28 giugno 2018

Gambero rosso, con polvere di spinaci e maionese allo zenzero



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Uno degli effetti collaterali e piacevoli del mio primo weekend ad Anzio, in previsione della più lunga stagione estiva, è stata la possibilità di ritrovare gli amici della pescheria “Amore di mare”, la mia preferita, e portarmi a casa, tra le altre cose, del meraviglio gamberi rossi che, fino a qualche ora prima, girovagavano felici nelle acque del mare locale.

Ovviamente, tanta freschezza e bontà non poteva che essere celebrata a crudo - personalmente credo che i gamberi, di qualsiasi specie, diano di gran lunga il meglio se consumati crudi - abbinando ai crostacei giusto qualche ulteriore elemento, se non altro per allontanarsi dalla convinzione - profondamente sbagliata, secondo me - che il pesce crudo debba sempre e solo essere consumato in purezza.

Quindi, gamberi rossi conditi solamente con olio extravergine e fior di sale, poi arricchiti con della polvere di spinaci, ottenuta lasciando essiccare delicatamente le foglie in forno, poi passandole al mixer e infine setacciando le briciole ottenute.

Come elemento cremoso, una maionese allo zenzero, preparata solamente con l’albume dell’uovo e per la quale vi sarà d’aiuto un estrattore per succhi, anche se, in sua mancanza, potrete cavarvela con una grattugia adatta.

Completano il piatto alcune foglioline di bieta rossa, più come guarnizione che altro, che ho recentemente piantato sul mio balcone e che, come forse qualcuno avrà notato, uso tutte le volte che posso.

22 giugno 2018

Spaghetti semi-integrali con polvere di pomodoro e pesto di basilico e mandorle



Il basilico piantato sul mio balcone sembra essere stato contagiato da una qualche forma di ipercrescita, visto che produce foglie a un ritmo impressionante, cosa che mi costringe, per non sprecarlo, ha inventarmi sempre qualcosa di nuovo per usarlo.

Questa volta sono partito da un primo decisamente classico e famoso, applicando poi qualche piccola variazione, visto che, come chi mi conosce sa, non mi piace fare due volte lo stesso piatto, né tantomeno limitarmi ai grandi classici, che sono buonissimi, ma che non rispondono alla mia voglia di sperimentare in modo costate e a volte spregiudicato.

Il pesto, allora, con la variazione delle mandorle al posto dei pinoli e con l’eliminazione dell’aglio, visto che a moglie e figlia proprio non piace e alle quali, per quanto io ci provi, non riesco a farle ricredere.

Ad affiancare il pesto, la polvere di pomodoro, ottenuta lasciandolo disidratare lentamente in forno - ho usato una classica passata - fino ad ottenere una cialda croccante e dal sapore molto concentrato, che ho poi ridotto in briciole, setacciandole, in modo da ottenere una polvere molto fine, che ho distribuito sulla pasta solo dopo il suo impiattamento.

Tutto qui, per una pasta con un condimento semplice ma dai sapori intensi, come sanno regalarceli il pesto e il pomodoro disidratato.

Chiudo con il tipo di pasta, che in questo caso sono gli spaghetti semi-integrali del Pastificio Girolomoni.

21 giugno 2018

Tre volte rosso



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Titolo del piatto che richiama, appunto, il colore dei suoi tre elementi, a partire dai meravigliosi gamberi rossi di Anzio, presi come sempre dalla pescheria “Amore di mare”, la mia preferita, poche ore dopo che erano finiti nella rete dei pescatori.

Come faccio quasi sempre con il pesce, e ancor di più con i crostacei, i gamberi li ho utilizzati rigorosamente a crudo, il modo migliore per apprezzarne appieno il loro sapore, condendoli solamente con olio extravergine d’oliva, fior di sale di Sicilia e un poco di zenzero grattugiato, questo per dare quella leggera nota piccante, tipica della sua radice, che ho ritenuto creasse un bel contrasto con gli altri sapori.

Poi le fragole, le prime della stagione, usate assolutamente in purezza, con il loro retrogusto leggermente acido.

Infine, una gelatina di Campari e prosecco - praticamente una Spritz-gelatina - piuttosto alcolica, visto che ho utilizzato delle proporzioni diverse da quelle del celebre aperitivo, addensata usando l’Agar Agar, in modo che rimanesse stabile anche a temperatura ambiente.

Completano il piatto le immancabili foglioline di bieta rossa, che da quando ho piantato sul balcone, le metto praticamente ovunque, visto che sono buone e sono anche belle a vedersi.

Alla fine, quindi, volendo dare un nome esteso al piatto, potremmo chiamarlo:

“Gambero rosso allo zenzero, fragole, gelatina allo Spritz e bieta rossa”

Tutto qui, per un piatto veloce e semplice nella preparazione, che non richiede cotture e una tecnica alla portata di tutti.

19 giugno 2018

Noce di vitellone cotta a bassa temperatura, con crema di fiori di zucchina, crema d’aglio e olio extravergine, tuorlo marinato e pesto di basilico e mandorle



Piatto complesso e articolato, con molti elementi e che, come sempre, nasce dai postumi di altre ricette, che mi avevano lasciato avanzi e, soprattutto, idee da provare.

La base è la carne, nello specifico la noce di vitellone, cotto sottovuoto e a bassa temperatura, a 57,5° per sei ore, in modo da avere un interno omogeneo, del bel colore rosato che vedete in foto, cospargendo la carne, prima della cottura, con un mixi di polvere di senape, paprika dolce, sale marino e pepe multicolore.

A proposito della temperatura usata, visto che qualcuno potrà rimanere perplesso dai decimali (“ma non potevi fare 57° o 58°”), tenete presente che questa è stata il risultato di diversi esperimenti, fatti nel tempo, per i quali sono partito dai 56°, salendo di volta in volta di mezzo grado, fino a ottenere il grado di cottura che volevo, che ovviamente non ha valore universale, ma è semplicemente quello che a me piace.

I fiori delle zucchine romanesche, che ovviamente devono essere freschissimi, sodi e croccanti, li ho cotti velocemente in acqua a bollore e poi trasformati in crema, usando solo olio extravergine, sale marino e un pizzico di pepe nero.

I tuorli d’uovo, invece, li ho marinati per settantadue ore con del sale bilanciato - 2/3 sale e 1/3 zucchero di canna - in modo da portarli a una consistenza piuttosto solida, senza quella cremosità residua all’interno, che contraddistingue marinature più brevi.

Poi, la crema d’aglio e olio extravergine, con l’aglio ingentilito dalla classica serie di bolliture in acqua, in modo da mantenerne il sapore, ma non quella persistenza eccessiva, che a molti infastidisce, e poi lavorato, appunto, solo con olio extravergine di oliva e un pizzico di sale.

Infine, il pesto, classico di basilico, dove ho però sostituito i pinoli con le mandorle, che a me piacciono di più, e per il quale, malvolentieri, ho dovuto eliminare l’aglio, visto che a moglie e figlia non piace.

Completano il piatto, più come guarnizione che altro, le foglioline di bieta colorata, piantate di recente sul mio balcone e delle quali mi sono innamorato.

Concludo con una nota sulle quantità, in particolare quella della carne, per la quale, dato il taglio, al di sotto di certi valori non si potrà scendere, anche se ovviamente, al di là del piatto, questo vi darà l’opportunità di prepararvi un bellissimo roastbeef, che cotto a bassa temperatura - vi assicuro - è tutta un’altra cosa.

16 giugno 2018

Cestini di sfoglia, con gorgonzola piccante, yogurt, pera caramellata, noci, cipollotti di Tropea in agrodolce e timo, accompagnati da panna salata allo zafferano

Confesso che, pur piacendomi molto, uso raramente la pasta sfoglia nelle mie ricette, più che altro perché mi risulta difficile prepararla e quando la uso, quindi, ricorro quasi sempre a quella pronta - si, lo so, non è un bel dire - senza farmi troppi problemi.

Visto che non amo i dolci, quando la uso lo faccio quasi sempre per preparazioni salate, come ad esempio torte rustiche o, come in questo caso, dei cestini di pasta sfoglia ripieni poi secondo l’ispirazione del momento.

Questa volta, ho voluto giocare sui contrasti, con cestini il cui ripieno prevedesse elementi dolci e salati e dai sapori molto contrastanti, contrasto che ho poi spinto anche sulle consistenze.

Per prima cosa, allora, il gorgonzola piccante, lavorato con un poco di yogurt bianco in modo da renderlo leggermente più delicato - ho utilizzato il KYR BIO bianco di Parmalat - e al quale, dopo aver composto i cestini, ho aggiunto del parmigiano reggiano, sulla superficie del ripieno, in modo da ottenere un’ulteriore iniezione di sapore e una doratura più marcata.

Poi la pera, ridotta a dadini e caramellate cuocendole per una decina di minuti in un mix di Cognac, acqua e zucchero di canna, in modo da renderle dolce, ma con il tipico retrogusto dato dalla presenza del liquore.

I cipollotti freschi di Tropea, invece, li ho cotti brevemente in un agrodolce fatto con acqua, aceto di mele, anice stellato e zucchero di canna - ho utilizzato quello integrale, dal gusto caramellato - giusto il tempo di ammorbidirli appena, lasciandogli comunque un minimo di croccantezza, cipollotti che danno una nota acida ai cestini, contrastando il gusto intenso del loro ripieno.

Le noci le ho invece usate in purezza, mentre il timo l’ho aggiunto a fine cottura, in modo che potesse giusto sentire il calore residuo del ripieno, sprigionando i suoi profumi e senza quindi essere mortificato da una cottura eccessiva.

Infine, ad accompagnare i cestini, una panna salata e leggermente piccante, profumata e colorata con lo zafferano, che aggiunge morbidezza al piatto, alleggerendo il gusto deciso del ripieno a base di gorgonzola.

15 giugno 2018

Tartare di gambero rosso e pera coscia, con liquirizia e timo al limone



Ricordate che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Non è la prima volta che abbino i crostacei alla frutta e, in particolare, alla pera, nello specifico la varietà coscia, tipica di questo periodo e secondo me perfetta per questo tipo di abbinamento, per il quale potete trovare ricette simili sul mio Blog.

Non è la prima volta e, visto che ho trovato dei meravigliosi gamberi rossi sul banco della pescheria “Amore di mare” - la mia preferita in quel di Anzio - ho pensato che non sarebbe stato peccato rifare un piatto simile a quelli già fatti, magari procedendo con qualche piccola modifica.

Ho deciso allora di fare una tartare, abbinando appunto ai gamberi rossi la pera coscia, profumando poi il tutto con il timo al limone e con la polvere di liquerizia, ricavate dalla sua radice e perfetta per creare un contrasto con il sapore deciso dei gamberi e quello dolce della pera.

Condimento minimale, con solo olio extravergine di oliva e un poco di fiocchi di sale della Cornovaglia, che danno, al contempo, sapidità e croccantezza.

Infine, come potete vedere dalla foto, ho deciso di servire la tartare all’interno delle pere, cosa che naturalmente ha impatto sulla loro quantità; nel caso voi decideste diversamente, potete tranquillamente dimezzare il numero di pere da utilizzare.

11 giugno 2018

La pappa al pomodoro, in buona compagnia

Con questa ricetta partecipo alla seconda fase del Contest Pomorosso d’Autore – In Sugo Veritas, ideato da MySocialRecipe, in collaborazione con La Fiammante e Oleificio Fam


Superata la prima selezione, mi sono dovuto lambiccare il cervello per trovare una ricetta in linea con lo spirito del Contest, uno spirito volto alla semplicità ed essenzialità degli ingredienti e della materia prima - pomodoro e olio extravergine di oliva - ingredienti che ho ritenuto dover rispettare e porre al centro, pur non senza difficoltà, e non rilegarli a ruoli da comprimario, come spesso questi due ingredienti hanno.

Dopo lungo pensare, mi è rivenuta in mente la pappa al pomodoro, che in gioventù era quasi un piatto abituale e che, nella sua semplicità, da pieno spazio al pomodoro di esprimersi al meglio.

Per la preparazione della pappa al pomodoro, ho scelto innanzitutto la passata di pomodoro, ovviamente quella de “La Fiammante”, alla quale ho poi aggiunto anche i pelati, rotti a mano, per avere una salsa più grezza e rustica, che meglio rappresentasse lo spirito povero della pappa al pomodoro.

La cottura di pelati e passata l’ho fatta usando solo olio extravergine di oliva, un poco di aglio e del sale marino, per un tempo necessario a far sì che la salsa si riducesse di circa un terzo.

Come pane, invece, un filone a lievitazione naturale, con lievito madre, dalla mollica ben compatta e dal tipico retrogusto leggermente acido, del giorno prima, in modo che la sua mollica non fosse troppo umida.

Però, dovendo preparare un piatto per un concorso, non potevo semplificare troppo, motivo per cui ho scelto di circondare la pappa con altri ingredienti amici, da cui il nome del piatto, lavorati il meno possibile, in modo da poterne apprezzare il gusto così come madre natura ce lo dona.

Per prima cosa, allora, la mozzarella di bufala campana, bruciata in superficie - vi servirà necessariamente un caramellizzatore - in modo da donarli un leggero gusto di affumicatura.

Poi, i cipollotti freschi di Tropea, cotti brevemente in un agrodolce fatto con acqua, aceto di mele e zucchero di canna - ho utilizzato quello integrale, dal gusto caramellato - giusto il tempo di ammorbidirli appena, lasciandogli comunque un minimo di croccantezza.

Segue un cremoso di basilico, preparato ricavando il succo dalle foglie - vi servirà necessariamente un estrattore, visto che la centrifuga risulta in questo caso poco adatta - e lavorandolo poi completamente a freddo, usando la gomma di xantano come addensante.

Con l’olio extravergine di oliva, vista la sua centralità nel Contest, oltre a usarlo per la pappa di pomodoro, ci ho preparato anche una sorta di emulsione stabile, lavorandolo con acqua e lecitina di soia, dove quest’ultima consente di dare stabilità al tutto, che al contrario tenderebbe rapidamente a separarsi (chi volesse approfondire, può leggersi l’eccellente articolo di Dario Bressanini), aggiungendo anche del peperoncino e un pizzico di sale.

Infine, a dare croccantezza al piatto, le foglie di basilico e i capperi, entrambi velocemente fritti in olio di semi di arachide, cosa che dona lucentezza alle foglie e fa aprire i capperi, quasi fossero dei piccoli fiori.

Insomma, una ricetta dalle molte preparazioni, alcune semplici, altre un po’ meno, che punta sulla semplicità e sui contrasti, sia nelle consistenze, che nei sapori e che, volendole dare un nome esteso e parlante, potremmo chiamare:

“Pappa al pomodoro, con mozzarella di bufala bruciata, cipollotti di Tropea in agrodolce, cremoso di basilico, emulsione piccante di olio extravergine di oliva, capperi fritti e foglie di basilico fritte”

Concludo dicendovi che il piatto, nonostante alcune cotture, va servito a temperatura ambiente.

9 giugno 2018

Carciofi romaneschi cotti in vuoto, con i loro gambi fritti e pesto di menta romana



In realtà non è proprio una ricetta, ma più un esperimento, visto che ho voluto provare a cuocere i carciofi usando il sistema di cottura in vuoto di Tecla, denominato Alladin, del quale a suo tempo parlai in questo post, e che ultimamente ho ritirato fuori dallo sgabuzzino nel quale aveva riposato per troppo tempo.

Ho quindi cotto i carciofi, dopo averli puliti e rimosso il loro gambo, in modo che potessero rimanere in piedi, per un’ora e mezzo, senza aggiungere altro che un poco d’olio extravergine e sale, impostando la temperatura del forno intorno ai 110°, in modo da avere una temperatura in vasca di circa 95°. Ho naturalmente utilizzato la sonda per tenere la temperatura sotto controllo, agendo laddove necessario su quella del forno, in modo che quella della vasca fosse sempre sul valore che volevo.

Sebbene il risultato non sia stato male, con una consistenza simile a quella tipica dei carciofi sott’olio, ammetto che la cottura richiede ancora qualche messa a punto, facendo qualche ulteriore esperimento sui tempi e sulla temperatura. In particolare, a fine cottura, i carciofi erano ancora ben sodi, ma non duri, anche se forse eravamo proprio al limite, almeno per quanto riguarda le foglie più esterne.

Ad accompagnare i carciofi, come da tradizione romana, la mentuccia, qui utilizzata per un pesto, dove ho usato le mandorle al posto dei pinoli e il pecorino al posto del parmigiano.

Infine, i gambi, dai quali ho ricavato delle sottili striscioline - vi servirà una mandolina con spessore di taglio regolabile - che ho poi fritto velocemente in olio di semi d’arachide, in modo da renderle dorate e croccanti.

4 giugno 2018

Linguine fave, guanciale e pecorino



Un primo che richiama un abbinamento famoso tra i romani - le fave fresche con il pecorino - aggiungendo anche il guanciale, un altro elemento simbolo della cucina laziale.

Le fave, rigorosamente fresche, vista la stagione nella quale ho preparato il piatto, le ho velocemente cotte in acqua a bollore e poi ridotte in crema, usando solo la loro acqua di cottura e l’olio extravergine, più naturalmente il sale.

Il guanciale, invece, l’ho reso croccante con un rapido passaggio in padella e l’ho aggiunto solo alla fine mantecatura, in modo che la sua croccantezza non fosse compromessa dall’umidità della pasta.

Infine, il pecorino romano, semplicemente grattugiato e aggiunto nelle fasi finali della mantecatura, giusto il tempo per farlo sciogliere nella pasta.

Un piatto decisamente semplice, quindi, che fa leva sulla qualità dei singoli ingredienti e che può essere preparato anche in versione vegetariana, eliminando il guanciale.

Chiudo dicendovi che, come formato di pasta, ho scelto le linguine del Pastificio Felicetti.

1 giugno 2018

Risotto in fiore



Questa ricetta partecipa al Contest Rice Food Blogger 2018 – Chef Giuseppina Carboni” presentato da Parmigiano Reggiano e con la collaborazione di Risate e Risotti, Chef Academy, Le Creuset, Associazione Italiana Food Blogger e L’Isola d’oro


 
   

Confesso che i risotti non sono il mio forte, anche se cerco sempre di applicarmi, forte del fatto che la crescita passa anche attraverso il preparare piatti che uno non sente suoi, quale che ne sia il motivo.

A tale proposito, non posso non ringraziare Risate e Risotti, che ogni anno, con il suo concorso centrato sul riso, mi obbliga psicologicamente a provarci, dato che, come alcuni di voi già sanno, difficilmente riesco a resistere ai richiami della competizione.

Questa volta sono partito dai fiori di zucca, quelli pastellati che immagino tutti conoscano - parlo di quelli fatti in casa, ovviamente, e non di quei malloppi di pastella, quasi sempre surgelati, che ti servono oramai ovunque - che ho pensato di smontare e usarli come base per il risotto, che volendolo chiamare con il suo nome esteso, altro non è che un

“Risotto con crema di fiori di zucca, cotto nel loro brodo e mantecato con mozzarella di bufala, olio e alici, con croccante di pane e lische fritte”

Come spero si intuisca dal nome esteso, ci sono più o meno tutti gli ingredienti tipici dei fiori, a partire dai fiori stessi, ovviamente, passando per la mozzarella e dalle alici, immancabili nel loro ripieno, per arrivare al pane, che richiama la pastella, e all’olio dove i fiori sono fritti.

Per quanto riguarda i fiori, li ho usati in due modi: i petali, cotti velocemente in acqua, per preparare una crema, lavorata solamente con la loro acqua di cottura e sale; i gambi per preparare un brodo, usato poi per la cottura del riso, questo preventivamente tostato a secco, senza quindi l’utilizzo di grassi.

Con la mozzarella di bufala - potete ovviamente usare anche quella vaccina, se preferite -  e con le alici, ho preparato un battuto, unito al risotto nelle fasi finali della cottura, giusto per dare tempo alla mozzarella di sciogliersi nel riso, mentre la mantecatura finale l'ho fatta con l’olio extravergine di oliva, preventivamente solidificato in freezer, in modo da accentuare lo shock termico e privilegiare l’azione della parte grassa piuttosto che quella liquida.

Infine, al momento di servire, ho distribuito sul risotto un croccante di pane, tostato in padella con olio extravergine, e una polvere ricavate dalle lische delle alici - ho usato quelle sotto sale - che ho prima fritto in olio di semi di arachide, in modo da renderle croccanti e consentirne lo sbriciolamento.