuramente agevolata dall’aver potuto constatare il passaggio di entrambi i miei panini alla fase successiva, senza necessità di un eventuale ripescaggio da parte della giuria professionale.

Naturalmente, a chi mi chiedeva come fosse andata, rispondevo con falsissimo distacco: “concorso ? Quale concorso ? Ah, quello ! Boh, non ho neanche guardato. Hai fatto bene a ricordarmelo; quasi me ne ero scordato...”.

La gioia durò poco, rapidamente sostituita dall’ansia della fase successiva, dove i panini si sarebbero confrontati in scontri diretti e dove la votazione sarebbe stata esclusivamente popolare.

Ovviamente, nell’attesa, ripresi il mio tour elettorale, disseminando messaggi subliminali che rimandavano ai miei panini e cercando al contempo di allargare la base del mio elettorato, prendendo contatto con persone delle quali, oramai, mi ero dimenticato dell’esistenza: “Ciao ! Oddio, è una vita che non ci sentiamo ! Come stai ? Non hai idea di quante volte ho pensato a te in questi anni, ma poi chissà perché, non ho mai avuto il coraggio di chiamarti. Ora, però, non facciamo che ci perdiamo nuovamente di vista... dai, ci sentiamo nei prossimi giorni. Ah, scusami, quasi mi dimenticavo, non è che nel frattempo potresti votare i miei panini ? Si ? Grazie, lo apprezzo molto. Il mio telefono ? Si, aspetta, oddio, non ti sento più ! Pronto, prontoooo....”.

Arrivarono i sedicesimi, ai quali mi presentai - virtualmente - con la stessa tensione di un paziente che entra in sala operatoria per un trapianto di un qualche organo primario (a voi la scelta).

Forte di una sana fisioterapia preventiva, cominciai nuovamente a cliccare per avere i voti in tempo reale, anche se capii subito che la strategia di tutti i votanti si era affinata, con la maggioranza dei voti concentrata nell’ultima ora di votazioni, secondo la ben nota strategia di Sun Tzu "fai credere al tuo avversario che non ti si caga nessuno e poi, quando lui si bea nell’effimera vittoria, scatena l’inferno”.

Diciamo che l’inferno non si scatenò, piuttosto direi un più modesto purgatorio, dato che uno dei miei panini finì nell’oblio, peraltro il mio preferito, mentre l’altro, il “Tripla A”, passò il turno.

Vabbè, solito approccio votato al distacco con chi mi chiedeva come procedesse il concorso, un sentito ringraziamento ai votanti e anche i sedicesimi furono archiviati, con un po' di mestizia dovuta al dimezzamento delle mie possibilità di vittoria, ma anche con un crescendo d'ansia, visto che più il concorso procedeva, più gli avversari si facevano agguerriti.

Si arrivò così agli ottavi di finale e immancabile arrivò anche l'ennesima apertura delle votazioni, con il mio tunnel carpale oramai in evidente declino e con una malcelata indifferenza circa il procedere delle votazioni.

Per seguirle fino all'ultimo, accampai finte motivazioni lavorative per rimanere sveglio fino alla mezzanotte del giorno di chiusura delle votazioni, facendo peraltro uso di stimolanti leciti e illeciti, nella speranza che Morfeo si impietosisse e mi lasciasse vigile.

Vigile rimasi, per tirare un sospiro di sollievo nel vedere che lo sconto diretto si era risolto a mio vantaggio, anche in modo netto per la verità, per cui, micio micio, me ne andai a letto, dove ebbi il tempo giusto per sentire mia moglie che diceva "ma che fai, è tardi, non hai più l'età...". Nella verità di tale affermazione, mi addormentai sereno.

Neanche il tempo di crogiolarmi nello scampato pericolo, che ecco partirono i quarti di finale, l’ultimo ostacolo prima della finalissima, che si sarebbe poi svolta, per coloro baciati dalla fortuna o dal destino o da quello che volete voi, all’Università del Gusto di Vicenza.

Ovviamente stesso film e stessa ansia, con i voti ballerini, che adesso mi vedevano in vantaggio e, pochi minuti dopo, ad inseguire. Peraltro, causa settimana vacanziera in quel dell’Elba, neanche potevo seguire le votazioni come avrei voluto, con buona pace del mio tunnel carpale, ma con immensa delusione della mia componente emotiva.

Prendevo il sole e mi chiedevo: “come starà andando ?”. Facevo il bagno e mi chiedevo: “potrò mai farcela ?”. Consumavo la merenda e mi chiedevo: “ma possibile che sto pensando al mio cacchio di panino quando sono in questo paradiso ?”. Quest’ultimo pensiero, peraltro, temo fosse l’unico condiviso da mia moglie, almeno a giudicare dagli sguardi severi che mi lanciava quando capiva che la mia mente, oramai minata dallo spirito competitivo, partiva per mete imperscrutabili.

La chiusura delle votazioni si avvicinava e la tensione saliva, per cui cambio tempo verbale per essere più incisivo.

Ultimo giorno di votazione dei quarti, isola d'Elba, interno casa, sera inoltrata. Un uomo si aggira nel buio delle stanze, apparentemente senza una meta precisa. Le sue labbra si muovono leggermente, quasi a mormorare qualcosa, forse un invocazione diretta a divinità delle quali non è data conoscerne la natura. Dalla stanza da letto giunge un flebile richiamo: “è tardi, vieni a dormire che non hai l'età e poi ti senti male”.

Quell’uomo sono io. Vago e mi avvicino al computer. Clicco e noto, con orrore, che il confronto si fa serrato, smentendo tutti i modelli previsionali, rendendo vana la mia speranza di poter avere una minima certezza prima della mezzanotte.

Basta, mi dico, qui ne va delle mie coronarie. E’ meglio che me ne vada al letto, lasciando al fato l’arduo compito di remare nella mia direzione.

Mi infilo sotto il lenzuolo, chiudo gli occhi e subito miriadi di panini si materializzano nella mia mente, con buona pace della mia fase di sonno Rem, che per protesta si rivolta contro di me, svegliandomi a lasciandomi solo a fissare il soffitto.

La mattina, ovviamente all’alba, mentre il sommesso ronfare di moglie e figli mi fa da sottofondo, mi avvicino al computer e timidamente sbircio il risultato della votazione...

Noooo ! Fato ingrato ! Dei dell’Olimpo, perché  mi avete abbandonato ? Quale colpa avrò mai avuto da scontare per essermi meritato questo trattamento ?!

Ero fuori dalla finale. Punto. Nulla contava più, oramai. Ari-punto. Il fatto che mi avesse sconfitto un bellissimo panino, che - ma allora ancora non lo sapevo - avrei poi incontrato in finale, non mitigava la mia disperazione. Ari-ari-punto.

Il dramma si era compiuto e, quindi, ricambio nuovamente il tempo verbale.

Mentre stavo li, inebetito, mia moglie si alzò e mi chiese “allora, come è andato il concorso ?”. “Quale concorso ?”, risposi io. “Come quale concorso, quello dei panini”, replicò lei. “Panini ? Concorso ? Amore, stai bene ? Io non ho mai partecipato ad alcun concorso. Ti stai sbagliando” e la chiusi lì.

Mia moglie mi guardò e abbassò lo sguardo, con un velo di tristezza negli occhi, segno che aveva capito. La sentii dire: “ragazzi, oggi lasciate tranquillo papà, che non è giornata” e capii l'amore che aveva per me e io per lei.

Vabbè, è così che andò. La mia mente veleggio verso Esopo e alla sua favola della volpe e l’uva, nella vana speranza di convincere la mia psiche che del concorso poco mi importava. Tentativo vano e 1 a 0 per Esopo.

Passò del tempo che, come sempre accade, fece il suo lavoro di pulizia emotiva, facendomi recuperare il buonumore e relegando quei tristi e passati momenti in qualche angolo remoto del mio secondo organo preferito (il primo è lo stomaco, ovviamente, cosa stavate pensando).

Cambio di scena e nuovo cambio di tempo verbale, ancora una volta per meglio catturare ciò che accadde.

Sabato 28 giugno 2013, autostrada per Fiumicino. La macchina corre veloce, con me alla guida e mia moglie e mia figlia comodamente sedute. Si va a recuperare il figlio che torna dagli Stati Uniti, quindi clima felice ed emotivamente rilevante.

Driiin, driiiiin... l’occhio cade fugacemente sul display. Prefisso 0444, "mhhh, ma non è il prefisso di Vicenza ?", mi dico. Le mani si stringono sul volante e la macchina ha un lieve sussulto. Mia moglie mi guarda sottecchi, forse ha intuito qualcosa.

“Pronto...” (con voce falsamente distaccata). “Ciao Andrea, sono Annabella, come stai ?”. Volante ancora più stretto e nuovo sussulto. Mia moglie mi guarda di nuovo, non sottecchi, ma questa volta con crescente preoccupazione.

“Ciao Annabella, hai detto panini ?” - “No, veramente no, però ti chiamavo a proposito del concorso” - “Concorso, quale concorso ? Ah, si, quello dei panini, quasi me ne ero dimenticato” (risatina in sottofondo, da parte di moglie e figlia).

“Senti Andrea, è possibile che una delle finaliste abbia problemi nell’essere presente all’evento, per cui volevo chiederti, nel caso, se tu fossi disponibile il giorno della finale per un eventuale ripescaggio” - “Mah, guarda, non lo so, sai sono molto impegnato con il lavoro...le priorità, la crisi globale...devo verificare. Posso farti sapere tra qualche giorno ?”.

Ovviamente, mentre pronuncio queste ultime parole, forte di un autocontrollo appresso in anni e anni di meditazione, mia moglie e mia figlia si picchettano poco simpaticamente la tempia, indirizzando nei mie confronti espressioni che, senza essere esperti di cinesica, lasciano chiaramente trasparire pensieri del tipo “ma che minchia sta dicendo ?! Lo sappiamo benissimo che ci molleresti qui, in mezzo alla strada, se solo avessi la certezza di entrare in finale”.

Chiudo la comunicazione e continuo a guidare, come se nulla fosse, come se chi mi avesse chiamato avesse, in realtà, sbagliato numero. Sorvolo ovviamente sul fatto che sbaglio strada un paio di volte e che, arrivato all’aeroporto, chiedo “perché siamo qui ? Dobbiamo forse partire ?”.

In realtà, quello che avrei voluto fare era qualcosa di simile a Fantozzi che, quando Filini gli molla una martellata sul dito, corre a perdifiato, per poter dare voce al suo urlo nelle profondità del bosco. Solo che il mio urlo sarebbe stato di gioia.

Condivido con voi anche che, come forse qualcuno avrà lontanamente sospettato, il giorno della finale era in realtà scritto nella mia agenda con la stessa attenzione e forza di quella che i Padri Fondatori posero nello scrivere la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America e che, per maggior sicurezza, avevo bloccato le due settimane precedenti e successive, inventandomi impegni del tipo “Triplo bypass coronarico -  impossibile spostare” o “Convocazione nella giuria popolare del processo Mediaset - impossibile spostare”.

Sorvolo infine sulla mutevolezza dei miei stati d’animo nei giorni che andarono da quella gita all’aeroporto - peraltro, forse per i ben noti effetti dello shock sulla memoria a medio termine, ancora non ricordo per quale motivo ci fossi andato - e il giorno della finale: eccitazione, ansia, speranza, ancora eccitazione, doppia ansia, speranza, disillusione, eccitazione, rassegnazione, negazione... insomma, tutto materiale da potersi utilizzare come base per un trattato di psicoanalisi , per il quale mi sentirei di suggerire il titolo “La comunicazione inattesa: effetti neurologici a breve, medio e lungo termine ed effetti sulla destabilizzazione delle facoltà elementari alla base della capacità di discernimento”.

Il miracolo si era compiuto e, quindi, ricambio nuovamente il tempo verbale.

Venne il giorno, preceduto naturalmente dalle dettagliatissime istruzioni al riguardo, fornitemi dalla preziosissima Annabella: come arrivare, cosa portare, come vestirsi, come comportarsi (tipo non mettersi le dita nel naso di fronte alla telecamera)... insomma, ero pronto, come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola, capricci della sera prima inclusi.

Dovetti pianificare con cura la mia trasferta, visto che dopo aver provato tutte le possibili combinazioni dei treni Freccia-scegli-tu-il-colore, mi rassegnai al fatto che, prima di mezzogiorno, non sarei potuto arrivare all'Università del Gusto (in realtà avevo anche preso in esame la possibilità di trasferire, con qualche settimana di anticipo sulla data della finale, la mia residenza a Vicenza, anche se poi abbandonai l'idea, forse anche sollecitato dal notare mia moglie che sfogliava le Pagine Gialle alla voce "psico-analisti").

Non c'era alternativa, avrei dovuto preparare parte degli ingredienti a casa e poi partire, un po' come Totò e Peppino quando andarono a Milano.

Mi attrezzai allora di conseguenza, passando una piacevole (è difficile cogliere l'eufemismo in forma scritta, ma vi assicuro che c'è) serata a cucinare tonnellate di asparagi - ahimè surgelati, realizzando troppo tardi che il panino preparato a maggio doveva poi essere replicato a luglio, quando oramai la stagione degli asparagi era bella che finita - a preparare un paio di barili di pesto e a tagliare millemila fette di lardo di Arnad.

Preparai anche il mio fido zainetto, facendo varie prove di impilamento dei contenitori, cercando di minimizzare il rischio di fuoriuscite alimentari che, sul treno del mattino, con i passeggeri assonnati e affamati, avrebbero potuto causare attacchi all'arma bianca.

Andai a ninna presto, ovviamente non riuscendo a prendere sonno, quindi in effetti andai a ninna tardi.

Alle 6 del mattino la sveglia mi ricordò di che morte sarei dovuto morire, per cui rapida doccia, caffè al volo, taxi al volo, treno al volo e via, più veloci della luce, verso quel di Vicenza.

Fortunatamente, con malcelata sorpresa, presi atto che la Svizzera, oltre agli orologi a cucù e alla cioccolata (e anche cose minori, tipo la possibilità di inguattare significativi patrimoni senza darne visibilità al fisco), almeno quel giorno, ci aveva fatto dono anche della puntualità, per cui poggiai il piede in terra di fronte all'Università in perfetto orario, sentendomi come il pellegrino che mette il suo primo piede sulla Scala Santa di Roma.

Fui accolto dalla simpatica quanto affascinante Barbara, che mi portò dalla simpatica quanto affascinante Annabella, che rapidamente mi introdusse nella simpatica quanto affascinante cucina (boh, ndr).

Gli altri finalisti erano già lì, per cui educatamente mi presentai e mi misi al lavoro, indossando il grembiulino di rito che, per la cronaca, sulla mia mole sembrava più una guêpière, con l'incubo di dover preparare una settantina di panini.

Fortunatamente non ero solo ed ebbi la fortuna di conoscere anche i due bravissimi e simpaticissimi Chef che avrebbero supervisionato la finale: Diego e Marco, con cui peraltro chiacchierai piuttosto al lungo, facendo si che sentissi di meno la fatica della preparazione.

Sempre durante la preparazione, che da un certo momento in poi proseguì in una sorta di trance, dove le mie mani facevano ciò che ritenevano, senza che il mio cervello dovesse istruirle più di tanto, conobbi anche il Presidente della Giuria - la Food Stylist Barbara Torresan - ed altri ospiti, dei quali - lo confesso in piena serenità - non ricordo nel modo più assoluto i nomi, carenza che sperimento normalmente, ma che in quel caso era accentuata dall'entropia che regnava all'interno delle mie connessioni sinaptiche.

Finiti i panini, giusto il tempo per il mio solito mezzo toscano e per prendere un po' d'aria, su esplicita richiesta delle mie ghiandole sudorifere, che oramai manifestavano un sentimento di protesta nemmeno troppo velato.

Ultimo momento topico ed ultimo cambio di tempo verbale.

Ore 15.30, che con il quarto d'ora accademico fanno le 15.45, che con un altro quarto d'ora accademico - siamo all'Università, di cosa vi lamentate, suvvia ! - fanno le 16. Si parte !

Entro, insieme agli altri finalisti, indossando il grembiulino del quale ci ha fatto omaggio l'organizzazione - molto elegante, mi dico - e ci sediamo nei posti a noi riservati.

Introduzione all'evento, descrizione del concorso e via con lo Show Cooking, nel quale io e un'altra finalista prepariamo in diretta il panino, rispondendo alle domande che ci fanno giuria e pubblico - non chiedetemi quali, dato che non solo non le ricordo, ma non ricordo nemmeno cosa io abbia risposto e, per la verità, nemmeno se abbia o meno risposto con qualcosa che fosse pertinente a ciascuna domanda - il tutto ovviamente parlando nel microfono che, come dei veri professionisti, avevamo indossato e che molto mi face sentire un vero cuoco che narra alla platea le sue nobili gesta.

Finisco, mi rilasso e mi godo gli assaggi da parte della giuria, cercando di interpretare il loro linguaggio del corpo, sperando di catturare smorfie di piacere più che di disgusto. Ovviamente non capisco nulla e rimando l'emozione alla successiva votazione.

Passiamo la palla agli altri due finalisti e il film si ripete: preparazione, domande, risposte e assaggi. Ancora i linguaggio del corpo e ancora una volta buio assoluto. O i giurati sono bravissimi a dissimulare o io non ci capisco una mazza. Opto per la seconda ipotesi.

Ci siamo. Arriva il momento della votazione con le palette colorate. Tre, due, uno, via ! Alzata generale e immediato colpo d'occhio che mi fa capire di essere arrivato secondo.

Non male, mi dico, l'iPad Mini mi mancava, quindi è proprio secondo che volevo arrivare. Evviva ! Poi, ovviamente, la coscienza si fa avanti e mi ricorda nuovamente Esopo, suggerendomi che forse, invece, sarei voluto arrivare primo. Ci ho provato, ma ancora una volta 1 a 0 per Esopo.

Sento comunque di essere felice assai; è stata una bellissima esperienza; mi sono divertito e, perché negarlo, mi sono portato a casa un iPad Mini, con il quale, mi dicono voci esperte, si rimorchia più che con l'iPad normale.

Partono le foto di rito - in piedi, seduti, accovacciati, con il panino, senza il panino, insieme, da soli, a gruppi... insomma, quando mi sono sposato ne ho fatte di meno - poi i saluti e i ringraziamenti e faccio anche in tempo a distribuire qualche biglietto da visita del mio Blog, fingendo di essermeli trovati in tasca per caso, quando invece ne avevo lo zaino pieno.

Taxi al volo, treno al volo, ancora taxi al volo, il tutto per tornare a casa quasi a mezzanotte, distrutto nel fisico, ma felice nell'animo.

Chiamo mia moglie, gli racconto tutto e lei mi dice, ancora una volta, gli faccio tenerezza, poi mi butto sul letto e crollo come un bambino e mi godo il sonno dei giusti.

Quello che ho sognato, però, lo tengo per me.

2 commenti:

  1. Mi sono divertita un sacco a leggere questo post....La vita degli chef è dura anche fuori dalla cucina,no?! Congratulazioni per il super panino e per le magnifiche ricette del tuo blog.
    Ti seguo,
    Giovanna-Gourmandia

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    1. Grazie Giovanna, in realtà non sono nemmeno un vero Chef, dato che cucino solo per passione e di lavoro faccio tutt'altro.

      A presto e benvenuta nel blog !

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