29 ottobre 2014

Le mie ricette - Tartare di gallinella e more, con fiocchi di sale affumicato, polvere di liquerizia ed emulsione al balsamico


Quando sono in luogo di mare, in quel di Anzio, la gallinella è uno dei pesci che uso più spesso, sia perché mi piace assai, sia perché è una costante nelle reti dei pescatori e, perché no, anche per il suo costo giusto.

Confesso anche di amarlo a crudo, come in questo caso, dove ci ho preparato una tartare, accompagnando il pesce con le more selvatiche.

Ho poi aggiunto dei fiocchi di sale affumicato della Falksalt e della polvere di liquerizia, ricavata da uno di quei legnetti di liquirizia che molti adorano ciucciare, mentre come condimento una classica emulsione di olio extravergine e aceto balsamico, dove quest'ultimo crea un bel contrasto con l'amaro della liquerizia.

Come tutte le preparazioni a crudo, la ricetta è semplice e veloce.

Ingredienti  (per 4 persone)
  1. Una gallinella di medie dimensioni
  2. Una decina di more selvatiche
  3. Un legnetto di liquirizia
  4. Olio extravergine di oliva
  5. Aceto balsamico (vero)
  6. Fiocchi di sale affumicato
  7. Sale marino

Partite con lo sfilettare la gallinella - se siete bravi e convincenti, potete sperare nella misericordia del pescivendolo e farvela sfilettare da lui - operazione per la quale ci vuole un po' di pratica e di pazienza.

Usate un coltello piuttosto piccolo, con la lama flessibile e ben affilata, poi prendete la gallinella e tagliategli via la testa, in modo che il corpo poggi meglio sul tagliere.

Partendo dalla coda, incidete trasversalmente il pesce, fino ad arrivare alla lisca centrale, poi ruotate il coltello, in modo che la parte piatta della lama rimanga ben a contatto con la lisca, tagliate per tutta la lunghezza, fino ad uscire dalla parte della testa, quindi girate il pesce e ripetete per l'altro lato.

Usando poi un paio di pinzette (ci sono quelle specifiche per il pesce), rimuovete le lische residue, che si trovano nella parte centrale dei filetti e poi, sempre usando un coltello affilato, rifilateli, rimuovendo la parte di pelle sui bordi che, normalmente, è più spessa e meno gradevole, sia alla vista che al gusto.

Rimuovete infine la parte più scura della polpa, quella vicino alle interiora, che ha un sapore piuttosto forte e amaro, poi mettete i filetti sul tagliere, con la pelle a contatto con quest'ultimo e, analogamente a quanto fatto per sfilettare, incidete immediatamente sopra alla pelle e poi tagliate fino a separare quest'ultima dalla polpa.

Buttate la pelle e lasciate la polpa della gallinella sul tagliere e poi, usando un coltello a lama grande e affilata, battetela in modo da ridurla alla consistenza che preferite.

Mettete la gallinella in una ciotola e unite le more selvatiche - se le more sono grandi, tagliatele a metà - quindi mescolate.

Preparate l'emulsione di olio extravergine e balsamico, orientandovi su una proporzione di quattro parti di olio ed una di balsamico, ricordando che quest'ultimo deve essere tale, motivo per cui vi suggerisco, come faccio sempre, di investire una quindicina di euro per comprarvi un aceto balsamico, dai 3 ai 5 anni di invecchiamento, piuttosto che risparmiare per comprarsi quelle melasse in vendita nei supermercati.

Emulsionate per bene e poi, agendo rapidamente per evitare che l'emulsione si smonti, unitene qualche cucchiaio alla tartare, mescolando nuovamente.

Salate con del sale marino, aggiungete anche un poco di fiocchi di sale affumicato e poi la polvere di liquerizia, grattugiando quest'ultima con una grattugia adatta, come quella a lama fine della Microplane.

Per quanto riguarda la quantità di liquerizia suggerisco di procedere in modo incrementale, assaggiando di volta in volta la tartare in modo da valutare l'equilibrio complessivo dei sapori, considerando che la liquerizia deve potersi sentire ma senza sovrastare gli altri sapori.

Impiattate, eventualmente aiutandovi con uno stampino circolare in modo da dare forma alla tartare, poi aggiungete qualche fiocco di sale sopra ad ogni porzione, guarnite come desiderate e portate velocemente in tavola.

Buon appetito.

28 ottobre 2014

Le mie ricette - Crema di fagioli del purgatorio con cozze e pane croccante all’aglio


Certo, una crema di fagioli in estate ammetto non mi convinceva del tutto, ma poi pensando che avrei potuto servirla appena tiepida, quasi fredda, ho deciso di farla, scegliendo quasi come sempre un abbinamento con il mare.

Come fagioli ho scelto quelli del Purgatorio di Gradoli, dei fagioli molto piccoli, dal gusto molto delicato e che, peraltro, non richiedono ammollo preventivo date le loro piccole dimensioni. Se non li trovate, potete sostituirli con i più classici cannellini.

Per il mare, le cozze, con il loro liquido unito alla crema mentre i molluschi aggiunti solo all'ultimo momento, praticamente quasi al momento di portare in tavola.

Completano il piatto dei piccoli di dadini di pane, profumati all’aglio e velocemente saltati in padella con un poco di olio extravergine.

Ingredienti (per 6 persone)
  1. Tre etti di fagioli del purgatorio
  2. Un chilo di cozze
  3. Tre fette di pane casareccio
  4. Uno spicchio e mezzo d'aglio
  5. Qualche ciuffo di rosmarino
  6. Un pezzetto di peperoncino (se vi piace)
  7. Olio extravergine d’oliva
  8. Sale e pepe

Partite naturalmente con i fagioli, che benché non richiedano ammollo, necessitano di almeno un'ora e mezzo per essere portati a cottura.

Prendete quindi una pentola piuttosto grande, riempitela di acqua fredda e aggiungete i fagioli, dopo averli controllati per eliminare eventuali fagioli rovinati.

Non salate l'acqua subito, dato che la sua evaporazione durante la cottura avrebbe l'effetto di aumentare la concentrazione salina, trasformando quella che sembrava un'acqua perfettamente salata in un concentrato salino.

Portate la pentola sul fuoco, a fiamma media e con il coperchio, e quando l'acqua raggiunge il bollore, abbassate la fiamma e fate cuocere i fagioli fino a quando non saranno teneri. Ci dovrebbe volere, dal momento del bollore, dall'ora all'ora e mezza.

Salate i fagioli non più di un quarto prima della loro fine cottura, ricordandovi comunque che poi userete anche l'acqua delle cozze, già ben salata di suo.

Sempre verso la fine cottura dei fagioli, dedicatevi alle cozze, prendendo una padella, ungendola con due cucchiai d'olio extravergine e portandola sul fuoco.

Quando l'olio è molto caldo, quasi fumante, unite le cozze, aggiungete rapidamente mezzo mestolo di acqua e coprite con il coperchio. Vedrete che l'aggiunta dell'acqua nella padella bollente creerà una nuvola di vapore, che intrappolata dal coperchio, agevolerà l'apertura delle cozze in tempi brevi.

Mi raccomando, non tenete troppo tempo la padella sul fuoco, con l'intenzione di far aprire fino all'ultima cozza, con il rischio di far stracuocere quelle già aperte solo per averne qualcuna in più da mangiare.

Quando le cozze sono aperte, spegnete, togliete il coperchio e fatele intiepidire, quindi separate i gusci da molluschi - fate attenzione ad eliminare ogni residuo della loro barbetta, o bisso - che metterete poi in un piatto nell'attesa di usarli e tenendo ovviamente da parte il prezioso liquido rilasciato dalle cozze.

Se volete tenete qualche cozza intera da parte, in modo da poterla usare per guarnire i piatti.

Tornate ai fagioli e, quando sono cotti, spegnete la fiamma e fateli intiepidire nella loro acqua, poi, usando un mestolo bucato, travasatene i due terzi nel mixer o nel frullatore, mettendo i fagioli rimanenti in una ciotolina insieme ad un mestolo della loro acqua, in modo che rimangano umidi.

Aggiungete ai fagioli nel frullatore mezzo mestolo della loro acqua di cottura e il liquido delle cozze tenuto da parte, poi fate andare alla massima velocità fino a ridurre il tutto in una crema fluida e senza più alcun residuo.

Se usate il frullatore ad immersione, inoltre, fatelo lavorare in parte fuori dal composto, in modo da agevolare l’incorporamento dell’aria alla crema, cosa che le donerà una consistenza spumosa e piacevole.

Prendete ora una casseruola, di dimensione adatta a poter contenere tutta la crema, ungetela con tre o quattro cucchiai d'olio extra-vergine, metteteci lo spicchio d'aglio, sbucciato e parzialmente schiacciato, il peperoncino e i ciuffi di rosmarino.

Portate la casseruola sul fuoco, a fiamma media, e fate andare fino a quando l'aglio non sarà dorato, poi toglietelo, insieme al peperoncino e al rosmarino, e unite la crema di fagioli, facendole giusto prendere calore - la crema non deve cuocersi ulteriormente - in modo che possa insaporirsi dell'olio con l'aglio e gli altri profumi.

Spegnete, date una generosa macinata di pepe nero, in modo che con il calore residuo, possa sprigionare i suoi profumi e poi, in attesa che la crema si intiepidisca, dedicatevi ai dadini di pane, per i quali sceglierete un pane casareccio dalla mollica ben compatta, come ad esempio il pane toscano o quello di Lariano.

Ricavate le fette di pane, sfregatele con il mezzo spicchio d’aglio - se la mollica fosse troppo morbida per lo sfregamento, passate le fette nel forno o nel tostapane per un paio di minuti - poi eliminatene la crosta e tagliate la mollica in dadini regolari, di circa un centimetro di lato.

Prendete una padella, meglio se anti-aderente, metteteci due o tre cucchiai d'olio extravergine, portatela sul fuoco, a fiamma media, e quando l'olio è ben caldo, unite i dadini di pane, facendoli saltare velocemente e girandoli, in modo che possano dorarsi su tutti i lati.

Quando i dadini sono pronti, travasateli su un piatto, sul quale avrete messo qualche foglio di carta da cucina, in modo che l'olio in eccesso possa essere assorbito.

Tornate alla crema e, quando è oramai tiepida, unitevi i molluschi delle cozze e mescolate per benino, quindi impiattate, date un leggero giro d'olio extravergine a crudo, distribuite qualche crostino di pane.

Guarnite come più vi piace, poi portate in tavola.

Buon appetito.

Abbinamento consigliato dall’Enoteca Colordivino: da provare con un rosato del Salento da uve Negramaro e Malvasia, un vino fresco con buona acidità e un finale lungo e intrigante: il Five Roses Anniversario di Leone De Castris.

25 ottobre 2014

Ricordo di un saòr


Questa ricetta partecipa, nella categoria “Scapece", al Contest “I Magnifici 6: il contest dell’anno!”, organizzato dall’AIFB - Associazione Italiana Food Blogger.


Confesso di aver sempre nutrito una segreta ammirazione per chi, nel tempo e nella storia, ha coniato termini quali scapece, saòr, carpione, termini che amo pronunciare, ma dei quali ignoro totalmente l'origine e, di più, non riesco a capire quale sia la connessione semantica tra di essi e gli ingredienti e la preparazione alla quale si riferiscono.

Si, lo so, le tradizione dialettali direte voi, la storia, la genesi, il territorio.... vabbè, ho capito, mi arrendo, anche perché lungi da me l'idea di avventurarmi in meandri epistemologici, cercando di capire se tale conoscenza sia di fatto possibile, né di cercare di farmi esegeta e lanciarmi nell'interpretazione delle ricette che a tali termini fanno riferimento (epistemologia... esegesi... ecco cosa succede a farsi un goccetto prima di mettersi alla tastiera).

Questa mia carenza semantica, tuttavia, non mi impedisce - non troppo spesso, in verità - di cimentarmi con questo tipo di preparazione, che come sono certo molti sapranno, prende in realtà origina da una tecnica di conservazione degli alimenti, nei tempi in cui il frigorifero era una parola priva di alcun significato.

Tale tecnica, che tipicamente si utilizzava per il pesce, ma che poi si è estesa anche alle verdure, si è nel tempo evoluta, arricchendosi con ingredienti, come uvetta e pinoli, per citare i più classici, che nelle intenzioni (ma direi anche nei risultati) avevano lo scopo di ottenere piatti più godibili e, perché no, raffinati.

Bene, che altro dire, se non che la splendida idea del contest e più ancora l'aver pensato ad una categoria dedicata a questo tipo di preparazione mi ha oltremodo stimolato e, a dirla tutta, anche inconsciamente sfidato a provare ad uscire dalle interpretazioni classiche, cercando qualcosa che, nel rispetto della tradizione, portasse però con se qualcosa di diverso.

Alla fine, dopo lunga pensatio, ho deciso di preparare un piatto che combinasse gli ingredienti in modo diverso - confesso che, per il titolo del piatto, sono stato a lungo indeciso se usare o meno il termine "decostruzione", che tanto va di moda - cercando però di rendere evidente il richiamo alle preparazioni più tradizionali, da cui peraltro il nome del piatto, ad evocare appunto un ricordo.

Partiamo con il pesce, per il quale ho subito scartato le alici, troppo piccole per come avrei voluto assemblarle e le sarde, per il semplice fatto che non sono riuscito a trovarle, orientandomi sulle aringhe fresche, che con il loro sapore molto intenso ho pensato si sposassero bene con l'agrodolce.

Poi, sempre per richiamare le preparazioni più diffuse, le zucchine, naturalmente quelle romanesche (per un romano non esistono altre zucchine se non quelle romanesche), che ho accoppiato alle aringhe nella forma di una girella o involtino che di si voglia, che ho poi infarinato e fritto per due minuti in olio.

Le cipolle le ho di fatto separate dalla preparazione, usandole per farci un freddo - termine ispirato da un celebre piatto del grande Giulio Terrinoni, Executive Chef del ristorante Acquolina di Roma - che deve il nome al fatto che la cipolla, cotta in agrodolce e frullata insieme al suo sciroppo, viene tenuta per un po' nel freezer, in modo da renderla appunto e fredda e dargli una consistenza simile a quella di un sorbetto piuttosto liquido.

Naturalmente ho poi aggiunto anche pinoli e uvetta, che ho fatto insaporire velocemente in un fondo agrodolce, preparato con un goccio d'olio extravergine, aceto di mele, zucchero di canna, acqua e un poco di finocchietto selvatico, giusto il tempo per rendere l'uvetta morbida.

Per finire, qui allontanandomi dalla tradizione, ho completato il piatto con dei biscotti salati, preparati facendo una frolla dove, al posto dello zucchero, ho usato il pecorino romano - ho usato il riserva di Pitzalis - e il pepe. Per accentuare la rusticità dei biscotti, ho usato farina di tipo 2 macinata a pietra

Ingredienti (per 4 persone)

Per gli involtini
  1. Due aringhe fresche
  2. Una zucchina romanesca piuttosto grande
  3. Un cucchiaio di uvetta sultanina
  4. Un cucchiaio di pinoli
  5. Due cucchiai di aceto di mele (o di vino bianco)
  6. Farina 00
  7. Un rametto di finocchietto selvatico
  8. Olio extravergine di oliva
  9. Olio per friggere (oliva o arachide)
  10. Sale
Per il freddo di cipolla
  1. Cento grammi di cipolle rosse (se è stagione, usate quelle di Tropea)
  2. Cinquanta grammi di zucchero semolato
  3. Cinquanta grammi di aceto di mele o di vino
  4. Mezzo litro d'acqua
Per i biscotti salati
  1. Centoventicinque grammi di farina di tipo 2
  2. Settantacinque grammi di burro
  3. Quaranta grammi di pecorino romano
  4. Mezzo cucchiaino di pepe nero
  5. Un uovo intero
  6. Mezzo tuorlo

Per prima cosa dedicatevi al freddo di cipolle, pulendo quest'ultime eliminandone lo strato più esterno e le due estremità e poi pesandole nella quantità indicata.

Prendete poi un pentolino dove le cipolle possano stare senza troppo spreco di spazio - se le cipolle sono grandi, tagliatele grossolanamente - unite l'acqua, l'aceto e lo zucchero, poi portatelo sul fuoco, a fiamma bassa.

Quando l'acqua è a bollore leggero e lo zucchero completamente sciolto, unite la cipolle, coprite con il coperchio e fate cuocere delicatamente fino a quando le cipolle non saranno morbide, cosa che dovrebbe richiedere circa una quarantina di minuti.

Le cipolle dovrebbero essere completamente immerse nell'acqua, per cui, nel caso usaste una casseruola più larga, aumentate la quantità d'acqua e quelle corrispondenti di aceto e zucchero, in modo da avere un livello sufficiente all'immersione.

Quando le cipolle sono pronte, spegnete la fiamma, scolatele e mettetele per qualche minuto in un colino, in modo che l'acqua interna possa colar via, quindi pesatele nuovamente e mettetele nel bicchiere del frullatore.

Aggiunge una quantità del liquido di cottura della cipolla pari alla metà del peso della cipolle, poi fate andare il frullatore alla massima velocità, fino ad ottenere un composto ben fluido e senza traccia di residui solidi.

Versate la cipolla frullata in una ciotola di vetro o in una tazza e mettetela nel freezer, controllando ogni tanto, per evitare che si solidifichi troppo, trasformandosi in un blocco di ghiaccio.

Tanto che la cipolla si fredda, dedicatevi alla frolla, mettendo il burro in una ciotola insieme alla farina, poi usando la punta delle dita, cominciate ad incorporare la farina la burro, proprio come si fa con la frolla tradizionale, oppure, se preferite, potete anche mettere farina e burro nel mixer, facendo andare per una decina di secondi alla massima velocità, fino ad ottenere un composto leggermente granuloso.

Mettete il composto sul piano di lavoro, fate la classica fontana e, al centro, mettete il pecorino grattugiato, il pepe nero e le uova, continuando ad impastare, sempre usando la punta delle dita, lavorando fino ad ottenere la classica palla.

Non lavorate troppo la frolla dato che, come la frolla tradizionale, anche questa richiede una lavorazione breve, altrimenti si corre il rischio di separare nuovamente il burro dal resto degli ingredienti.

Avvolgete la frolla nella pellicola trasparente e mettetela in frigorifero per una mezz'ora, in modo che il burro possa perdere temperatura e ridare maggiore consistenza alla pasta.

Trascorsa la mezz'ora riprendete la frolla al pecorino e stendetela ad uno spessore di circa mezzo centimetro, cosa che farete mettendola su un foglio da carta da forno, schiacciandola leggermente con le mani, poi mettendo un altro foglio di carta da forno sopra la frolla e infine, usando il mattarello, portandola allo spessore indicato.

Quando lo spessore è quello voluto, togliete il foglio superiore di carta da forno e, usando un coltello a lama sottile oppure la rotella per la pizza, tagliate la frolla in modo da dare forma ai biscotti.

Infornate a 180° per circa venti minuti, e comunque fino a quando la frolla non si sarà leggermente dorata, quindi tiratela fuori dal forno e fatela freddare, prima di ricavare i singoli biscotti, che si separeranno facilmente lungo i tagli che avete fatto prima di infornare.

Mettete i biscotti da parte e dedicatevi alla preparazione degli involtini, partendo con la sfilettatura delle aringhe, nell'ipotesi che non lo abbia fatto per voi il pescivendolo o che non le abbiate trovate già pulite e aperte.

Prendete allora un coltello ben affilato e con la lama molto sottile, bassa e flessibile e poi, partendo dalla coda del pesce, incidete trasversalmente, fino ad arrivare alla lisca centrale, poi ruotate il coltello, in modo che la parte piatta della lama rimanga ben a contatto con la lisca, tagliate per tutta la lunghezza, fino ad uscire dalla parte della testa. Girate il pesce e ripetete per l'altro lato, tutto sommato più facile a farsi che a dirsi.

Altro modo, più di precisione, è quello di usare un coltellino molto affilato e incidere il pesce nella sua parte superiore, tenendo la lama a contatto con la lisca centrale e procedere con piccoli tagli verso l’interno del pesce, fino a separare i filetti. Per capire meglio, potete guardarvi questo video di Coquis - Ateneo Italiano della Cucina.

Usando poi un paio di pinzette (ci sono quelle specifiche per il pesce), rimuovete le lische residue, che si trovano nella parte centrale dei filetti e poi, sempre usando un coltello affilato, rifilateli, rimuovendo la parte di pelle sui bordi che, normalmente, è più spessa e meno gradevole, sia alla vista che al gusto.

Rimuovete infine la parte più scura della polpa, quella vicino alle interiora, che ha un sapore piuttosto forte e amaro.

Pulite poi le zucchine e, usando una mandolina - potete farlo anche a mano, ma dovete essere più bravi di un chirurgo di fama - affettatele nel verso della lunghezza, ricavando fettine di non più di un millimetro di spessore, cosa necessaria per poterle poi arrotolarle senza che si spezzino.

Considerate due fettine di zucchina per ogni filetto di aringa, una leggermente più lunga della lunghezza del filetto ed una più corta di un paio di centimetri, in modo che, quando arrotolerete il tutto e per effetto dei differenti diametri di avvolgimento, ciascun involtino risulti ben formato.

Mettete la fettina di zucchina più lunga sul piano di lavoro, poi sopra il filetto di aringa e, per finire, la fettina di zucchina più corta. Personalmente non ho salato, dato che la sapidità naturale dell'aringa era più che sufficiente per assicurare il corretto equilibrio salino ma, naturalmente, voi valutate in base al pesce che avete preso e ai vostri gusti.

Partendo da una estremità, avvolgete il tutto, senza stringere troppo, quindi tenete in forma l'involtino legandolo con un pezzo di spago da cucina, anche in questo caso senza stringere troppo.

Mettete gli involtini momentaneamente da parte e, prima di friggerli, preparate pinoli e uvetta, facendo rinvenire quest'ultima mettendola a bagno in acqua fredda per una decina di minuti, per poi scolarla e asciugarla.

Prendete poi una piccola padella, meglio se anti-aderente, metteteci un cucchiaio di olio extravergine, il rametto di finocchietto selvatico, lo zucchero di canna, due cucchiai d'acqua, due di aceto di mele o di vino bianco e portatela sul fuoco, a fiamma media.

Non appena lo zucchero si sarà sciolto, unite uvetta e pinoli, alzate un poco la fiamma e proseguite fino a quando il fondo non si sarà asciugato, lasciandovi una sorta di sciroppo, momento in cui spegnerete la fiamma e farete intiepidire il tutto.

Prima di procedere con la frittura finale, tirate fuori il freddo di cipolla dal freezer e, se vi dovesse sembrare troppo duro, frullatelo brevemente in modo da renderlo meno compatto.

Prendete una padella per friggere, metteteci abbondante olio per frittura - idealmente gli involtini dovrebbero poter essere completamente immersi - e portatela sul fuoco, ricordando che la temperatura al momento della frittura dovrà essere non troppo alta, all'incirca 150°, altrimenti la farina tenderà a bruciarsi prima che pesce e zucchine siano a cottura.

Mentre l'olio si scalda, mettete due cucchiai ben colmi di farina in un piatto, poi riprendete gli involtini e infarinateli con delicatezza - l'umidità naturale di zucchine e pesce è più che sufficiente a far aderire la farina - avendo cura di far cadere la farina anche all'interno degli involtini.

Tornate alla padella e, quando l'olio è alla giusta temperatura, cominciate a friggere gli involtini, ricordandovi di eliminare la farina in eccesso prima di immergerli nell'olio e facendo in modo che questi siano ben separati tra di loro, senza avere fretta di friggerli tutti insieme.

Mano a mano che gli involtini sono pronti - io, come già detto, ho fritto ciascun involtino per un paio di minuti - scolateli delicatamente, metteteli in un piatto, sul quale avrete messo qualche foglio di carta da cucina o per frittura e poi eliminate lo spago da cucina, senza timore dato che la cottura avrà bloccato gli involtini nella loro forma.

Quando avete fritto tutti gli involtini, procedete rapidamente con l'impiattamento, mettendo per prima cosa un cucchiaio di freddo di cipolla sul fondo di ciascun piatto, poi disponendo l'involtino sopra di esso e, usando un cucchiaino, facendo cadere un po' di pinoli e uvetta all'interno degli involtini.

Per ultimo i biscotti di frolla al pecorino, che potete inserire delicatamente all'interno di ciascun involtino, in modo che rimanga in posizione, quasi fosse una cialda infilata nel gelato.

Guarnite come meglio credete e portate rapidamente in tavola, per evitare che il freddo di cipolla cominci a sciogliersi.

Buon appetito.

Le mie ricette - Piccole millefoglie di verdure, Emmentaler DOP, briciole di speck ed erba cipollina, con morbido di pere al ginepro e grappa


Questa ricetta partecipa, nella categoria “Emmentaler DOP”, al concorso organizzato da Formaggi Svizzeri e dal Blog Peperoni e Patate.

Dopo la prima ricetta del concorso a base di Gruyère DOP, arriva ora la seconda a base di Emmentaler DOP, altro grande formaggio della tradizione svizzera e, credo, a noi più familiare, visto che il formaggio con i buchi, almeno per quanto mi riguarda, ha accompagnato buona parte della mia adolescenza.

Rispetto al Gruyère DOP, considero l’Emmentaler DOP un formaggio leggermente più impegnativo, dal sapore sicuramente più particolare, frutto peraltro delle caratteristiche del suo processo di produzione e di stagionatura, e che richiede un uso attento nelle preparazioni, proprio per nobilitarne il sapore, evitando di trattarlo alla stregua di un generico formaggio, cosa che l’Emmentaler DOP non è di certo.

Questa particolarità ha fatto si che - lo ammetto - la decisione su come utilizzarlo sia stata particolarmente sofferta, alla ricerca di una preparazione che lo esaltasse e, al tempo stesso, la differenziasse da quanto avevo già fatto per il suo cugino Gruyère DOP.

Alla fine ho deciso per un abbinamento con le verdure, scegliendo patate, verza, fiori di zucca, zucchine, porri e funghi porcini, preparando delle piccole millefoglie (per la cronaca, sono sempre alla ricerca di una risposta circa il genere maschile o femminile di questo nome), nelle quali ciascuno strato di verdure viene separato da uno a base di formaggio, speck ed erba cipollina.

Ho poi accompagnato le millefoglie con una salsa molto morbida - da cui il nome - a base di pere, grappa alla pera e ginepro, quasi a celebrare il famoso detto che suggerisce di tener nascosto al contadino la bontà dell’abbinamento del frutto con il formaggio.

In definitiva, quindi, un piatto tutto sommato internazionale, vista la diversità delle verdure utilizzate, ma con un chiaro richiamo ai paesaggi montani grazie alla presenza dello speck, dell’erba cipollina, del ginepro e, ovviamente, dell’Emmentaler DOP.

Per quanto riguarda lo speck, anziché usarlo nel modo classico, a fette, l’ho prima tostato in forno e poi ridotto in piccole briciole, che ho poi unito al formaggio, anch’esso ridotto in piccole scaglie, aggiungendo infine l’erba cipollina finemente tagliata.

Direi quindi una preparazione semplice e veloce, con quasi tutte le verdure lavorate a crudo, per il taglio delle quali è consigliabile l'uso di una mandolina di qualità, in modo da poter essere costanti e sottili negli spessori.

Per quanto riguarda infine le quantità, tenete presente che io ho cotto la millefoglie in una piccola teglia rettangolare, di circa 15x10 centimetri, sufficiente per quattro porzioni. Vi ricordo, in ogni caso, che la preparazione si basa anche sull’equilibrio dei diversi strati, per cui valutate sempre in base alla vostra esperienza le reali quantità necessarie, considerando quelle date come una sorta di riferimento.

Ingredienti (per 4 persone)

Per le millefoglie
  1. Cento grammi di Emmentaler DOP
  2. Quattro fette di speck tagliate sottili
  3. Tre patate a pasta gialla
  4. Otto fiori di zucca
  5. Quattro zucchine romanesche
  6. Quattro foglie di verza
  7. Un porro
  8. Due funghi porcini di media dimensione
  9. Una ventina di fili di erba cipollina
  10. Olio extravergine di oliva
  11. Sale e pepe
Per il morbido di pera
  1. Due pere (io ho usato le Williams)
  2. Quattro cucchiai di grappa alle pere
  3. Un cucchiaio colmo di zucchero di canna
  4. Dieci bacche di ginepro
  5. Pepe bianco

Direi di partire con il morbido di pere, che può essere preparato con un certo anticipo, volendo anche il giorno prima.

Sbucciate le pere, rimuovete i semi e la parte centrale, più dura, poi tagliatele grossolanamente in pezzi, che metterete in un pentolino insieme alla grappa di pere e allo zucchero.

Mettete le bacche di ginepro sul tagliere e, usando un coltello con la lama grande, dividete ciascuna bacca in due, raccogliendole poi in un cuoci spezie o, se non l’avete, mettendole all’interno di un foglio di garza sterile che poi legherete in modo da realizzare una sorta di sacchetto, che metterete nel pentolino insieme alle pere e agli altri ingredienti (potete ovviamente anche mettere le bacche di ginepro, divise a metà, direttamente nel pentolino, ma poi vi dovrete ricordare di toglierle una ad una prima di frullare il tutto).

Portate il pentolino sul fuoco, a fiamma minima e con il coperchio, facendo cuocere fino a quando le pere non saranno molto morbide. Se dovesse servire, durante la cottura, aggiungete un poco d'acqua in modo da mantenere le pere sempre umide.

Quando le pere sono pronte, spegnete la fiamma, date una generosa macinata di pepe bianco e poi, usando il frullatore tradizionale o quello a immersione, riducete il tutto in una sorta di crema, facendo in modo che non rimangano residui solidi.

Nel caso il morbido di pere vi sembrasse troppo liquido, riportatelo sul fuoco, a fiamma media, e fate andare giusto il tempo a fare evaporare l’eccesso di liquido.

Mettete il morbido di pere da parte e dedicatevi alla polvere di speck, prendendo le fette, che devono essere tagliate piuttosto sottilmente, eliminandone la parte grassa e mettendole poi in una teglia, nella quale avrete messo un foglio di carta da forno.

Infornate a 100° per una mezz’ora, fino a quando le fette non risulteranno ben secche al tatto, momento in cui le toglierete dal forno e le farete freddare.

Mettete le fette di speck sul tagliere, copritele con un foglio di carta da forno - questa operazione serve ad evitare che lo speck cominci a spargersi per tutta la cucina - e usando un pesta carne o un matterello esercitate una pressione in modo da frantumare lo speck.

Volendo potete poi rifinire il tutto, togliendo la carta da forno e usando un coltello a lama grande, con il quale triterete lo speck come fosse un erbetta.

Grattugiate l’Emmentaler DOP, usando una grattugia che vi consenta di ricavarne delle piccolo scaglie - la pasta dell’Emmentaler DOP ha una consistenza tale da rendere problematico l’uso di una classica grattugia da parmigiano - raccogliendo il formaggio in una ciotola, nella quale aggiungerete poi le briciole di speck appena preparate, l’erba cipollina, che prima taglierete finemente con il coltello (ricordatevi che l’erba cipollina va sembra tagliata e mai tritata) e una generosa macinata di pepe nero.

Mescolate per benino in modo da armonizzare gli ingredienti e poi mettete la ciotola in frigorifero o in luogo fresco, in modo che il formaggio non si ammorbidisca troppo.

Procedete ora con la preparazione delle verdure, premettendo che queste non andranno salate, dato che la sapidità del piatto sarà assicurata dalla presenza dello speck essiccato, essiccazione che accentua di molto la sua già naturale sapidità.

Dedicatevi per prima cosa a quelle verdure che richiedono una breve cottura preventiva, prendendo le foglie di verza, quelle più esterne, e tenendo solo la parte più verde, eliminando quindi la costola centrale e la parta più bianca.

Portate ad ebollizione abbondante acqua, non salata e, in attesa del bollore, prendete una ciotola bella grande e riempitela con acqua freddissima, magari aggiungendo anche del ghiaccio o, se non l'avete, mettendo la ciotola con l'acqua nel frigorifero.

Quando l’acqua è a bollore, tuffateci le foglie di verza e fatele cuocere per cinque minuti, quindi scolatele usando un mestolo bucato e travasatele immediatamente nell’acqua ghiacciata, in modo da, come si dice in gergo, fissarne la clorofilla e mantenerne quindi il suo bel colore verde brillante, poi scolatele e fatele asciugare in corrente d’aria.

Tanto che la verza si asciuga, pulite il porro, eliminando la parte finale con la barba, quindi tagliatelo molto sottilmente, partendo dalla parte bianca e fermandovi quando arrivate a quella verde.

Prendete una padella, meglio se anti-aderente, metteteci due cucchiai di olio extravergine e portatela sul fuoco e, quando l’olio comincia a scaldarsi, unite i porri e mezzo bicchiere d’acqua.

Regolate la fiamma sul livello medio e fate cuocere, girando di tanto in tanto, fino a quando il fondo di cottura non sarà evaporato. Se avete dosato bene l’acqua, dovreste ritrovarvi con dei porri più morbidi ma con ancora una certa croccantezza residua.

Spegnete la fiamma, fate raffreddare i porri e procedete con le altre verdure, partendo dai fiori di zucca, dei quali dovrete prendere solo i petali di colore giallo-arancione, scartando quindi la base del fiori e il pistillo che si trova al loro interno.

Patate e zucchine le taglierete invece molto sottilmente, ad uno spessore inferiore al millimetro - ecco perché vi ci vuole la mandolina - ricordando di tagliare le patate per ultime, dato che queste hanno la tendenza ad annerirsi.

Pulite i funghi porcini, eliminando la terrà più grossa con un coltellino e poi quella rimanente usando un panno o un foglio di carta da cucina inumidito - mai lavare i funghi in acqua, dato che tenderebbero ad assorbirla - poi metteteli sul tagliere e tagliate anch’essi a fettine, anche se, in questo caso, potete farle leggermente più spesse, dato che la loro consistenza è sicuramente minore di quella delle patate e delle zucchine.

Bene, ci siamo e possiamo partire con l’assemblaggio finale, scegliendo per prima cosa la teglia, meglio se anti-aderente, e ungendola con qualche cucchiaio di olio extravergine.

Fate poi un primo strato con le patate, sovrapponendole leggermente in modo che possano ricoprire tutto il fondo, senza lasciare spazi vuoti e con uno spessore complessivo leggermente maggiore di quello degli strati interni che farete successivamente.

Sulle patate aggiungete il formaggio con lo speck, l’erba cipollina e il pepe, avendo cura che questo sia distribuito in modo omogeneo, ma senza fare uno stato troppo compatto e spesso.

Proseguite alternando verdure e formaggio - non esiste una regola sull’alternanza delle verdure, se non quella che suggerisce di creare un deciso contrasto cromatico, scegliendo quindi come adiacenti verdure dai colori in netta contrapposizione - fino ad esaurire le verdure e terminando con uno strato di patate, in modo che le millefoglie siano appunto racchiuse tra due strati di patate.

Cercate di arrivare fino al bordo superiore della teglia, nel caso utilizzando più volte una stessa verdura, ed esercitando poi una certa pressione per compattare il tutto, considerando che l’altezza della millefoglie si ridurrà almeno di un terzo durante la cottura, sia per effetto dello scioglimento del formaggio, che per la perdita di umidità delle verdure stesse.

Distribuite il formaggio sopra l’ultimo strato di patate, poi infornate a 200° per venticinque minuti - il tempo dipende ovviamente anche dalla quantità effettiva che avete preparato - in modo da fare una cottura intensa ma non prolungata.

Quando la millefoglie è pronta, toglietela dal forno e fatela intiepidire prima di tagliarla e ricavarne le singole porzioni, che potete fare come meglio credete, a partire da misure da finger food, come ho fatto io, o più tradizionali.

Impiattate, disponendo le millefoglie e, accanto ad esse, un cucchiaino di morbido di pera, quindi guarnite come meglio credete e portate in tavola.

Buon appetito.

24 ottobre 2014

Gruyère DOP liquido alle castagne, con polvere di verza, crostini di pane all’aglio, pomodori disidratati e tuorlo fritto


Questa ricetta partecipa, nella categoria “Gruyère DOP”, al concorso organizzato da Formaggi Svizzeri e dal Blog Peperoni e Patate.

Partirò con una piccola premessa, che spero non suoni fastidiosamente accademica, ricordando che il formaggio “Gruyère DOP” deve il suo nome al Distretto della Gruyère, del Canton Friburgo, dove appunto viene prodotto. In Italia, per motivi oscuri, spesso invece usiamo tale termine per indicare un altro formaggio, sempre di origine svizzere, e precisamente l’Emmentaler DOP, il formaggio con i classici buchi.

Personalmente sono stato anch’io a lungo vittima di questa confusione, confondendo i due formaggi - anzi, direi anche peggio, visto che consideravo i due nomi come perfetti sinonimi - di fatto ignorando il vero Gruyère DOP, un formaggio che invece mi ha piacevolmente sorpreso, per particolarità del sapore e morbidezza al gusto.

Devo anche riconoscere, ma qui immagino giochi anche la mia poca esperienza con i formaggi d’oltralpe, che sia il Gruyère DOP che l’Emmentaler DOP sono formaggi che io considero difficili, formaggi cioè che “vanno mangiati sapendo di mangiare un formaggio”. Con questa affermazione, che agli occhi appare come una tautologia con i fiocchi, intendo dire che questi formaggi vanno gustati come un vero e proprio piatto e non come una sorta di complemento. In altre parole, è attorno a questi che va costruito il piatto, con tutti gli altri elementi che lo compongono che devono ad essi abbinarsi, e non viceversa, dove il formaggio è una sorta di riempitivo (mi rileggo e mi scopro assai criptico, anche se spero che il senso del discorso sia stato colto).

Esaurita la premessa e ricordandovi che, dopo questa, seguirà anche una ricetta a base di Emmentaler, mi tuffo a bomba nella descrizione di ciò che ho preparato.

Bene, considerando la provenienza dello splendido formaggio, dal sapore morbido e intenso, ho pensato ad una ricetta che, come impronta generale, ricordasse gli splendidi paesaggi dove vivono indisturbate le amiche mucche che producono il latte con il quale il formaggio è prodotto.

E, appunto a ricordare il latte, ho deciso per una versione liquida del Gruyère DOP, una sorta di fonduta tenuta ben più liquida della sua classica versione e arricchita con le castagne, perfette in questo periodo, per un piatto da mangiarsi rigorosamente "al cucchiaio", abbinando poi ingredienti che richiamassero, nei colori e nelle consistenze, i meravigliosi alpeggi svizzeri:
  • la polvere di verza, a richiamare il prato;
  • i pomodorini disidratati, a richiamare i fiori;
  • i crostini di pane, che con la loro croccantezza rappresentano i sassi.
Per ultimo, poi, l’elemento più importante, il sole, rappresentato dal tuorlo d’uovo fritto e posto al centro del piatto, come giusto che sia, e che poi dona la sua energia a tutto il resto nel momento in cui il tuorlo viene rotto, facendo fuoriuscire il suo interno, ancora liquido.

La preparazione non è complicata, con la sola eccezione del tuorlo fritto, che richiede un minimo di manualità e pratica, ma nulla che non si possa fare.

Concludo dicendovi che, se avete tempo, potete mettere in infusione il Gruyère DOP con un giorno di tempo, in modo da consentire agli ingredienti di avviare il processo di armonizzazione con un certo anticipo.

Ingredienti (per 4 persone)

Per il Gruyère DOP liquido
  1. Cento grammi di Gruyère DOP svizzero
  2. Ottanta grammi di polpa di castagne (vedi dopo)
  3. Duecento grammi di panna fresca
  4. Cinquanta grammi di latte intero
  5. Maizena o fecola (opzionale, vedi dopo)
  6. Noce moscata
  7. Pepe bianco
  8. Sale
Per i tuorli fritti
  1. Quattro uova
  2. Pangrattato
  3. Olio per figgere (oliva o arachidi)
  4. Sale
Per tutto il resto
  1. Due foglie di verza (vedi dopo)
  2. Otto pomodorini Datterino o Ciliegino
  3. Due fette di pane casareccio
  4. Mezzo spicchio d’aglio
  5. Olio extravergine d’oliva
  6. Un pizzico di zucchero semolato
  7. Un pizzico di sale

Partite con la bollitura delle castagne, una delle componenti del liquido di Gruyère DOP che, come detto sopra, potete fare anche il giorno prima, in modo da dargli il tempo di insaporirsi la meglio.

Considerando la quantità di polpa di castagne che dovrete utilizzare e la parte che invece scarterete, direi di partire con una quantità pari ad una volta e mezza il peso indicato, quindi circa centoventi grammi.

Fate una leggera incisione sul guscio delle castagne - l’incisione non è obbligatoria nella bollitura e molti non lo fanno ma, in ogni caso, mi raccomando che sia poco profonda, solo per inciderne la buccia - e poi mettetele in una pentola, coperte da un paio di litri di acqua fredda, alla quale aggiungerete un cucchiaino di sale.

Portate la pentola sul fuoco, con il coperchio e, da quando l'acqua prenderà il bollore, calcolate circa cinquanta minuti di cottura, quindi spegnete la fiamma e lasciate le castagne ad intiepidirsi nella loro acqua, dalla quale le prenderete una ad una per sbucciarle ed eliminare la pellicina che si trova sotto la buccia.

Nel caso decideste di preparare il piatto fuori stagione, o più semplicemente se foste pigri, allora potete usare le castagne secche o, cosa ancora migliore, prenderle già lessate, considerando che oramai si trovano abbastanza facilmente, confezionate in atmosfera protettiva e, devo dire, veramente molto buone; costano un po’ di più, ma vi fanno risparmiare tempo e fatica.

Quale che sia la scelta fatta, raccogliete i pezzi di castagna nel passaverdure o nello schiaccia patate e passateli in modo da ottenerne una polpa omogenea, senza pezzi interi. In alternativa potete schiacciare le castagne con i rebbi di una forchetta, anche se in questo caso sarà più difficile ottenere la stessa omogeneità.

Prendete ora un pentolino, meglio se di acciaio, e metteteci la polpa delle castagne, la panna fresca, il latte, un pizzico di noce moscata e una leggera macinata di pepe bianco.

Usando una grattugia che vi consenta di ricavare piccole scaglie, grattugiate il Gruyère DOP, pesandolo e unendolo nel pentolino, poi mescolate con una forchetta e, se avete tempo, coprite con un pezzo di pellicola trasparente e mettete in frigorifero per tutta la notte.

Quando siete pronti per procedere, ricordando che ciò dovrà avvenire almeno un paio d’ore prima di servire, procedete con gli ingredienti accessori, partendo con quelli che dovranno essere essiccati in forno.

Dalla verza prendete le foglie più esterne, scegliendo solo la parte più verde ed eliminando quella bianca, peraltro più dura, poi prendete una teglia, metteteci un foglio di carta da forno, deponeteci sopra le foglie di verza, senza aggiungere altro, e infornate a 70° per circa mezz’ora e comunque fino a quando la verza non sarà diventata ben croccante.

Mi raccomando, non abbiate fretta e non alzate la temperatura, dato che la verza deve essiccarsi, non cuocersi, e 70° è la giusta temperatura per far evaporare l'acqua in modo non traumatico.

Tanto che la verza è in forno, tagliate ciascun pomodorino in quattro spicchi e poi, usando un piccolo coltellino, eliminate i semi e la parte interna, più acquosa, disponendo gli spicchi, al solito, in una teglia con il solito foglio di carta da forno sul fondo.

Distribuite sui pomodorini un pizzico di sale ed uno di zucchero, quindi infornate alla stessa temperatura della verza - ovviamente, se avete un forno capiente, potete procedere in parallelo - lasciando disidratare i pomodori per circa un’ora, in modo che risultino raggrinziti ma non secchi.

Quando la verza è pronta, tiratela fuori e, usando il mixer - ma la cosa si può fare anche con le mani - riducetela in una sorta di polvere piuttosto sottile, mentre i pomodorini, anch’essi quando pronti, li fare semplicemente freddare.

Per ultimo i dadini di pane, eliminando la crosta dalle fette - scegliete un pane casareccio con la mollica molto compatta e non troppo asciutta - e tagliando la mollica in dadini regolari e piuttosto piccoli, direi non più di mezzo centimetro di lato.

Sbucciate lo spicchio d’aglio e tagliatelo a metà e poi, con la parte tagliata, strofinate per bene il fondo di un padellino anti-aderente, in modo che gli umori dell’aglio possano profumare il suo fondo.

Aggiungete due cucchiai di olio extravergine e portate il padellino sul fuoco e, quando questo sarà ben caldo, unite i dadini di pane, facendoli saltare velocemente e girandoli, in modo che possano dorarsi uniformemente.

Non appena i dadini saranno pronti, travasateli in un piatto, sul quale avrete messo un foglio di carta da cucina o per frittura, in modo che l'olio in eccesso possa essere assorbito.

Ora è il momento del liquido di Gruyère DOP, per il quale riprenderete il pentolino dal frigorifero, darete una veloce mescolata sempre con una forchetta e lo porterete sul fuoco, a fiamma minima e, meglio ancora, usando anche una retina spargi fiamma.

Fate salire gradualmente la temperatura, mescolando sempre con la forchetta, fino a quando il formaggio non si sarà completamente sciolto, ricordando che la temperatura non deve mai raggiungere il punto di ebollizione, cosa che comporterebbe la separazione della parta grassa del formaggio e la conseguente formazione dei grumi.

Valutate ad occhio la densità composto e, ma solo se questa vi dovesse sembra eccessivamente liquida - ricordate che non state preparando una fonduta ma, appunto, un liquido - potete aggiungere una punta di maizena o di fecola, setacciandola con un colino a maglie fitte e mescolando fino a quando noterete l’addensarsi del tutto.

Quando il liquido è pronto, setacciatelo usando un colino a maglie fitte e aiutandovi con il dorso di un cucchiaio, con il quale premerete il composto sulle pareti del colino, raccogliendo il tutto in una ciotola e lasciando i residui solidi all’interno del colino.

Coprite la ciotola con un foglio di pellicola trasparente, in modo che il liquido di Gruyère DOP rimanga tiepido tanto che ultimate la preparazione (nel caso doveste o voleste successivamente scaldarlo, fatelo a bagnomaria)

Passate ora alla frittura dei tuorli, operazione delicata e da fare per ultima, prendendo per prima cosa una scodella e riempiendola con abbondante pangrattato.

Rompete le uova e separate le chiare dai tuorli - usate il metodo che vi è più congeniale - e deponete con la massima delicatezza questi ultimi nella scodella con il pangrattato.

Preparate anche quattro piccoli quadrati di carta da forno - uno per ogni uovo - di più o meno di dieci centimetri di lato.

Usando un cucchiaio, distribuite il pangrattato sui tuorli, in modo da ricoprirli completamente, poi, sempre usando il cucchiaio e infilandolo in profondità sotto a ciascun tuorlo, sollevatelo e, tenendo in una mano il pezzo di carta da forno e nell’altra il cucchiaio con il tuorlo, fate passare quest’ultimo, più volte e delicatamente, dal cucchiaio alla carta, in modo che, ad ogni passaggio, il pangrattato in eccesso possa cader via.

Quando tutto il pangrattato in eccesso sarà scivolato via, rimanendone attaccato al tuorlo solo un leggero strato, appoggiate il foglio di carta, con il tuorlo sopra, sul piano di lavoro, ripetendo poi tutta l’operazione per gli altri tuorli.

Prendete ora una padella per friggere, di diametro non eccessivo, e riempitela con olio per friggere, in quantità tale che l’altezza raggiunta dall’olio sia almeno pari al doppio dell’altezza di un tuorlo.

Portate l’olio a circa 140°, non di più, poi prendete il foglio di carta con il tuorlo - dati i tempi brevissimi, operate con un tuorlo alla volta - e, immergendo parzialmente il foglio nell’olio, fateci scivolare dentro il tuorlo.

Fate friggere per una quindicina di secondi, poi, sempre usando un cucchiaio, girate delicatamente il tuorlo e fatelo friggere per altri quindici secondi, quindi prendetelo nuovamente con il cucchiaio, sollevatelo, e fate colar via l’olio residuo, mettendo infine il tuorlo su un’altro foglio di carte da forno delle stesse dimensioni di quelli già utilizzati (non lo mettete direttamente su un piatto, altrimenti potrebbe attaccarsi).

Tenete presente che, al di là dei tempi indicati, dovrete ottenere un tuorlo nel quale la parte esterna, per effetto della frittura, sia tale da costituire una sorta di involucro semirigido per l’interno, che invece deve rimanere liquido.

Salate leggermente il tuorlo in superficie, poi ripetete tutta la sequenza per gli altri tuorli.

Bene, non resta che comporre i piatti, distribuendo per prima cosa, sul loro fondo, un mestolo di liquido di Gruyère DOP e poi, con molta delicatezza e usando sempre i fogli di carta da forno come una sorta di scivolo, deponete al centro di ogni piatto un tuorlo fritto.

Distribuite poi la polvere di verza, i dadini di pane e i pomodorini, questi tagliati prima in pezzi più piccoli, in modo da ricreare l’idea di prato, quindi guarnite come meglio credete e portate in tavola.

Buon appetito.