23 maggio 2015

Epistemologia del gelato


Ovvero breve prontuario del novello consumatore di gelato, per navigare in un mare tempestoso, dove la rotta sembra essersi oramai persa e dove la meta si confonde con il miraggio

“...c'è più lavoro da fare, ma preferisco produrre in laboratorio da me tutte le variegature, le salse, infusi, uso spezie intere e non in polvere, proprio per essere certa che sia tutto fresco e naturale...”

Premessa "After the fact"

E si, ho aggiunto questa premessa dopo la prima pubblicazione e, soprattutto, dopo le discussioni (e in alcuni casi le polemiche) che ne sono seguite e che, con poche eccezioni, si sono sempre concentrate su "un differente modo di vedere la cosa", soprattutto per quanto riguarda il tema della naturalità del gelato, tema che peraltro costituisce uno dei punti chiavi di tutto ciò che seguirà.

Ora, dato che sono stato educato al rispetto delle opinioni degli altri (e alla regole aurea che ci suggerisce, o ci dovrebbe suggerire, di criticare le idee e non le persone) e che sono il primo a riconoscere che parlerò di temi sui quali non esiste una definizione scientifica, per cui molto si rimanda a valutazione soggettive, dico sin da subito che tutto quelle che segue rappresenta il mio personale pensiero sul mondo del gelato, senza alcuna pretesa che questo sia anche quello degli altri.

Spesso tale pensiero è una riformulazione di quello delle persone che mi hanno aiutato, per cui potrei dire che in parte è mio e in parte è loro, ma comunque il discorso non cambia e invito tutti a leggere quello che segue con il giusto disincanto e di valutarlo in base al loro personale punto di vista e che, qualora questo si discosti dal mio, non si tratterà di errore, di qualcosa da correggere, ma solo di opinioni diverse, ognuna delle quali con la giusta dignità di esistenza, visto che sono il primo a credere che la crescita si alimenta principalmente dal confronto e dalla discussione piuttosto che dal consenso.

Altro tema delicato, sul quale ancora una volta si è molto discusso dopo la pubblicazione, è quello che potrei chiamare del libero arbitrio imprenditoriale e cioè del fatto che chiunque, aprendo una gelateria, è libero di farlo seguendo il suo progetto - per dirla all'americana il suo Business Plan - e di conseguenza comportarsi, sia in termini di ingredienti utilizzati che di processo di produzione. Questo implica che quello che segue non deve essere letto, nel modo più assoluto, come una critica a chi pone in essere tale progetto in un modo o nell'altro; fortunatamente viviamo in un paese democratico (checché se ne dica) e ognuno fa quello che meglio crede, ovviamente nel rispetto delle leggi.

La scelta di procedere in un modo o nell'altro, però, oltre ad essere un diritto ritengo sia anche una responsabilità, che si dovrebbe concretizzare, tra le altre cose, nel dovere di rendere evidente ai consumatori ciò che si è scelto di fare, per cui - e scusatemi se lo dico con la massima risolutezza - a me non piacerebbe scoprire che una gelateria che si ammanti del titolo di gelateria artigianale naturale usi invece preparati industriali al posto degli ingredienti freschi (maggiori dettagli su questo punto li darò nel seguito), esattamente come non mi piacerebbe scoprire che un ristorante di pesce, che facesse della freschezza il suo cavallo di battaglia, usasse solo prodotti surgelati o, peggio ancora, piatti pronti da riscaldare al microonde. Lo ripeto, non è una questione di valutazione di un progetto imprenditoriale, ma solo di trasparenza verso chi poi consuma quei prodotti, una trasparenza che la legge peraltro impone, visto che la lista degli ingredienti dovrebbe sempre essere mostrata, ma che poi (antico vizio italico) viene spesso disattesa.

Concludo la premessa evidenziando che la turbolenza del tema è anche dovuta alla mancanza di una definizione concordata di "gelato artigianale", che fissi in modo molto netto i paletti entro i quali dovrebbero muoversi i gelatieri che vogliano fregiarsi di tale titolo.

Una definizione che non sia solo "legislativa", ma che vada al cuore della questione, con tutta la precisione del caso, in modo da ridurre al massimo l'ambiguità e il ricorso ad elementi interpretativi che, se prevalenti rispetto ad una definizione oggettiva, rendono di fatto vana la definizione stessa.

Alcuni tentativi in tal senso sono stati fatti, di diversa progenitura e con differenti fini (non entro nel merito per non gettare benzina sul fuoco), ma da quello che so siamo ancora distanti da una meta condivisa, ammessa che questa possa mai essere raggiunta.
Molto interessante in tal senso la discussione (non so se sia questo il giusto termine) avviata dal Movimento "Gelatieri per il gelato" in risposta ad una di queste proposte circa la possibile definizione di "gelato artigianale".

Introduzione

Questo, senza alcun dubbio, è il post più lungo che abbia mai scritto e anche quello dove ho speso più tempo, per documentarmi, per approfondire e per conoscere chi ha fatto, di questa materia, una ragione di vita e di lavoro.

E’ anche un post vivo e spero possa raccogliere i contributi di chi in tale mondo opera, amando così tanto il gelato da mettere al primo posto la sua naturalità piuttosto che il trarne da esso profitto.

Quella che segue, quindi, è una discussione (nel senso che io l’avvio e voi potete intervenire nei commenti) sul “mondo del gelato”, una discussione che nelle mie intenzioni vuole portare alla luce alcuni elementi che, per ragioni a me ignote, vengono spesso ignorati o peggio volutamente taciuti.

Lungi dal voler essere una “guida per novelli gelatieri”, spero tuttavia ne fornisca alcuni spunti, alcuni punti fermi, che dovrebbero sempre essere tenuti a mente da chi voglia lanciarsi nell’avventura, perché di avventura si tratta, considerando quanto è variegato (visto il tema, non potevo che usare questo termine) tale mondo; una variegatura che, lo dico subito, non si applica solo al gusto ma, ahimè, anche alla qualità.

Una precisazione, poi, su alcuni termini che userò e che, già ne sono sicuro, potranno scatenare vivaci discussioni sul loro significato, oserei dire sul loro statuto ontologico.Il primo insieme di questi termini, ciascuno dei quali userò in diverse declinazioni e variazioni, fa comunque riferimento, in un modo o nell'altro, alla parola “naturale”, che credo si possa ritenere uno dei più abusati nella storia della gastronomia tutta.

Ora, e ce lo spiega benissimo Dario Bressanini nel suo bellissimo blog “La scienza in cucina” e, in particolare, nel post “Che cos’è naturale”, le molecole che compongono la materia hanno proprietà in quanto tali e non in base a come sono state prodotte e quindi una molecola è tale indipendentemente da dove è nata o da dove è stata prodotta. Citando Bressanini: “... non vi è quindi distinzione tra una molecola d’acqua sintetizzata in laboratorio - quindi per qualcuno «artificiale» - e una «naturale». Ha senso quindi usare questa categoria per classificare le molecole? No, non ha molto senso...”.

Bene, preso atto di ciò - e non si potrebbe non prenderne atto - preciso che, nelle righe che seguiranno, io userò il termine “naturale” in un’accezione più emotiva, più vicina a come normalmente lo intendiamo, prendendomi la responsabilità di violare qualche precetto chimico.

Quando userò il termine “naturale”, quindi, indicherò qualcosa che è naturalmente presente in natura, come ad esempio un’arancia e il succo che da essa si può spremere, oppure il latte e la panna che da essa si ottiene. In altre parole, considererò naturale ogni elemento presente naturalmente in natura e alcune sue trasformazioni, tema questo che però impone il dover mettere qualche soglia, qualche limite, per fermarci prima di quelle trasformazioni troppo radicali, che ad esempio mi portano a non considerare naturale un succo d’arancia confezionato che si trova nei banchi del supermercato, che conterrà pure una percentuale di vero succo, ma dove questo è contornato da un bel po’ di altre cose, allontanando in modo deciso il mio concetto di naturalità.

Insomma, non so se io sia stato chiaro o meno (temo di no), ma il senso è che qui parliamo della naturalità come la intende l’uomo comune e non come la intende il chimico e non per dire che quest’ultimo non abbia contatti con il mondo reale, con la sua socialità, ma solo perché ho deciso di assumere un punto di vista piuttosto che un altro.

Un altro termine, altrettanto difficile, è "semi-lavorato", che io userò ad intendere qualcosa che viene preparato industrialmente in un momento ampiamente antecedente a quello del suo utilizzo nelle fasi finali di produzioni del gelato e dove il caso limite (secondo l'accezione che a tale parola darò nel seguito) è rappresentato da quei composti che di fatto sostituiscono totalmente l'uso di ingredienti freschi (volendo fare un paragone, possiamo pensare ai preparati per torte, ai quali basta aggiungere latte o acqua per avere l'impasto bello e pronto). Questa precisazione credo sia importante perché, come qualcuno mi ha fatto notare, anche le uova lavorate con lo zucchero sono di fatto un semi-lavorato (anche se io preferisco, in questo caso, dire che sono un "prodotto intermedio" della lavorazione), che ovviamente ha un valore ben diverso da quelli descritti più sopra.

Chiudo la breve premessa con i dovuti ringraziamenti alle persone senza le quali le pagine che seguono non sarebbero mai state scritte, a partire dall’amico di sempre Cesare Mancini, da qualche anno completamente assorbito dal mondo del gelato, poi a Jo Pistacchio, conosciuto da poco ma del quale ho immediatamente apprezzato la passione, l'entusiasmo e la conoscenza di ciò che ruota intorno al magico mondo del gelato e, per finire, ma solo perché l’ho conosciuta da pochissimo, a Maria Agnese Spagnuolo, che per gli amanti del gelato non dovrebbe aver bisogno di presentazioni, ma che nel dubbio ricordo essere la mente, le braccia, il cuore e il cervello di Fata Morgana, una delle pochissime (se non l’unica) gelateria che possa fregiarsi in modo assoluto del titolo di “gelateria artigianale naturale” (secondo il significato che io attribuisco a tale termine, ovviamente).

Uno - Il gelato, zona franca della gastronomia ?

Amo il gelato. Smodatamente. Da appassionato gastronauta, però, non mi accontento del fatto che un gelato sia "buono", ma vado a curiosare tra i suoi ingredienti, esattamente come sono abituato a fare per altri tipi di cibo, perché sia chiaro che il gelato è

CIBO

Anche se, per qualche strana congiunzione astrale, sembra non venga considerato tale, quanto piuttosto una sorta di collante sociale, che consumiamo quando “stiamo insieme”, che è fresco, che è momento di gratificazione, se non di premio - ”se fai il bravo mamma ti compra il gelato” - per i nostri figli.

C’è un mistero, quindi, per me incomprensibile, che permea il mondo del gelato. Un mistero che mi induce ad indagare, come da titolo, gli aspetti epistemologici per cercare di capire cosa possiamo ambire a conoscere e come possiamo giungere a tale conoscenza (i filosofi si staranno già rivoltando nelle loro tombe, sulle loro sedie o nei loro letti, ma ammetto candidamente e serenamente di essere per una filosofia applicata. Applicata al cibo ovviamente).

Una sorta di “ricerca dell’ingrediente perduto”, o meglio, una ricerca volta a scovarlo nei meandri di altri ingredienti, che farebbero più bella figura all’interno del “Piccolo Chimico” piuttosto che in qualcosa che allegramente consumiamo.

Il gelato, quindi, rifugge quelle attenzioni, quasi maniacali a volte, che invece mettiamo quando si tratta di acquistare e consumare altri alimenti. Un’attenzione che porta molti a spendere giornate intere davanti agli scaffali dei negozi, leggendo le etichette e cercando di orientarsi tra termini che mettono in difficoltà la dizione prima che lo stomaco.

Come ben descrive Jo Pistacchio, esperto della materia:
“Il gelato è un alimento, abbastanza completo, che non è mai stato toccato dalle varie discussioni di “condanna”. E' ancora qualcosa che si gusta per piacere, per ridurre la calura estiva (infatti in Italia rimane, tranne poche eccezioni, un alimento stagionale), per l'emozione di tornare bambino.Non rientra nei piatti da "analizzare / reingegnerizzare / dividere / scomporre" e ognuno pensa che il gelato più buono sia quello della sua gelateria fidata. Da qualche anno è intervenuto il Marketing, distorcendo in parte il fenomeno attraverso messaggi che deviano l’attenzione dei consumatori laddove si vuole che questa sia deviata. Per ora si parla poco di gelato perché neanche i gelatieri (quei pochi veri che ci sono, pochissimi) riescono a comprendere un gelato buono da uno cattivo dall'assaggio. Molto dipende dall'industria che ha standardizzato i gusti, complici i semilavorati che la fanno da padrona nel 96% delle gelaterie, facendo si che i gelati sembrano tutti uguali, realizzati con metodi da farmacisti / chimici / fisici, per cui dopo averne mangiato uno non ti rimane nulla nella tua memoria esperenziale gustativa.”
Prima pausa introspettiva: tornate indietro con la memoria, entrate in punta di piedi nel vostro io cosciente, e cercate di ricordare quante volte avete speso del tempo per leggere le etichette dei gelati confezionati o quelle che, per legge, devono essere presenti anche nelle gelaterie.

Siamo spesso paladini di crociate contro le multinazionali del cibo - sorvolo sul fatto che ai tempi della rete essere paladini vuole semplicemente dire “retwittare” o “condividere”, senza il benché minimo spirito critico - ma raramente lo facciamo contro quelle del gelato, ammesso che abbia senso farle.

“Mai farei mangiare a mio figlio gli hamburger di un Fast Food !”

“Le patatine fritte industriali ? Vade retro Satana !”

“Le merendine confezionate ? Stai scherzando, spero, sono piene di additivi e poi c’è pure l’olio di palma. Anatema, anatema vi colga !”

Seconda pausa introspettiva: visto che già siete dentro, chiedete anche al vostro io cosciente se, in un momento della vostra vita, non vi abbia mai fatto pronunciare frasi del genere. Scommetterei serenamente sul fatto che, nella maggior parte dei casi, la risposta sarebbe un bel “si”.

Che dire, non capisco perché, che so, per un hamburger di Mc Donald’s si eseguano analisi degne di CSI per evidenziarne cosa ci sia dentro, mentre per un gelato è sufficiente che piaccia e che sia cremoso.

Due - Essere o apparire ?

Si dice che anche l’occhio voglia la sua parte, ma lasciatemi dire che, quando si parla di cibo, dovrebbe essere lo stomaco a volerne quella maggiore.

Però si sa, siamo nell’era dell’immagine e della comunicazione, che spesso e volutamente spostano l’attenzione da “cosa un prodotto è” a “come un prodotto appare” e lo fanno così bene che ci siamo completamente dimenticati del monaco e del suo abito, tanto da non essere più in grado - ma forse non ne abbiamo neanche voglia - di capire se siamo davanti o meno ad un vero uomo di fede.

Il monaco, per chi non lo avesse capito, è la gelateria e i suoi abiti sono l’arredamento. Basta che apra una gelateria fighetta, con i gusti scritti con il gessetto sulla lavagna e i contenitori del gelato “come erano una volta” e subito siamo portati a dimostrare l’uguaglianza

arredamento vintage = gelateria artigianale

E non basta, dato che la nostra ambizione algebrica ci porta a dare per vera l’ulteriore uguaglianza

gelateria artigianale = gelato naturale

Ora, tanto per chiarire, dal Vocabolario Treccani si ha:
artigianale agg. [der. di artigiano]. – Di o degli artigiani, fatto da un artigiano o da artigiani: il lavoro a.; soprattutto in contrapp. a industriale: tecnica a.; prodotti a., la produzione a. dei mobili di stile. In giudizî su opere d’arte, ha spesso valore limitativo, per indicare scarsezza di genialità, d’inventiva, di originalità: prosa, versi di fattura artigianale. Avv. artigianalménte, con metodo, tecnica, procedimento artigianale: mobili fabbricati artigianalmente; tappeti tessuti artigianalmente
naturale agg. [dal lat. naturalis]. – 1. Della natura, che riguarda la natura o si riferisce alla natura, nel suo sign. più ampio e comprensivo ... nella locuz. avv. al n., di cosa conservata in modo che non se ne alterino le proprietà ...
Quindi, per capirci, l’artigianalità riguarda il processo produttivo, mentre la naturalità ha a che fare, nel campo della gastronomia, con gli ingredienti e le sostanze usate nelle preparazioni.

Mentre industriale e artigianale sono termini contrari, naturale e un termine da essi indipendente, oserei dire ortogonale, una sorta di seconda dimensione che ci aiuta a capire il fenomeno "gelato".

Si può eseguire un processo industriale e produrre alimenti naturali ? Certamente si, in teoria, anche se spesso l’approccio industriale ha altri obiettivi, decisamente materiali, che remano contro una naturalità integrale.

Si può essere artigiani e produrre qualcosa che tutto è tranne che naturale ? Certamente si, dato che l’artigiano potrebbe avere obiettivi molto più vicini a quelli dell’imprenditore/industriale - massimizzazione del profitto - piuttosto che essere una sorte di predicatore della naturalità.

Sul tema dell’apparire contrapposto a quelle dell’essere, cito anche il pensiero di Cesare Mancini, amico d’infanzia e anche lui grande conoscitore delle materia.
“Il gelato non deve MAI diventare una ‘tendenza’ o peggio ancora il compagno (spesso subdolo) di un momento di svago in compagnia. Quello buono, fatto bene e con ingredienti tutti naturali è prevalentemente CIBO ed in quanto tale va considerato, soprattutto se offerto ai più piccoli. In troppi ormai usano la comunicazione o le strategie di marketing per mascherare l'uso di ingredienti e di sostanze dannose per il nostro organismo. Nella realtà l'unico scopo di questi signori è raggiungere l'obiettivo commerciale, che consiste nel farsi pagare a peso d'oro (considerato con cosa viene prodotto quel gelato) una esperienza sensoriale. Per certi versi una logica abbastanza simile a quella che guida, in altre realtà sociali, gesti ed azioni di persone che non stentiamo a definire "senza scrupoli". E' ancora meglio poi se la "dose" ci viene offerta in un ambiente piacevole, che ci fa sentire coccolati. Per non parlare poi di quando, prima di somministrarci il nostro boccone avvelenato, ci costringono anche a fare qualche minuto di fila (creata ad arte), fila che erroneamente viene interpretata come sintomo di qualità e che nella realtà è invece una vera e propria trappola comunicativa”.
Tre - Il dito e la luna

Immagino conosciate tutti il celebre detto “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”, ad indicare, senza voler fare assunzioni sul quoziente intellettivo di nessuno, l’errore che spesso facciamo nel guardare in superficie, laddove è più semplice guardare, piuttosto che indagare l’essenza delle cose.

E visto che parliamo di gelato, noto che i principali concetti che usiamo per valutarlo afferiscono quasi sempre - anzi, togliamo pure il “quasi” - alla percezione (il dito) e nulla hanno a che vedere con le materie prime utilizzate, né tantomeno con il processo della loro lavorazione (la luna).

Lasciando da parte il “gusto”, elemento totalmente soggettivo e personale, mi soffermo su quelli di “cremosità” e “scioglievolezza”, spesso portati ad esempio di chi sostiene il primato della gelateria che preferisce, ma che mai sono indagati nella loro essenza, per capire da cosa essi derivino e quali ne siano le implicazioni sul processo produttivo e sulla qualità finale.

Questi due concetti sono ben descritti, ancora una volta, da Cesare Mancini:
“Molti dei gelati, indipendentemente dal fatto che questi siano industriali o artigianali, sono prodotti utilizzando semilavorati industriali, che hanno come obiettivo quello di donare una ben precisa struttura e consistenza, al fine di garantire un “aroma centrato e definito” e una “cremosità vellutata al palato”. I gelati prodotti con tali semilavorati hanno la caratteristica di avere un sapore ed una cremosità stabili nel tempo e invarianti rispetto alla stagionalità delle materie prime (quando queste ci sono, ovviamente). Questi semilavorati sono il frutto di un'attività di ricerca del valore di alcuni milioni di euro, che l'industria ha svolto per anni, proprio per avvicinare il prodotto alle esigenze dei consumatori. Non importa utilizzando cosa”.
Tanto per fare un esempio concreto e senza voler fare crociate contro una specifica gelateria - non è proprio questo lo spirito della discussione - mi sono preso la briga di leggere gli ingredienti utilizzati da una nota catena di gelaterie (no, non sto parlando di quella, piuttosto famosa, che inizia con la lettere “G”), ingredienti che riporto così come li ho letti sul loro sito.
Gelato allo yogurt: acqua microfiltrata, yogurt fresco, zucchero, grassi vegetali raffinati, latte in polvere magro, destrosio, maltodestrina, yogurt disidratato, fibre, emulsionanti (mono- e digliceridi degli acidi grassi, esteri acetici di mono- e digliceridi degli acidi grassi), stabilizzanti (sodio alginato, carbossimetilcellulosa, farina di semi di guar), acidificante (acido citrico), aromi.
Ma neanche la frutta, credo da tutti considerata come l’archetipo della naturalità e da consumarsi in purezza, se la cava meglio:
Gelato all’arancia rossa: acqua microfiltrata, zucchero, sciroppo di glucosio in polvere, destrosio, succo di arance di Sicilia liofilizzate, fibre vegetali, acido citrico, olio essenziale di arancia rossa, aroma naturale di arancia, estratto di barbabietola, paprika, stabilizzanti: carbossimetilcellulosa, gomma di xantano, farina di guar. Orgolio (olio di oliva, olio extravergine di oliva, olio essenziale di limone).
Credo che salti subito agli occhi, al di là della mia evidenziazione in neretto, che la vera materia prima quasi si perde nell’insieme degli altri ingredienti, alcuni dei quali dal nome quasi impronunciabile e che sfido chiunque a classificare come ingredienti naturali.

Si tratta ancora di gelato ? Certo, per essere gelato è gelato (nel senso della temperatura), ma poi ? E quale differenza c'è tra questo e un gelato di una multi-nazionale, una di quelle che spesso condanniamo ? Direi ben poche, per non dire nessuna e, a riprova di ciò, ecco gli ingredienti di un famoso gelato industriale, il Carte D’Or allo yogurt e frutti dibosco di Algida (marchio di Univeler):
Gelato allo yogurt e frutti di bosco: yogurt (37%), Latte scremato reidratato, zucchero, olio di cocco, lamponi (6%), sciroppo di glucosio-fruttosio, Lattosio e proteine del latte, sciroppo di glucosio, mirtilli (0,5%), latte scremato in polvere o concentrato, emulsionanti (mono- e digliceridi degli acidi grassi), addensanti (farina di semi di carrube, pectine), correttori di acidità (acido citrico), aromi.
Vedete grosse differenze ? Io proprio no e, anzi, direi che l'ultimo contiene quasi meno additivi del primo

Che dire, potrebbe bastare, ma visto che oramai il dito nella piaga ce l'ho messo, lasciate che ce lo muova dentro, riportando gli ingredienti di un altro gelato industriale, nato oltre oceano e adesso molto famoso anche da noi, l'Häagen-Dazs, del quale ho preso come riferimento il gusto "Vanilla Bean".
Vanilla Bean: cream, skim milk, sugar, egg yolks, ground vanilla beans, vanilla extract (panna, latte scremato, zucchero, tuorli d'uovo, baccelli di vaniglia, estratto di vaniglia).
C'è altro da dire ? Anche in questo caso, direi proprio di no, a conferma di quanto detto più sopra a proposito dell'indipendenza della coppia industriale-artigianale dal termine naturale.

Ovviamente, sia ben chiaro, non sto parlando di tossicità - ci mancherebbe - dato che oramai la ricerca scientifica ha fatto e sta facendo molto, ma del fatto che siamo ben lontani, in molti casi, da quella che sono convinto sia per tutti noi l’idea di gelato naturale, che almeno per me è quello che mi faccio ogni tanto in casa, utilizzando solo ingredienti che trovo al mercato e non in un laboratorio chimico.

Lo ripeto, non sto dicendo che un gelato preparato in questo modo non sia buono (e prova ne è il fatto che questa gelateria - ma l’esempio varrebbe per molte altre - riscuote un grande successo), ma solo che l’associazione dei due termini artigianale e naturale è tutt’altro che scontata e spesso disattesa, così come è altrettanto non scontata quella tra i due termini industriale e non naturale.

Chiudo il capitolo provando ad anticipare una domanda che forse state per farvi e che è relativa alle differenze all'assaggio che vengono percepite tra un gelato artigianale ed uno industriale (parlo di quello delle multi-nazionali). Tali differenze sono essenzialmente dovute alla differente percentuale di overrun, cioè alla quantità di aria che viene incorporata al gelato durante la sua mantecatura e che non è sintomo di truffa al consumatore (“state gonfiando il gelato così a parità di volume il peso è minore e voi ci guadagnate di più”), ma un passo fondamentale della lavorazione, che tra le altre cose attenua la sensazione di freddo quando lo consumate.

Nei gelati artigianali, questa varia tra il 25% e il 40% (percentuali minori per la frutta e maggiori per le creme), mentre un gelato industriale può arrivare anche al 100% (l’unica eccezione, a mia conoscenza, è Häagen-Dazs, con percentuali molto più vicine a quelle del gelato artigianale), motivo che spiega perché le vaschette che compriamo sembrano grandi ma poi contengono, in peso, meno gelato di quanto ci aspetteremmo (beh, lo ammetto, qui il sospetto di puntare al volume per guadagnarci qualcosa in più ci sta tutto).

Aggiungo anche che molte delle sostanze che vengono aggiunte ai semilavorati, usati indistintamente - oramai lo avete capito - nella produzione artigianale e in quella industriale, hanno come ulteriore compito quello di agevolare tale incorporamento, rendendo possibile aumentare il valore di overrun.

Quattro - Della purezza

Chiariamolo subito, un additivo non è di per sé una cosa buona o cattiva; è semplicemente qualcosa che viene aggiunto ad altri ingredienti per raggiungere o rafforzare particolari caratteristiche.

E se è pur vero che spesso un additivo è associato nel nostro immaginario ad una sostanza chimica, non naturale ma sintetizzata in laboratorio, nella realtà non è sempre così, anche se la definizione che ne da la Treccani sembra sostenere questa percezione:
additivo agg. e s. m. [dal lat. tardo additivus (der. di addĕre «aggiungere», part. pass. additus), attraverso il fr. additif]. –  ...  qualifica e (più comunem.) nome generico di sostanze, per lo più chimiche, atte a conferire alcune qualità a un prodotto o a migliorarne, oppure conservarne, alcune caratteristiche: aalimentari (antimicrobici, antiossidanti, coloranti, ecc.); ...
Forse non ne siamo del tutto coscienti, ma nella cucina di casa usiamo molto spesso additivi, come la gelatina alimentare per dare stabilità ad una panna cotta; il lievito per avviare e sostenere la lievitazione; la maizena per dare sofficità ad una torta e cosi via.

Quindi, diciamolo subito, non esiste gelato destinato alla vendita (non uso volutamente i termini artigianale e industriale) che non ne faccia uso e ciò perché un tale gelato deve avere caratteristiche che lo rendano sostenibile, sia dal punto di vista della struttura che dell’imprenditorialità.

Se avete mai preparato del gelato in casa, fatto mi auguro solo con prodotti freschi, avrete notato che, una volta messo nel congelatore, la sua consistenza diventa tale da costringervi a tirarlo fuori almeno mezz’ora prima di poterlo consumare. E' evidente che questo sarebbe difficilmente sostenibile da una gelateria, che deve avere gusti immediatamente servibili, senza tempi di attesa che saremo noi i primi a non accettare.

Tralasciando casi limite, dei quali parlerò nel prossimo capitolo e che sono ben espressi da alcuni dagli elenchi di ingredienti mostrati in precedenza, si può quindi dire che gli additivi accettabili in gelateria dovrebbero essere solo quelli mirati a rendere il gelato immediatamente spatolabile, a dire che tali additivi dovrebbero solo lavorare sulla struttura del gelato e non sul suo gusto, sostituendo quei prodotti freschi che, per un buon gelatiere, dovrebbero rappresentare qualcosa di non negoziabile.

Bene, se mettiamo allora da parte tutti quegli additivi, ammesso che ancora si possano chiamare tali, che mirano a sintetizzare sapori che normalmente si trovano in ingredienti freschi e che quindi sono a tutti gli effetti dei sostitutivi piuttosto che additivi, rimane da analizzare il  metodo attraverso il quale un buon gelatiere riesce a costruire un corretto bilanciamento della ricetta ed una adeguata struttura del prodotto realizzato e, a questo livello di analisi, è possibile fare una ulteriore diversificazione tra coloro che utilizzano additivi preposti a tale scopo (tipicamente farine addensanti)  e coloro che invece riescono a produrre un gelato del tutto privo di additivi.

Qui direi che la differenza è allora tra l’uso di additivi che seppur naturali, nel senso che provengono da elementi presenti in natura, aggiungono qualcosa che sarebbe non naturalmente presente nel gelato, (come ad esempio le farine di carruba e di guar) e l’uso alternativo di altri ingredienti nobili, quali le proteine, la cui presenza è da sempre fondamentale nel gelato. Basti pensare che prima dell’avvento dell’industria e della ricerca ad essa connessa, il gelato non poteva essere realizzato senza l’impiego di uova (albume e/o tuorlo) come addensante, emulsionante, ecc.

Questa distinzione, che a molti può sembrare puntigliosa, è in realtà piuttosto importante, soprattutto se oltre alla naturalità, intesa come il non uso di prodotti di sintesi, si persegue anche la purezza del gelato, una purezza che si misura in termini di ingredienti ed elementi differenti da quelli presenti naturalmente (di nuovo, lo so, mi sto muovendo sulla cresta di precipizi semantici, ma spero di aver reso almeno un’idea di ciò che vorrei dire e comunque ricordatevi cosa ho detto all'inizio circa il modo in cui li avrei utilizzati).

Sia ben chiaro, a costo di ripeterlo, che un additivo naturale, nel senso spiegato più sopra, è un ingrediente assolutamente lecito nella gelateria artigianale (quella che possa effettivamente definirsi tale, ovviamente) e non è affatto indice di qualcosa che non va. Possiamo però dire che la distinzione tra additivi e ingredienti nobili evidenzia quell'ulteriore passaggio, quel passo in avanti, verso un concetto estremo della naturalità, una estremizzazione che appartiene al singolo gelatiere e alla sua personale filosofia di intendere un gelato di questo tipo.

Per chi volesse un approfondimento sul tema degli additivi, consiglio di leggersi questo articolo sugli addensanti e stabilizzanti per la produzione del gelato.

Cinque - Il viaggio e la meta

Sperando di aver fatto un minimo di chiarezza sul tema degli additivi, lanciamoci ora nel processo di produzione - il viaggio - esaminando le alternative che esso presenta nei suoi passi iniziali, dove quelli finali, che ci conducono alla meta, sono sempre la pastorizzazione, mantecatura e la conservazione alla giusta temperatura.

Usando le stesse parole che Maria Agnese Spagnuolo usa durante la formazione del personale delle sue gelaterie, possiamo semplificare il tutto in quattro alternative, che forse sarebbe meglio definire "quattro modi di interpretare il mestiere di gelatiere":

“Fino a ieri facevo tutt'altro, ma domani aprirò una gelateria”. Credo sia chiaro che qui siamo all'estremo inferiore della scala della qualità, visto che stiamo parlando di un processo di produzione che non prevede nulla se non l'acquisto dell'attrezzatura e dei semilavorati industriali, che di fatto richiedono solo l'aggiunta di un liquido di diluizione e, proprio se vi sentite intraprendenti, l'aggiunta di una quantità minima del corrispondente ingrediente fresco (per capirci, ho letto con i miei occhi le istruzioni di un semilavorato per il sorbetto al limone, che testualmente riportavano: "versate il contenuto della busta nella macchina, aggiungete la quantità di acqua riportata e, per un gusto più deciso, il succo di due limoni"; due limoni per tre chili di gelato finito, tanto per essere chiari).

“Vorrei produrre un buon gelato, ma mi faccio ‘aiutare’". Un piccolo passo in avanti, dove in aggiunta ai semilavorati, usati in quantità minore, si cominciano ad impiegare anche ingredienti, non necessariamente freschi, ma comunque di qualità, come purè di frutta o una pasta di frutta secca. Sicuramente meglio del modo precedente, anche se c'è sempre la presenza di semilavorati industriali.

“Studio, mi appassiono e scelgo ‘il meglio sul mercato’". Qui si entra in modo deciso nel mondo del gelato artigianale, quello vero e di qualità. Scompaiono del tutto i semilavorati a favore di ingredienti freschi o comunque lavorati in modo da preservarne le caratteristiche essenziali. Per quanto detto in precedenza, gli additivi sono presenti, ma solo di tipo naturale, come i cosiddetti neutri, che non hanno sapore ma incidono sulla struttura del gelato, migliorandola e rendendola più stabile.

“Voglio produrre il ‘vero’ gelato naturale”. Qui siamo al top- ricordate che non sto parlando di gusto, ma di attenzione agli ingredienti e alla produzione - con l'utilizzo di soli ingredienti naturali, che sono trasformati durante la produzione, tipicamente attraverso la loro cottura e miscelazione, senza ricorrere a lavorazioni esterne, che operano a monte tale trasformazione (per capirci, il gelato al pistacchio è fatto lavorando i pistacchi e non comprando una pasta di pistacchio pronta). Sono quindi rigorosamente banditi - e non potrebbe essere diversamente - i semilavorati e gli additivi.

A scanso di equivoci, ripeto che i punti qui sopra connotano diversi modi di preparare il gelato e non sono ovviamente un indicatore del suo gusto (che è profondamente soggettivo). Se volete rappresentano i diversi modi di porsi rispetto ad esso, modi che dipendono da diversi fattori, personali e di contesto, e che non vanno giudicati né tantomeno condannati. Ogni gelatiere segue la sua strada ed ogni consumatore è libero di preferirne una o l'altra quando decide dove mangiarsi un gelato.

Credo sia chiaro come, passando dal primo punto all'ultimo, ci sia una corrispondente e netta crescita dell'impegno e dello studio necessari, che non hanno mai fine e permeano l'intera vita del gelatiere.

Volendo fare un esempio con la cucina, la differenza tra il primo e l'ultimo punto è praticamente la stessa che c'è tra un cuoco che compra piatti pronti surgelati e si limita a scaldarli e uno Chef che usa solo materia prima freschissima e tecniche di cottura appropriate, senza mai scendere ad alcun compromesso. Con in più l’aggravante - che vale solo per il gelato - che il costo di acquisto al dettaglio del piatto pronto riscaldato e di quello fatto con materie di qualità sono gli stessi. Sareste disposti, ad esempio nella ristorazione, ad accettare una cosa simile ? Credo proprio di no.

Se volete sapere quale sia la definizione che Maria Agnese Spagnuolo dà al "gelato naturale", allora leggete qui.

Sei - Perché

Naturalmente viene ora lecito domandarsi "perché ?" e non tanto "perché ci poniamo nei confronti del gelato in modo diverso da come facciamo per altri alimenti ?", risposta molto complessa e che dipende da fattori spesso soggettivi, quanto piuttosto "perché nella gelateria si cerca la via breve ?".

Un prima risposta, molto generale, credo vada cercata nel periodo di splendore che sta avendo il mondo del Food, splendore abilmente catturato dai Media, che ci propinano millemila trasmissioni, spettacolarizzando il fenomeno ma perdendo del tutto la fatica, l'impegno e lo studio che ci sta dietro.

Vogliamo la massima facilità di accesso. La gavetta è una parola che sembra non esistere più. Lo studio è qualcosa che finisce con la scuola dell'obbligo. Il tirocinio è solo sfruttamento e perdita di tempo. Ecco quello che pensiamo.

Questa semplificazione, che ovviamente non è prerogativa del cibo, porta inevitabilmente alle classiche fasi che contraddistinguono la nascita, la vita e la morte di molti fenomeni: entusiasmo iniziale; picco della diffusione; disillusione; maturità e stabilizzazione.

L'entusiasmo iniziale - se avete un amico che ha mollato il lavoro per aprire, che so, un ristorante, forse dirò cose a voi note (se poi vedete anche "Cucine da incubo", ancora meglio) - viene rapidamente soppiantato dalla disillusione, nel capire che non è facile come sembra, che non era "come mi hanno fatto vedere in TV", disillusione che porta spesso alla rapida e ingloriosa fine dell'avventura.

Pochi sopravvivono e arrivano alla fase della maturità e quelli che ci arrivano, ne sono quasi certo, sono coloro che si sono rimessi in gioco. Completamente e con umiltà (termine abusato, che si professa con facilità ma che raramente si pratica).

La cosa interessante è che, ritornando ad un cambiamento che vuole una facilità di accesso, la gelateria sembra rappresentarne lo sbocco ideale, riducendo, se non annullando del tutto, la fase della disillusione, tanto sono ridotti la fatica, lo studio e i rischi connessi.

Se per essere pasticcere non basta comprare forni e impastatrici e per essere cuochi non bastano fornelli e pentole, per fare il gelato la situazione cambia, proprio grazie ai progressi e agli studi fatti dalle aziende che in tale campo operano e che portano, estremizzando, alla sola necessità di versare un composto industriale nella macchina del gelato, aggiungere il giusto liquido di diluizione e spingere un bottone.

Diciamo che l'industria del gelato è riuscita nell'intento di produrre non solo i gelati, ma anche i "gelatieri". Un bel traguardo imprenditoriale, ma molto meno bello secondo altri canoni di valutazione, soprattutto quelli che a noi consumatori interessano.

Questa facilità di accesso e di quasi totale automatismo della produzione, unita ad un costo delle materie prime per la produzione molto basso (qui ovviamente molto dipende dalle realtà specifiche, ma per darvi un'idea i costi che mi ha riportato Maria Agnese Spagnuolo per la sua gelateria vanno da meno di un euro al chilo per un classico sorbetto di limone, a circa 4,50 euro per gusti particolari, come il pistacchio di Bronte, e con un costo medio di circa 3,20 euro) e ad un prezzo di vendita finale che si aggira oramai tra i 18 e i 25 euro al chilo, fa facilmente intuire il perché del proliferare delle gelaterie.

La cosa interessante - e qui la fonte è, ancora una volta, Maria Agnese Spagnuolo - è che tali costi sono pressoché invarianti se si usano semilavorati industriali o ingredienti freschi (mi sto riferendo all’Italia e ai semilavorati di produzione nostrana - è evidente che voglio fare un gelato all’estero usando semilavorati italiani in alternativa ai prodotti freschi che trovo in loco, allora la convenienza del fresco, in termini di costi, spicca in modo netto), a riprova che quello che si cerca è la facilità della lavorazione e la riduzione della forza lavoro (verso una polvere, aggiungo un liquido e spingo un bottone) piuttosto che l’abbattimento del costo delle materie prime.

E’ evidente che se però guardiamo al costo totale, allora il ricorso a semilavorati industriali si giustifica (imprenditorialmente, solo imprenditorialmente, sia chiaro) dall’impatto che esso ha sul costo della forza lavoro, che in questo caso richiederà una formazione minimale (per essere provocatorio direi che tutti noi sappiamo versare qualcosa in un contenitore e spingere un bottone) e che potrà garantire una produttività molto più elevata, visto che non sarà di fatto prevista alcuna lavorazione degli ingredienti base (frutta, frutta secca, aromi,...), essendo questi sostituiti, appunto, dai semilavorati.

Naturalmente - e sia ben chiaro - non sto pretendendo di ridurre l’analisi costi/benefici e il Business Plan di una gelateria alla mera somma dei costi delle materie prime e di quelli della forza lavoro, ma solo cercando di indagare i motivi per cui si facciano scelte in un senso o nell’altro, a seconda delle priorità del novello gelatiere.

Sette - Beati monoculi in terra caecorum

Ma allora, dopo tanto parlare, cosa possiamo fare per avere qualche certezza in più ? Quali regole ci sono per capire che gelato stiamo per mangiare ? Riprendendo il titolo, ci sono limiti epistemologici al nostro sapere ?

Beh, sicuramente ce ne sono, di limiti, ma qualche regola o dritta forse si può dare. Parlo di suggerimenti che ovviamente non prevedono il condurre analisi chimiche su campioni di gelato, né interrogatori del personale della gelateria con tanto di macchina della verità, ma di qualcosa che potete mettere in atto in modo autonomo, guardando e curiosando un po' di più di quanto forse fate oggi quando entrate in una gelateria.

Qualcosa, insomma, che ci consenta di essere Re, conoscendo poche cose in un panorama dove molti, ahimè, conoscono poco o nulla.

Partiamo subito con quello che NON è un criterio da adottare: il colore del gelato, che dovete bellamente ignorare, definitivamente. Se infatti oramai tutti abbiamo imparato che il gelato al pistacchio non può essere verde brillante e quello all'arancio arancione come il giubbetto degli addetti al soccorso stradale, prendiamo atto che lo hanno imparato anche le aziende che producono semilavorati e che oramai sanno dosare i coloranti secondo tutte le possibili nuance, dandovi, che so, un verde artificiale assolutamente identico a quello del pistacchio di Bronte che-mangiavo-quando-ero-piccolo-e-che-tanti-ricordi-mi-evoca

Per quanto riguarda il gusto, ovviamente importantissimo dato che un gelato, naturale o meno che sia, deve comunque piacervi, il discorso è leggermente più complesso, dato che bisognerebbe provare ad andare oltre gli aspetti puramente soggettivi, abbandonando concetti come buono o cattivo (le aziende che producono semilavorati sanno oramai sintetizzare qualsiasi gusto, con risultati solo a fatica distinguibili dai loro corrispondenti naturali) a favore di un’analisi più attenta di quello che ci stiamo mettendo in bocca, cercando di valutare un gusto in base alla sua presenza, magari provandolo ad intervalli regolari, soprattutto quello alla frutta, cercando di rilevarne piccole differenze, legate alla stagionalità dei prodotti e al fatto che - e questo immagino lo sappiate molto bene - la frutta non ha sempre lo stesso sapore (assaggiate una fragola a maggio e una ad agosto e poi mi dite). La presenza del sapore, appunto, che non deve essere troppo prorompente, cosa che potrebbe indicare l’uso di qualche aiutino, ma neanche troppo blanda, segno di una lavorazione migliorabile.

Insomma, se il colore lo dovete mettere senza dubbio da parte, il gusto lo dovete saper analizzare, cosa tutt’altro che facile a meno di non essere una sorta di assaggiatore del gelato.

E quindi ? Dobbiamo forse allora affidarci al destino e sperare di entrare nella gelateria giusta ? Direi di no e qualche accortezza è possibile prenderla:

Primo: cercate la lista degli ingredienti, che per legge non può esservi negata e, anzi, dovrebbe essere esposta in pubblico, senza che sia necessario chiederla (ma si sa, siamo in Italia...). Leggetela e verificate che non ci siano cose strane e, se c'è qualcosa che non vi torna e avete la giuste dose di faccia tosta, chiedete e, se fanno spallucce, fatele anche voi e uscite dal locale.

Secondo: provate a vedere se il banco frigo dove sono le vaschetta ha qualche indicatore della temperatura e, nel caso, buttateci un occhio. Più è alta la temperatura più è forte l'indizio della presenza di stabilizzanti e, in particolare, di grassi idrogenati, che tutto sono tranne che naturali (vedi anche l’ottavo punto)Tenete presente che un gelato realmente naturale viene mantenuto a temperature più basse e che, come esempio e tanto per darvi un’idea (anche se è di fatto un caso limite, dovuto alla sua particolare tecnica di produzione e agli ingredienti utilizzati) che il gelato di Fata Morgana è mantenuto e servito a -18°. Direi che, in ogni caso, temperature nell’ordine dei -6° sono da considerarsi sospette.

Terzo: guardate come il gelato è contenuto nelle vaschette e se vedete che questo supera i bordi superiori, disegnando vette che nulla hanno a che invidiare a quelle himalaiane, allora è praticamente certo che il gelato contenga stabilizzanti che ne rallentino lo scioglimento.

Quarto: il laboratorio a vista è un buon segnale che la gelateria non ha nulla da nascondere, ma verificate che questo sia tutto a vista, soprattutto la zona dove si preparano le miscele. Avere a vista solo l'area dove ci sono le macchine per la pastorizzazione e la mantecatura serve a poco, visto che l'importane è sapere quello che ci viene messo dentro e non il macchinario in se.

Se queste prove le potete fare "a costo zero", senza dover prendere nulla, quelle che seguono presuppongono che abbiate il gelato sottomano:

Quinto: prendete un gusto con una base cremosa (crema, cioccolato, nocciola,...), mangiatene un po' e vedete se percepite la sensazione di "palato foderato", come se aveste una patina grassa che lo ricopra e che vi induce a bere dell'acqua. Tale sensazione è quasi sempre dovuta alla presenza di addensanti a base di farine (di carrube, di semi di guar,...) o, più in generale, di idrocolloidi. Come dicevo nei capitoli precedenti, tali sostanze sono di fatto sempre presenti (con la sola eccezione dei gelati del "quarto tipo"), per cui qui la questione non è se ci siano o meno, quanto piuttosto la loro quantità, il loro tipo e la loro lavorazione all'interno del processo di produzione. Personalmente ho assaggiato moltissimi gelati che contenevano farine addensati, percependo però sensazioni molto diverse, in alcuni casi quasi difficilmente percepibile, fino all'estremo opposto, dove la voglia di bere era praticamente immediata.

Le due prove seguenti, entrambe relative alla valutazione della struttura del gelato, sono forse le più complesse, non tanto per la loro esecuzione, quanto piuttosto per poterne valutare correttamente l'esito:

Sesto: prendete un gusto alla frutta a base di acqua, come ad esempio un classico sorbetto di limone e affondateci il cucchiaino, quindi sollevatelo lentamente e verificate se si formano dei filamenti tra il gelato sul cucchiaino e quello nella coppetta, filamenti che poi ovviamente si romperanno quando il cucchiaino viene allontanato. Orientativamente, tanto maggiore è la persistenza di tali filamenti e tanto maggiore è la presenza di stabilizzanti, come ad esempio la gomma di xantano, il cui compito è quello di dare viscosità al gelato

Settimo: valutate la struttura del gelato, scegliendo possibilmente un gusto a base crema, effettuando prima un'analisi visiva facendo poi una prova simile a quella del punto precedente, valutando con il cucchiaino si muove all'interno del gelato e come se ne distacca quando vi portate il gelato alla bocca. Questa prova è forse quella che richiede un po' più di pratica e esperienza, dato che è difficile fissare una sorta di struttura di riferimento, che possa servire come termine di confronto e quello che dovete cercare è una struttura che, pur essendo cremosa, non lo sia in modo eccessivo, quasi elastico, tenendo presente che il gelato sul cucchiaino deve separarsi in modo netto da quello nel contenitore, senza quella collosità che sembra voglia tenerli assieme a tutti i costi e che quasi sempre è sintomo della presenza di una quantità eccessiva di additivi stabilizzanti.

L’ultima prova, infine, serve ad avere un’indicazione di massima sulla presenza di grassi idrogenati, tutt’altro che salutari e, quindi, da evitare.

Ottavo: il gelato, mi pare ovvio, tende a sciogliersi, con tempi che dipendono dalla sua composizione, dalla struttura e, naturalmente, dalla temperatura esterna. Prendete quindi un gelato, meglio al cono, e osservate quanto ci mette a sciogliersi e se tale tempo vi sembra eccessivamente lungo - per avere un corretto metro di paragone dovreste fare una prima prova con un gelato veramente artigianale e naturale, in modo da avere una sorta di valore di riferimento - allora è probabile che il gelato in questione contenga grassi idrogenati.

Ovviamente tutte le prove serviranno a darvi un'idea di massima e ad evitare quei casi eclatanti di gelato tutt'altro che naturale; poi entrerà in gioco anche la vostra esperienza, il vostro gusto e la vostra sensibilità per affinare nel tempo il giudizio, che passa anche nella conoscenza puntuale delle gelaterie, magari scambiando qualche chiacchiera con chi ci lavora.

Otto - Concludere il viaggio per iniziarne uno nuovo

Le conclusioni ? Poche, a dire il vero, se non la preghiera, quando volete valutare una gelateria e il gelato che produce, di andare oltre il fatto che a voi piaccia, che sia buono, e di spendere, come peraltro già detto nel capitolo precedente, qualche minuto del vostro tempo nel capire cosa ci sia dentro, cosa che ricordo deve essere dichiarato per legge, e poi trarre le conclusioni che riterrete di dover trarre.

Non siate necessariamente radicali nel vostro approccio, ricordando che, tra un gelato completamente naturale ed uno che vi ricorda un laboratorio di chimica, ci sono molte sfumature e non è certo la presenza di qualche addensate di origine naturale, come ad esempio la farina di carrube, che può rovinare un gelato.

La questione, al solito, è il giusto equilibrio, che dovrebbe suggerire un uso prevalente di ingredienti naturali e di materia prima fresca e solo una piccola parte, quella strettamente necessaria, di addensanti utili a dare una migliore struttura al gelato. Il problema comincia a diventare serio quando la materia prima, quella fresca, viene sostituita da essenze e polveri, prodotte in laboratorio, che se da un lato ricordano il sapore del gusto originale, dall'altro snaturano completamente (parere personale, ci mancherebbe) il concetto di gelato.

Non dovete certo cambiare gelateria solo perché questa usa additivi, ma siatene consapevoli, come io cerco di esserlo, usando i termini gelato industriale, gelato artigianale e gelato naturale in modo appropriato, scegliendo in piena libertà cosa consumare e senza essere necessariamente talebani nell’approccio, cosa che non sono neanche io, dato che - lo confesso candidamente - a me piace ogni tanto mangiarmi, che so, un hamburger di Mc Donald’s, un Cornetto Algida e una Girella Motta e che, a dirla tutta, preferisco di gran lunga un prodotto dichiaratamente industriale da uno che, pur essendolo, si cela dietro un abile strategia comunicativa.

Vi saluto e buon Gelato a tutti !

Nove - Titoli di coda

Come nella migliore tradizione cinematografica, quando pensavate tutto fosse oramai finito, ecco i titoli di coda, che altro non sono che alcuni link utili per chi volesse approfondire i temi discussi.

Anticipo che tutti i link sono frutto di una ricerca personale, fatta al solo scopo di trovare qualche informazione interessante da condividere e senza voler dare, nel modo più assoluto, un giudizio sulle fonti e sulla validità dei rispettivi contenuti.
Aggiungo anche qualche link a contenuti in lingua inglese, principalmente perché mi sono sembrati più completi e puntuali di analoghi contenuti in lingua italiana. Ovviamente vanno letti contestualizzandoli nel paese al quale fanno riferimento e che sono interessanti anche per apprezzare le differenze tra le diverse interpretazioni del concetto di gelato (all’estero si fa spesso distinzione tra gelato all’italiana e Ice Cream).

Beh, che dire, siamo proprio alla fine e quella che era partita come un piccola riflessione sul gelato è alla fine diventato uno scritto di quasi 25 pagine, una lunghezza quasi eccessiva e, temo, non proprio agevole da leggersi sullo schermo di un computer. Se volete, quindi, potete scaricare l'articolo anche in formato PDF, cliccando sull'immagine che segue.


4 commenti:

  1. La dettagliata analisi mi induce a dire che è impossibile mangiare un gelato naturale in gelateria. Se poi si pensa che ultimamente ho assunto l'abitudine di inserire pochissimi gramni di farina di carrube nel gelato che faccio in casa per ottenere una maggiore cremosita' , sempre piuttosto carente nei gelati (fatti in casa) alla frutta, mi scende ogni entusiasmo. Ciò detto, mi viene da pensare che queste siano le ragioni del grande successo (in rete) delle ricette di semifreddi.

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    1. Ciao Giulietta, si, purtroppo è così, soprattutto se cerchi la vera "naturalità", ad oggi prerogativa di pochissimi, se non di uno solo.

      Peraltro, anche se accetti qualche piccolo compromesso e cerchi le gelaterie che si avvicinano a tale concetto, ne troverai pochissime, mentre prevalgono nettamente quelle che ricorrono ad "aiuti" ai quali non si dovrebbe ricorrere.

      Un saluto.

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  2. Articolo ben scritto e con molte "scomode" verità. Ci sarebbe ancora molto da dire, ma rende il panorama del mondo del gelato piuttosto chiaro. Il 96% delle gelaterie che l'amico Joe cita come utilizzatori di semilavorati, è una percentuale per difetto se parliamo del panorama italiano. Se andiamo all'estero probabilmente salirebbe ancora... Occorre qualcosa che dia una bella scossa a questo settore ormai allo stato terminale.

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    1. Grazie Roberto. Si, concordo, c'è ancora molto da "scoperchiare" e, soprattutto, da "educare" verso un consumo consapevole del gelato.

      Io, avendo da pochissimo preso a cuore la questione e con giusto un'infarinatura sul tema, cercherò comunque di dare il mio contributo :-)

      A presto.

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