30 aprile 2012

Le mie ricette - Piccolo hamburger alla turca, con crema di piselli e visciolata


Eccomi qua, con la seconda contaminazione turco-ottomana, conseguenza di quattro splendidi giorni passati in quel di Istanbul, di un piatto oramai abusato anche in Italia e tanto amato dai più piccini.

Ingredienti (per 4 persone)
  1. 200 grammi di polpa magrissima di manzo macinata
  2. 4 fette di pane in cassetta
  3. Due piccoli cipollotti freschi
  4. Un cucchiaino di paprika dolce
  5. Un cucchiaino di spezie turche (cumino macinato e curry)
  6. 2 etti di piselli (è stagione, per cui prendeteli freschi invece che surgelati)
  7. Basilico
  8. Sale e pepe
  9. Olio extra-vergine di oliva
  10. Marmellata di visciole
Allora, direi di partire con i piselli, che come vi dicevo, sarebbe ora di prendere freschi, visto che è stagione, lasciando per una volta nel freezer i "pisellini primavera", compagni oramai abituali sulla tavola degli italiani.

Assaggiando i piselli freschi, vi assicuro che scoprirete un sapore nuovo, più pastoso e cremoso.

Bene, mettete i piselli in un pentolino con qualche cucchiaio di olio extra-vergine, coprite con il coperchio e portate sul fuoco, a fiamma bassa. Cuocendo con calma e con il coperchio, vedrete che non servirà aggiungere acqua.

Verso la fine della cottura regolate di sale e data una macinata di pepe.

Spegnete e fate freddare, poi aggiungete una decina di foglie di basilico e, con il Minipimer, riducete il tutto in crema (se non avete il Minipimer va bene, ovviamente, anche il frullatore; se non avete neanche quello, fatevelo prestare dal vicino/vicina, avete visto mai che...). Nel caso il tutto risulti troppo denso, aggiungete un altro po' d'olio.

Passiamo alla ciccia. Raccogliete il macinato (fatevelo sempre preparare al momento, dato che spesso quello pronto è addizionato con destrosio ed antiossidanti) in una ciotola, aggiungete le spezie e i cipollotti, che avrete preventivamente tritato finemente con il coltello. Regolate di sale, date una macinata di pepe, ed impastate il tutto con le mani (se toccare il cibo con le mani vi fa schifo, fatemelo sapere, che vi do il numero di un buon analista).

Formate, con il macinato, dei piccoli hamburger e teneteli in frigo fino alla cottura.

Ricavate dalle fette di pane in cassetta dei dischi di misura leggermente superiore a quella degli hamburger (sto parlando del diametro, ovviamente) e fateli dorare, da tutti e due i lati, su un padellino anti-aderente unto con un po' d'olio.

Sempre usando una padella anti-aderente, cuocete gli hamburger con un altro po' di olio extra-vergine e a fiamma medio-alta. Girateli più volte durante la cottura e ogni tanto schiacciateli con una paletta, in modo da controllare quanto liquido interno ci sia ancora, cosa che vi da un buona indicazione della loro cottura (l'hamburger al sangue non è il massimo, ma anche quello carbonizzato fra discretamente schifo).

Quando gli hamburger sono pronti, procedete con l'impiattamento, disponendo sul piatto una fetta di pane, sopra di essa l'hamburger e, a fianco, un po' di crema di piselli ed una cucchiata di marmellata di visciole.

Inebriati dai profumi delle spezie, portate in tavola e stupite i vostri ospiti.

Le mie ricette - Carciofo fritto con pastella alla mentuccia


Eh si, la stagione dei carciofi, ed in particolare della meravigliosa mammola romana, volge al termine, per cui quale modo migliore di salutarla se non un loro uso smodato in cucina ?

Questa volta nulla di che, dato che il carciofo fritto non è che sia proprio una ricetta innovativa o creativa, anche se richiede un minimo di tecnica per ottenere quella croccantezza fondamentale per la riuscita del piatto.

L'unica libertà che mi sono preso, non me ne vogliano i puristi del fritto, è quella di giocare un po' con la pastella.

Ingredienti (la quantità di pastella dipende ovviamente dal numero dei carciofi)
  1. Carciofi romaneschi (non li sapete pulire ? Leggete qui)
  2. Farina 00
  3. Semola di grano duro (stessa quantità della farina)
  4. Acqua minerale
  5. Un tuorlo d'uovo
  6. Un pizzico di lievito di birra o secco (quello che si usa per il pane)
  7. Mentuccia romana
  8. Olio extra-vergine di oliva
  9. Olio per friggere
  10. Sale
Preparate la pastella con un certo anticipo, in modo che, da un lato, messa in frigorifero, possa freddarsi al punto giusto, dall'altro possa aver tempo di armonizzare i suoi ingredienti e lasciare che il lievito svolga il suo compito.

Ricordatevi che una delle regole per avere un bel fritto croccante è la differenza di temperatura fra l'olio della frittura e quella dei carciofi e della pastella: maggiore è la loro differenza, tanto meglio è. Tenete quindi la pastella in frigo, oppure in una sorta di bagnomaria, dove nell'acqua metterete un bel po' di cubetti di ghiaccio.

Potete addirittura fare una pastella molto soda e, poco prima di usarla, metterci dentro alcuni cubetti di ghiaccio, che la raffredderanno e, al tempo stesso, sciogliendosi, le daranno la consistenza giusta.

Vabbé, la chiudo qua con il prontuario del perfetto pastellatore e passo alla preparazione.

Per prima cosa tritate con il coltello le foglie di mentuccia. La loro quantità dipende ovviamente dal gusto, ma direi di considerarne almeno una ventina.

Poi, in una ciotola, raccogliete la farina (che avrete setacciato) e la semola, aggiungete giusto un goccio d'olio extra-vergine, un po' di lievito (se usate quello secco, meno di mezzo cucchiaino, se usate quello di birra, un quinto del panetto da 25 grammi), la mentuccia tritata ed un pizzico di sale.

Cominciate ad allungare con acqua minerale gassata fredda, lavorando la pastella con una frusta, cercando di ottenere la giusta consistenza, per la quale non esiste una regola aurea, ma vale la vostra esperienza, tenendo presente che la pastella deve essere in grado di restare "aggrappata" ai carciofi.

Aggiungete anche il tuorlo d'uovo e lavorate con la frusta sino a quando il tutto sarà perfettamente liscio e, quindi, mettete la pastella in frigorifero.

Pulite i carciofi, seguendo nel dubbio quanto raccontato in questo post, tagliateli a metà e, con un coltellino ben affilato, rimuovete la "barba" (quei pelucchi che si trovano tra il gambo è l'attacccatura delle foglie), poi tagliate ogni metà del carciofo in tre spicchi.

Mano a mano che pulite i carciofi, metteteli a bagno in una ciotola con acqua e succo di limone (lasciate nell'acqua anche i limoni spremuti) e poi mettete il tutto in frigo, oppure aggiungete all'acqua del ghiaccio, oppure tutte e due le cose insieme (tanto non si è mai sentito di un carciofo morto per assideramento).

Quando è arrivato il momento di friggere, prendete una padella adatta (io uso un Wok), metteteci abbondante olio per friggere (oliva o arachide, mai gli intrugli "per friggere" che si trovano in giro), portate sul fuoco e scaldate sino a 160° (avete comprato il termometro ?).

Tanto che l'olio si scalda, scolate per bene i carciofi (se non li scolate a modino, la loro acqua residua diluirà la pastella e rovinerà il tutto) e passateli nella pastella, avendo cura che questa si distribuisca ovunque. 

Togliete dall'acqua e limone, e mettete nella pastella, solo la quantità di carciofi che friggerete volta per volta.

Quando l'olio è caldo al punto giusto, immergeteci i carciofi, avendo cura che questi siano ben separati tra di loro (in altre parole, non abbiate fretta di friggere i carciofi tutti insieme) e girateli in modo che la doratura sia omogenea su tutti i lati.

Vedrete che in 3 o 4 minuti ogni tornata di carciofi sarà pronta. Scolate i carciofi, usando un colino a maglie larghe, e metteteli su un piatto, sul quale avrete messo alcuni fogli di carta da cucina o per fritture, e date una spolverata con il sale.

Ripetete tutto il ciclo, dall'impastellamento alla salatura, fino ad esaurire i carciofi.

Mi raccomando, usate un piatto bello ampio e non mettete mai i carciofi fritti ammassati uno sull'altro, altrimenti l'umidità generata dal calore residuo andrà ad ammollare la croccantezza dei carciofi.

Concludo con un suggerimento pratico, e cioè quello di chiudervi a chiave in cucina quando friggete, dato che il carciofo fritto ha un curioso potere attrattivo sugli ospiti presenti in casa, che ogni tanto appaiono in cucina, con le scuse più bislacche e, visto che sono lì, si pappano un carciofo (questo potere ha effetto anche su voi che friggete, per cui cercate di controllarvi)

Ricordate che il fritto va mangiato caldo, per cui non appena finito, di corsa a tavola.

28 aprile 2012

Le mie ricette - Pomodori con mollica di pane e bottarga


Premesso che, se sono buone, un piatto di pappardelle al cinghiale io me le pappo anche a ferragosto, è pur vero che con l'approssimarsi dei mesi caldi, mi viene naturale un "alleggerimento" delle ricette, che privilegi i prodotti di stagione, soprattutto le verdure, e preparazioni non troppo elaborate.

Dato che girovagando tra i banchi del mercato (uno dei miei passatempi preferiti del sabato mattina), avevo adocchiato dei bei pomodori rossi a grappolo, non ho resistito ed ho facilmente ceduto alle lusinghe del mio fruttarolo (al mercato ci sono i "fruttaroli", nei negozi fighetti i "fruttivendoli"), che come sempre ha con me gioco facile.

Ingredienti (le dosi sono ad occhio)
  1. Pomodori rossi a grappolo
  2. Mollica di pane
  3. Bottarga (quella che avete o trovate, muggine o tonno che sia)
  4. Erbette fresche (qui c'è il mio trattato in materia)
  5. Capperi sotto sale
  6. Sale e pepe
  7. Olio extra-vergine di oliva
Allora, per quanto riguarda la mollica di pane la cosa migliore è usare il pane avanzato o, se ve lo siete mangiato tutto, compratene un pezzo e usate quello, privilegiando però quei tipi di pane con la mollica bella soda e compatta (ad esempio quello di Lariano o anche quello di Terni).

Quale che sia il pane scelto, toglieteli la crosta, spezzettate grossolanamente la mollica e frullatela nel mixer o nel frullatore. Quando è pronta travasatela in una ciotola.

Rivolgete ora la vostra attenzione ai pomodori, che probabilmente già si stavano intristendo, e per prima cosa, con fare da ingegnere, stabilizzateli, cioè provate a vedere se ogni pomodoro sia in grado di stare saldamente in piedi (si, lo so, i pomodori non hanno i piedi, ma quello che intendo è di verificare che il pomodoro, appoggiato con il picciuolo verso l'alto, non tenda a rotolare di lato). Nel caso ciò non fosse, tagliate con un coltello affilato l'estremità inferiore del pomodoro, in modo da spianarla e facilitare la posizione eretta (mi raccomando, tagliate giusto una mini fettina, dato che basta un superficie di contatto di circa un centimetro per risolvere il problema).

Terminata l'opera ingegneristica, tagliate la parte superiore ai pomodori, che userete poi come tappo (dalla foto si dovrebbe capire il suo spessore) e poi, usando un cucchiaino o, meglio ancora, uno scavino (quell'attrezzino che si usa per fare le palline di melone di cocomero), svuotate il pomodoro, con molta calma e facendo attenzione a non forare la parte esterna.

Ricordatevi di non togliere proprio tutto e di lasciare quella venature interne del pomodoro, che sono come una sorta di scheletro portante e che aiutano il pomodoro a non collassare durante la cottura.

Raccogliete tutto ciò che avete tolto dall'interno del pomodoro e frullatelo.

Prendete tutte le erbette che avete a disposizione (origano, basilico, timo, maggiorana, poca mentuccia,..) e tritatele finemente con il coltello (mai frullare le erbette, vi ritrovereste con una sorta di poltiglia decisamente poco invitante).

Prendete i capperi sotto sale, lavateli sotto l'acqua corrente per eliminare il sale e poi asciugateli con qualche foglio di carta da cucina e, sempre usando il coltello, dategli una sommaria tritata (ma se i capperi sono quelli piccini piccini, allora potete anche evitare di farlo)

Bene, ora che avete tutto sotto mano, per benino ordinato sul piano di lavoro, potete preparare l'impasto.

Per prima cosa aggiungete un po' di sale alla mollica di pane, poi le erbette tritate i capperi e poi aggiungete qualche cucchiaio di olio extra-vergine ed una macinata di pepe (del tipo che preferite).

Date una prima amalgamata con un cucchiaio, in modo che l'olio possa essere assorbito da tutta la mollica. Poi, dato che sicuramente l'impasto risulterà troppo asciutto (a meno che non abbiate esagerato con l'olio), allungatelo con qualche cucchiaio dell'interno dei pomodori frullato, tenendo presente che non esiste una formula magica per capire quanto ne dovete mettere, ma vi dovete invece affidare alla vostra esperienza (in ogni caso, meglio troppo bagnato che troppo asciutto).

Manca solo la bottarga e poi siete pronti per la farcitura. Se usate la bottarga fresca, allora grattuggiatela nel modo classico, come quando la usate per condire la pasta; se invece usate quella già grattuggiata, in barattolo, aggiungetene semplicemente qualche cucchiaio all'impasto.

La quantità di bottarga dipende ovviamente dal vosto gusto, tenendo comunque presente il suo sapore intenso, che non deve prevalere in modo schiacciante sugli altri ingredienti dell'impasto.

Date un'ultima mescolata all'impasto, assaggiate che vada bene di sale e, usando un cucchiaio, riempiteci i pomodori. Tenete presente che questo impasto non cresce troppo con la cottura, per cui potete riempire tranquillamente i pomodori quasi fino all'orlo.

Terminata la riempitura, disponete i pomodori in una teglia unta d'olio, coprite ciascun pomodoro con il suo tappo (senza essere troppo fiscali, in fondo non è che state facendo un puzzle, per cui evitate di perdere ore per associare ad ogni pomodoro proprio il suo tappo).

Un filo d'olio sui pomodori e via in forno, a 180° per un'oretta.

A cottura ultimata, spegnete, tirate fuori e fate freddare, dato che il tutto va mangiato freddo o appena tiepido.

Bye-bye rose e gerani, Hello timo e mentuccia


Stanchi della solita frase del fruttivendolo "le do un po' di odori ?", che quasi sempre si traduce in un mesto mazzetto di prezzemolo e qualche rametto smunto di basilico ?

Rattristiti dalle vaschette degli odori nel banco verdure dei supermercati, spesso già in via di saponificazione e, comunque, vendute a prezzi fuori da ogni ragionevolezza ?

Avete preso gli odori freschi ma poi ve li siete dimenticati nel cassetto delle verdure del frigo e, quando li andate a riprendere, trovate qualcosa che assomiglia ai resti di Tutankhamon ?

Il vostro armadietto preferito della vostra amata cucina trabocca di barattolini di spezie secche, oramai scadute da millenni e prive di qualsiasi residuo di odore ?

Bene, allora è arrivato il momento di cambiare arredamento al vostro balcone o balconcino, salutando con qualche lacrimuccia i tristi gerani, le pallide rose e, in genere, tutti quegli inutili fiorellini, e dare inizio alla vostra meravigliosa avventura da "lupetto dell'orto".

Eh si, nulla di più gratificante di avere una tenera famigliola di odori, quelli veri, quelli freschi, che giorno dopo giorno crescono in salute, concedendosi a voi in ogni momento di bisogno, senza avere quella altezzosità tipica dei fiori, che vogliono solo cure e nulla danno in cambio, se non un inutile odore che, oramai, si confonde e si spegne nella puzza dell'atmosfera cittadina.

Allora, forza, mettete il vostro vestitino simil-gentiluomo-della-campagna-inglese e uscite per i vostri acquisti, con la stessa trepidazione di un bambino che, il giorno di Natale, apre la porta del salotto per sbirciare i regali sotto l'albero.

Avete due alternative: la prima è il chioschetto dei fiori che sicuramente avrete vicino casa, che quasi sicuramente avrà un piccolo settore dedicato alle piantine di odori; la seconda è il vivaio, più professionale, con prezzi più bassi, in genere con una scelta più ampia, ma sicuramente lontanuccio da casa.

In teoria, se proprio volete saltare il corso introduttivo e passare direttamente al diploma di specializzazione, potete anche comprare i semini, piantarli, accudirli, coccolarli ed assistere alla miracolo della vita che nasce. Ma, emozioni a parte, dovrete innanzitutto avere pazienza, visto che la vita nascerà pure, ma lo farà piano piano, e poi mettete in conto che ogni semino vuole la sua stagione per essere piantato, per cui, insomma, è tutto un po' più complicato. Certo, scegliendo i semini, generalmente avete il massimo della varietà possibile.

Io, comunque, sono un fan delle piantine.

Allora, vi siete decisi ma non sapete cosa comprare ? Bene, per prima cosa valutate quanto spazio avete all'esterno, considerando che gli odori non li dovete piantare ammassati tra loro (sto dando per scontato, naturalmente, che le piantine che comprate poi le travaserete in vasi più grandi), per cui, in un vaso rettangolare e non troppo piccolo, al massimo due piantine diverse. La cosa migliore, tuttavia, è una piantina per vaso, che quindi sceglierete di forma tonda o quadrata.

Senza l'ardire di fare un vero e proprio business plan da imprenditore degli odori, e dopo aver stimato il numero di piantine che vi potete permettere, il mio consiglio è di scegliere quegli odori che più di altri è difficile trovare dal fruttivendolo o al supermercato. Se poi avete spazio per tutti gli odori del mondo, tanto meglio.

Nel mio caso, avendo la fortuna di disporre di bello spazio nel balconcino della cucina (così gli odori sono anche a portata di mano), scelgo normalmente:

  1. Origano (quasi introvabile nei negozi)
  2. Timo (ogni tanto si trova, soprattutto nei supermercati)
  3. Maggiorana (come il timo, ma ancora più raramente)
  4. Mentuccia (in genere la si trova solo nel periodo dei carciofi)
  5. Erba cipolina (rarissima, manco fosse un tartufo)
  6. Salvia (si trova facilmente al supermercato)
  7. Rosmarino (ve lo tirano dietro)
  8. Basilico (ve lo tirano dietro)
  9. Prezzemolo (ve lo tirano dietro)
Come vedete, quindi, basilico, prezzemolo e rosmarino li prendo solo perché ho spazio e sarebbero i primi ad essere esclusi se così non fosse, tanto si possono trovare ovunque. Manca solo l'alloro, decisamente ingrombrante da coltivare, per cui a malincuore vi devo rinunciare.

Bene, tornati a casa con il vostro prezioso tesoro, procedete all'invasamento (mi prendo l'ardire di assumere che avrete comprato anche la terra ed i vasi), lordando tutto il balcone, ma alla fine fieri e soddisfatti della vostra opera.

Ricordatevi che gli odori, con poche distinzioni, vogliono un bel sole diretto, almeno per tutta la mattina o il pomeriggio e, fortuna per loro e per voi, sono anche tolleranti a qualche dimenticanza nell'abbeveramento, per cui se un giorno vi scordate di innaffiarli e, tornando a casa, trovate ad esempio il basilico mogio mogio, vedrete che con un po' d'acqua recupererà rapidamente il tono e non vi serberà rancore.

Ora, in giro leggerete molti consigli su come assistere le vostre piantine, alcuni dei quali nella direzione di riservarle così tante cure da spingervi a chiedere qualche sorta di sussidio statale: mix di terra e concime da far invidia ai migliori paté, cappottini di inverno e maniche corte d'estate, sfoltitura dei rami con perizia pari a quella dei fratelli Bundi, già due volte campioni del mondo.

No, grazie. Confesso, invece, che io, a parte l'innaffiatura, le lascio bellamente al loro destino e loro mi hanno sempre ripagato. Ho una piantina di mentuccia che oramai è alla soglia del quarto anno ed ha superato indenne tutte le stagioni, da sola e senza alcun aiuto (compresa la nevicata romana di quest'anno).

Io non le concimo mai e, solo quando serve e quando mi ricordo, do una spuntatina a quei rami che si allungano troppo o che non fanno oramai più foglioline. Per il resto se la cavano da sole. Viva la selezione naturale di Darwin ed il metodo Montessori, con il suo slogan indelicatamente parafrasato: "aiuta le piantine ad aiutarsi da sole" !

E se qualche piantina ci lascia, trapassa, viene a mancare, si spegne...insomma, se crepa ? Beh, nulla, un saluto, un riconoscimento per la sua abnegazione, una lacrimuccia, una degna sepoltura e via con una nuova piantina.

Siete arrivati in fondo ? Siete sporchi di terra dalla testa ai piedi ? Bene, complimenti, da ora in avanti arriva la parte godereccia della cosa, con le vostre piantine in trepidante attesa sul balconcino, felici di darvi le loro foglioline per profumare tutte le vostre creazioni culinarie.

Perché, ricordatevi, sono gli odori il miglior amico dell'uomo, altro che i cani, che alle 6 del mattino e alle 11 di sera dovete portare fuori a fare pipì e pupù.

27 aprile 2012

Le mie ricette - Arista di maiale, con influenze turco-ottomane, cotta a bassa temperatura e accompagnata da verdure scottate


Come i più fedeli frequentatori sapranno, i quattro giorni passati adIstanbul, sono stati sia motivo per godere della splendida città e delle sue bellezze, ma anche per alimentare pensieri spregiudicati di una fusione turco-ottomana-mediterranea per quanto riguarda la cucina.

Avendo fatta la classica tappa al Bazaar delle spezie, dove non mi sono potuto esimere dal comprare ciò che abili mercanti mi hanno convinto a comprare, ho deciso che, per dare un senso alla spesa, avrei dovuto riservare alle simpatiche spezie una degna fine, in senso culinario, naturalmente.

Quindi, visto che di fusione si tratta, ho deciso di abbinare ad una carne esclusa dalla cucina islamica, cioè il maiale, una cottura lenta e profumata dalle spezie.

La ricetta in se è molto facile, anche se lunghetta da preparare, e richiede necessariamente un forno elettrico, in modo da poter regolare per bene la temperatura.


Ingredienti
    1. Un pezzo di arista di maiale (dipende da quanti siete a tavola, ma non meno di 6 etti)
    2. Latte intero (vedete dopo per la quantità)
    3. Carote
    4. Zucchine
    5. Funghi coltivati
    6. Asparagi
    7. Cipollotti freschi
    8. Curry
    9. Paprika dolce
    10. Pepe in grani
    11. Semi di cardamomo
    12. Qualche rametto di timo fresco
    13. Sale
    14. Farina
    15. Olio extra-vergine di oliva
      Allora, piccola premessa sul cardamomo, l'unica spezia difficile da trovare in Italia, peraltro abbastanza costosa: se non la trovate, poco male, sostituitela con qualche bacca di ginepro o, semplicemente, eliminatela dalla ricetta.

      Bene, per prima cosa, sappiate che il tutto prende avvio la sera prima della cottura, dove, per prima cosa, eliminerete dall'arista tutte le parti grasse (la cottura a bassa temperatura non scioglie il grasso, per cui, se non lo togliete, vi trovereste poi a mangiare una cosa decisamente poco invitante).

      Prendete poi una casseruola completamente in metallo (manici inclusi, ovviamente), che possa andare in forno, e di dimensione adatta a contenere a misura l'arista (così usate meno latte).

      Versateci, per cominciare, un litro di latte intero, al quale aggiungerete due cucchiaini di curry, due di paprika dolce, due cucchiaini di grani di pepe, meglio se di vario tipo (nero, rosa, verde,...) e, per finire e se l'avete trovato, 5 o 6 semi di cardamomo. Salate e mescolate per bene.

      Immergete l'arista nel latte, aggiungendone altro nel caso non fosse sufficiente a coprire interamente la carne. Coprite con il coperchio e mettete in frigo.

      Il giorno dopo, con sufficiente anticipo, considerando che la cottura a bassa temperatura richiederà quattro ore e mezza, tirate fuori la casseruola dal frigo e mettetela in forno, con il coperchio, ad una temperatura che dovrà oscillare tra i 75° ed gli 85°. Dico oscillare perché tutti i forni elettrici regolano la temperatura, non in modo continuo, ma accendendo e spegnendo la resistenza quando la temperatura, rispettivamente, scende al di sotto o al di sopra del valore impostato. Quindi, se impostate una certa temperatura, non pensate che il forno la manterrà sempre costante, ma questa, al contrario, oscillerà nel suo intorno.

      Se vi fidate ciecamente del termostato, potete infornare e rilassarvi, altrimenti vi suggerisco di comprarvi un termometro da forno, che vi consentirà di regolare al meglio la temperatura e, soprattutto, di valutare l'accuratezza del termostato (nel mio caso, ad esempio, la temperatura tende ad essere inferiore a quella che imposto con la manopoletta del forno).

      Tanto che l'arista si cuoce, preparate le verdure, tagliandole in pezzi non troppo piccoli e cuocendole separatamente nella stessa padella con un po' d'olio extra-vergine(che non è una contraddizione in termini, ma indica semplicemente che prima ne cuocete una, poi la togliete, ne cuocete un'altra e così via). Ad ogni cottura ricordate di salare le verdure e, nel caso, di aggiungere un po' d'olio.

      Vi consiglio (ma qui comanda il vostro gusto) di non cuocere troppo le verdure, in modo che, quando le mangerete, queste siano un po' scrocchiarelle. Non mi chiedete il perché, dato che in effetti non c'è: semplicemente a me piacciono così...

      Cotte tutte le verdure, riunitele di nuovo, questa volta tutte insieme, nella padella, aggiungete un paio di rametti di timo fresco, date una macinata di pepe e fate saltare a fiamma viva per non più di due minuti, giusto il tempo affinché il timo sprigioni i suoi odori.

      Se vi state domandando se in me alberghi l'istinto del sadico, che motiva il farvi perdere tempo in questa bislacca cottura delle verdure, vi rispondo che ciò serve semplicemente per il fatto che ogni verdura ha il suo tempo di cottura e quindi, mettendole tutte insieme, vi trovereste con alcune verdure in pappa e con altre dure. Se ancora non vi ho convinto, allora lasciate perdere le verdure ed accompagnate la carne con un bel purè fatto con le bustine; se anche il purè vi sembra impegnativo, allora...beh, che ve lo dico a fare ?

      Quando l'arista è cotta, o meglio quando sono trascorse quattro ore e mezza (dato che l'arista cuoce coperta e nel latte e praticamente impossibile capire quando è cotta; dovete semplicemente fare voto di fiducia), togliete la casseruola dal forno.

      Prendete un paio di mestoli del latte di cottura, travasatelo, filtrandolo con un colino a rete, in un pentolino e aggiungeteci un cucchiaino di farina setacciata, riportate sul fuoco e mescolate sino a quando il tutto non si addensa.

      A questo punto togliete l'arista dal latte, tagliatela in fette, impiattatele e versateci sopra un po' della salsetta preparata con il latte e, infine, guarnite con le verdure (o con il purè...).

      Le mie ricette - Caprese di bufala in crosta


      Se ieri siete stati attenti, dovreste aver letto della mia crisi di astinenza dai sapori mediterranei, dovuta ad uno splendido e speziato viaggio ad Istanbul, che se da un lato mi ha arricchito culturalmente, dall'altro ha messo a dura prova gli omini dello stomaco, che hanno dovuto lavorare sotto gli effluvi di un diluvio di spezie, buone ma stordenti.

      Il rientro romano, quindi, è stato coronato, ancor prima che dallo svuotamento delle valigie, da una terapia d'impatto, per ridurre quel retrogusto speziato che ancora aleggiava in ogni cellula del mio corpo. Questa operazione, direi più clinica che gastonomica, ha prodotto questa ricetta.

      Ora, però, caso (o fine strategia) ha voluto che mi fosse avanzata un bel pezzo di mozzarella di bufala, che non appena tornato a casa, ha cominciato ad implorarmi di non essere lasciata sola e di poter assolvere al proprio dovere, per cui, per solo spirito caritatevole, ho dovuto giocoforza inventarmi qualcosa...

      Ingredienti
      1. Mozzarella di bufala
      2. Pomodori dolci e maturi
      3. Qualche foglia di basilico
      4. Pasta sfoglia (va benisismo quella già pronta, considerando che con un rotolo dovreste riuscire a farci 3 saccottini)
      5. Un tuorlo d'uovo
      Anche in questo caso, la preparazione è velocissima.

      Tagliate a fette spesse la mozzarella di bufala (lo spessore lo scegliete voi, ma cercate di stare tra il centimetro e il centimetro e mezzo) e lasciate le fette su un tagliere inclinato in modo che possano perdere un po' del loro siero (una mezz'oretta va bene).

      Tagliate i pomodori a fette, questa volta più sottili. Scegliete pomodori dolci, come ad esempio la varietà Camone.

      Stendete la sfoglia, poggiate su di essa una fetta di mozzarella, coprite la mozzarella con le fette di pomodoro, mettete una foglia di basilico sul tutto e, infine, tagliate la sfoglia in modo che sia possibile, ripiegandola, sigillare completamente il tutto (terza foto).

      Ripiegate per primi i bordi lunghi sopra il ripieno, facendoli aderire tra di loro, e poi ripegate quelli sui lati corti, in modo che vadano a coprire il tutto. Con le dita "saldate" alla perfezione tutta la sfoglia, eliminando pieghe,ed eventuali fessure (la mozzarella ha una innata capacità ad insinuarsi nelle più piccole fessure, cosa che provocherebbe la sua fuoriuscita nel momento della cottura).

      Lo ripeto, siate fastidiosamente perfezionisti, e controllate per benino tutta la sfoglia prima di passare al saccottino successivo.

      Con la pasta sfoglia avanzata, se volete, fateci qualche decorazione.

      Mettete i saccottini su una teglia antiaderente e, usando il tuorlo d'uovo ed un pennellino (se non lo avete, vanno bene le dita) spennellate la sfoglia, su tutti i lati, evitando che rimangano zone non coperte dall'uovo

      Infornate a 220° per 15-20 minuti e comunque fino a doratura.

      Spegente, togliete dal forno, fate riposare per una decina di minuti e servite.

      26 aprile 2012

      Le mie ricette - Negazione di panino con la bufala


      Ciò che stava dentro, ora sta fuori; ciò che stava fuori, ora sta dentro. Ecco l'essenza della negazione.

      Delirio introduttivo a parte, la ricetta (beh, ricetta è una parola grossa, lo ammetto) è nata dal rientro dal mio soggiorno ad Istanbul, dove quattro giorni di spezie avevano lasciato il segno, facendomi anelare qualche sapore fresco esattamente come lo sperduto nel deserto sogna una fonte dove abbeverarsi.


      La ricetta è una non ricetta, tanto è rapida e semplice da prepararsi.

      Ingredienti
      1. Qualche fetta di mozzarella di bufala (la mia preferita, oramai lo sapete, è quella de La Baronia)
      2. Una fetta di pane casareccio (magari fatto da voi in casa)
      3. Un pomodoro bello maturo
      4. Qualche filetto di acciuga
      5. Olio extra-vergine di oliva
      6. Qualche foglia di basilico
      7. Sale e pepe
      Pronti, via ! 

      Fate tostare la fetta di pane nel tostapane o nel forno.

      Tagliate la mozzarella di bufala in fette non troppo sottili, che dovete tagliare solo all'ultimo momento, dato che il suo siero deve imbibire il pane.

      Tagliate anche il pomodoro in fette, questa volta un po' più sottili della mozzarella. 

      Su un piatto mettete le fette di mozzarella, in modo da occupare una superfice pari a quella della fetta di pane, un filo di olio extra-vergine, un paio di filetti di acciuga, poi le fette di pomodoro, sulle quali date una macinata di sale, altro filo d'olio e qualche foglia di basilico spezzata con le mani, poi la fetta di pane e, ancora, altro filo d'olio.

      Ripetete in ordine inverso, quindi sul pane altre fette di pomodoro, sale e olio, due filetti di acciuga e, infine, altre fette di mozzarella, sulle quali filo d'olio finale e macinata di pepe (se vi piace).

      Pronto. Non serve far altro se non far riposare il panino per una mezz'ora (se le vostre papille resistono) in modo che il siero della mozzarella e l'olio ammorbidiscano il pane e gli trasferiscano i sapori. 

      Istanbul, mon amour...


      Odori, rumori, vociare, sorrisi, bancarelle, ciambelle, pannocchie, spezie, dolcetti, pescetti, castagne (ad Aprile !), ...

      Eh si, Istanbul non è solo arte, religione, turismo, atmosfera, sacralità, ma, soprattutto per i fini di questo Blog, gastronomia. Pesantuccia, vero, molto speziata, altrettanto vero, impegnativa per molti, digestivamente parlando ma, comunque, interesssante da esplorare, alla ricerca, per chi vuole darci dentro con lo spignattamento, di contaminazioni con quella mediterranea, a noi più familiare.

      Dopo quattro giorni di soggiorno ad Istanbul, di esplorazioni gastronomiche oltreché artistiche, posso infatti fregiarmi del titolo di “Lupetto Turco della Gastronomia”, titolo festeggiato con il tradizionale acquisto delle spezie al Bazaar Egiziano (in foto – le spezie, non il Bazaar) e condividere con voi qualche mia riflessione/esperienza.

      Partiamo dalle cose che mi hanno colpito nel girovagare per la città: le castagne ad aprile, che trovate praticamente ovunque, e le pannocchie, prima lessate e poi arrostite, che tutti sgranocchiano allegramente.

      Sempre per la strada, molte spremute, soprattutto di arance, dolcissime, ma anche di pomplemo rosa e di melograno.

      Poi le ciambelle con i semini di sesamo, semplici o farcite con un formaggio simile nella cosnsitenza al Philadelphia, ma più saporito e i panini con lo sgombro, serviti quasi esclusivamente nei dintorni del ponte di Galata.

      A pranzo, ovviamente, almeno il turista, non può esimersi dal Kebab, oramai sdoganato in tutto il mondo, che personalmente ritengo si debba pappare rigorosamente in piedi, mentre si passeggia, nelle sue varianti di pollo o manzo, nella pita, nel “rotolo” o nel classico panino.

      Bene, arriviamo finalmente alla cena, alla quale, da turista, ci si arriva belli affamati, soprattuto se durante il giorno avete sgambettato e resistito alle tentazione goderecce descritte sopra.

      La cucina, come immagino oramai tutti sappiano, si base su ingredienti che fanno parte anche della nostra cucina, con la differenza sostanziale di uno smodato ricorso alle spezie, che normalmente lascia disorientati e, soprattutto, induce una simpatica alitosi notturna, che il vostro partner amerà in modo particolare.

      Tant’è, paese che vai, cucina che trovi, per cui, vi prego, non chiedete piatti di pasta o la soglioletta ai ferri nei ristoranti (tanto varrebbe andare da Mac Donald, allora), ma lanciatevi nella sperimentazione e assaggiate tutto ciò che trovate.

      Una cena tipica parte sempre con un antipasto freddo (meze), spesso nella forma di un piatto con una serie di assaggini, sia a base di verdure, che di carne o pesce, tutti comunque molto decisi nel sapore. Non piccanti, come si potrebbe credere, ma semplicemente molto speziati.

      Per quanto riguarda le verdure – piccola digressione, poi torniamo sulla cena, non temete – grande uso di melanzane (come nella Mussakka, leggermente diversa da quella greca), peperoni verdi, piccantini, insalata verde, più come guarnizione che come pietanza, ravanelli, cipolle, carciofi (per la cronaca, nei mercati ho visto carciofi molto simili alla classica mammola romana) e funghi.

      Bene, dopo l’antipasto freddo, si può passare, se vi regge lo stomaco, anche ad uno caldo, che può essere una zuppa di verdure, un piatto vegetale o anche di pesce (calamari e gamberi fra tutti). Certo che prendersi una fritturina di calamari ad Istanbul...

      Arriviamo finalmente al piatto principale, che potete scegliere dalla tradizione turco-ottomana, oppure – ma allora perchè siete andati in Turchia – da portate più internazionali, che tutti i ristoranti hanno per non scontentare il turista tristemente legato alla sua terra.

      Sui piatti tipici dico solo che sono tutti a base di carne, generalmente agnello, spesso pollo, ma anche manzo e vitello. Sono cucinati, sorpresa sorpresa, con molte spezie e serviti con riso e verdure. Devo ammettere, ahimè, che spesso, almeno per il nostro palato, tutte queste spezie hanno l’inconveniente di rendere un po’ uguali fra loro tutti i piatti, con il sapore e l’odore delle spezie che svetta su tutti gli altri.

      Dopo la portata principale, se ancora avete spazio nello stomaco, che già stata andando a tutto regime tentando di metabolizzare le spezie, si passa ai dolci, molto buoni e non così dolci (nel senso zuccherino del termine) come ci si potrebbe aspettare.

      Il docle tipico è il Baklava, fatto con una sorta di pasta sfoglia (anche se il procedimento è diverso), farcito normalmente con pistacchi (che, per la cronaca, suono buonissimi, con buona pace dei nostri amici di Bronte) e spesso servito con un po’ di gelato alla vaniglia. Ci sono poi ottimi pudding di riso e creme simili alla creme brulée. Moltissimo uso di frutta secca, pistacchi come già detto, ma non solo.

      Da bere non aspettatevi granchè: qualche vino locale, più spesso birra (niente male la Efes, una pilsner turca) e, con il dolce, il tipico the turco e, a volte, un liquore a base di mandorle che, per dirla in tutta franchezza, a me è sembrato molto simile allo sciroppo per la tosse.

      Bene, tutto molto bello direte voi, ma cui prodest ? Beh, quantomeno a me, che nei periodi di riposo (pochi) del soggiorno ho provato a immaginare come coniugare elementi di cucina turca con quelli della mediterranea; spero anche a voi, nell’illusione che le ricette che sperimenterò abbiano un senso e, soprattutto, una commestibilità.

      Ai posteri l'ardua sentenza...

      20 aprile 2012

      Le mie ricette - Carpaccio di mazzancolle e mela, con mentuccia e riduzione di more


      Ed ecco, per finire la terza ricetta della serie "spesa all'ultimo minuto", che mi ha portato a provare una tripletta di antipastini, dei quali il primo è descritto in questa ricetta ed il secondo in questa.

      Ingredienti
      1. Qualche mazzancolla bella grande (in alternativa qualche gamberone, basta che non sia decongelato)
      2. Una mela
      3. Un po' di more
      4. Qualche fogliolina di mentuccia romana
      5. Sale e pepe
      6. Mezzo limone
      7. Olio extra-vergine di oliva
      8. Aceto balsamico (vero e buono)
      Frullate per benino le more, con il Minipimer o il frullatore, mettetele in una casseruolina anti-aderente e portatele sul fuoco a fiamma bassa. Fate andare per qualche minuto, in modo che il tutto possa addensarsi. Quando la riduzione è pronta, aggiungeteci un cucchiaino di aceto balsamico.

      Togliete la testa ed il guscio alle mazzancolle (se volete, invece di buttarli, potete usarli per insaporire un sughetto al pomodoro  per la pasta) e tagliatele a fettine sottili nel verso della lunghezza, operazione non facilissima, ma con un po' di pazienza ed un coltello adatto si fa. Abbiate cura di rimuovere il filamento intestinale.

      Tritate grossolanamente, con il coltello, le foglie di mentuccia romana.

      Sbucciate la mela e tagliatela in fettine sottili (tagliata la mela all'ultimo, per evitare che annerisca).

      Impiattate alternando fettine di mela con fettine di mazzancolla, date sul tutto una macinata di sale e di pepe, bagnate con un po' di succo di limone (per bagnare intendo spremere delicatamente il mezzo limone sopra le mazzancolle, facendo cadere il succo goccia a goccia) ed un filo di olio extra-vergine.

      Sopra a tutto, con un cucchiaino, fate cadere qualche goccia di riduzione di more e, per finire, le foglioline di mentuccia tritate e, se volete, un po' di julienne di scorza di limone.

      Mettete in frigo o divorate subito.

      Le mie ricette - Carpaccio di tonno su purè di fagioli cannellini, con mirtilli neri ed origano fresco


      Ecco la seconda ricetta della serie "spesa all'ultimo minuto", che mi ha portato a provare una tripletta di antipastini, dei quali il primo è descritto in questa ricetta.

      Ingredienti
      1. Un pezzo di filetto di tonno
      2. Una scatola di fagioli cannellini
      3. Qualche mirtillo fresco
      4. Qualche rametto di origano fresco (compratevi una piantina e tenetela in balcone)
      5. Sale e pepe
      6. Olio extra-vergine di oliva
      7. Aceto balsamico (al solito, quello vero)
      Tagliate il filetto di tonno in fettine sottili, usando un coltello ben affilato.

      Mettete i fagioli cannellini in una ciotola, aggiungete qualche cucchiaio di olio extra-vergine, e con il Minipimer riducete il tutto in crema, aggiungendo altro olio nel caso il tutto vi sembri troppo denso. Se non avete il Minipimer, usate il frulaltore tradizionale, se non avete nemmeno quello, cambiate hobby.

      Tagliate i mirtilli neri a fettine sottili e tritate grossolanamente l'orgigano fresco.

      Impiattate partendo con il purè di fagioli, che disporrete in modo omogeneo usando un cucchiaio, e sul quale mettere prima le fettina di tonno e poi, su queste, quelle di mirtillo.

      Date sul tutto una macinata di sale (dico macinata perché io preferisco usare il sale grosso, meno raffinato, e macinarlo al momento) ed una di pepe, versate un filo di olio extra-vergine e qualche goccia di aceto balsamico.

      Completate con l'origano fresco e mettete in frigo fino al momento di servirlo.

      Le mie ricette - Carpaccio di triglia e fragole, al profumo di timo


      Complice una lunga giornata di lavoro, che da un lato mi ha permesso di passare al supermercato solamente in zona Cesarini, ma dall'altro mi ha consentito di sfruttare le offerte last minute al banco del pesce, mi sono imbarcato in una tripletta di antipastini a base di pesce crudo, coniugando i sapori marini con quelli della frutta.

      Ovviamente, trattandosi di ricette a base di pesce crudo, l'unica attenzione è quella di prendere il pesce dove vi fidate di prenderlo ed evitare (specie nei supermercati) il pesce decongelato.

      Qui c'è la prima ricetta e, a seguire, arriveranno anche le altre. Facile intuire che, trattandosi di ricette a base di pesce crudo, la preparazione è velocissima.

      Ingredienti
      1. Una triglia di scoglio
      2. Qualche fragola
      3. Qualche rametto di timo fresco
      4. Sale e pepe
      5. Olio extra-vergine di oliva
      6. Aceto balsamico (quello vero, non la melassa che si trova al supermercato)
      Per la triglia ci vuole un po' di pratica e di pazienza, dato che sfilettare il pesce, se non l'avete mai fatto, non è proprio semplicissimo.

      Fondamentale è l'uso di un coltello adatto, affilatissimo, che vi consente di tagliare il pesce allo spessore desiderato. Sul mercato esistono coltelli specifici per sfilettare, che altro non sono che coltelli con la lama molto sottile e bassa, in modo che sia più facile seguire la forma del pesce.

      Detto ciò, per prima cosa togliete la pelle alla triglia, incidendola all'altezza della testa o della coda, e poi, aiutandovi con il coltello, staccandola dalla polpa con tagli piccoli e progressivi. Vi consiglio di evitare la tecnica dello "strappo" (quella che si usa, ad esempio, per la sogliola), dato che si corre il rischio di togliere si la pelle, ma con lei anche pezzi di polpa.

      Tolta la pelle, e sempre usando il coltello, cominciate a ricavare le fettine, partendo dalla lisca centrale e tagliando verso le estremità. Non vi preoccupate se le fettine non risultano perfette, tanto poi le dovrete comunque tagliare per alternarle alle fettine di fragole.

      Finito con la triglia, riposatevi e passate alle fragole, che taglierete anch'esse a fettine.

      Impiattate alternando una fettina di triglia ed una di fragola, date sul tutto una macinata di sale e di pepe, versateci un filo, ma proprio un filo, di olio extra-vergine ed alcune gocce di aceto balsamico e, infine, completate con qualche fogliolina di timo (le foglioline sono piccole, per cui non serve tritarle)

      Mettete in frigo sino al momento di consumarle.

      17 aprile 2012

      Le mie ricette - Polpette di ceci e pecorino, con panatura di pistacchio


      Eh si, mi avete scoperto, dopo aver preprato la ricetta di ieri sera, mi sono avanzati dei ceci che, non potendoli vedere lì tristi, nel pentolone, soli soletti, ho deciso di dargli una nuova opportunità.

      Ingredienti (per le quantità, fate ad occhio)
      1. Ceci lessati
      2. Pecorino romano grattugiato
      3. Pistacchi non salati
      4. Un uovo
      5. Un bel rametto di rosmarino fresco
      6. Uno spicchio d'aglio
      7. Sale e pepe
      8. Olio per friggere
      La prima cosa da fare, noiosa e pure faticosa, è ridurre i ceci, ben scolati, in purè. In teoria dovreste fare con il passa pomodoro ma, ad essere sinceri, ci ho provato e dopo dieci minuti i ceci stavano ancora tutti lì. Ho provato anche con il passapatate, ma i ceci fanno troppa resistenza e, anche se non sono proprio un mingherlino, per quanto forzassi, i ceci non ne volevano sapere di passare per i fori.

      Ho pensato di usare il frullatore, ma ho rinunciato dato che ero sicuro che, non potendo aggiungere il liquido di cottura, dato che l'impasto deve rimanere ben fermo, il frullatore avrebbe semplicemente girato a vuoto, con tutti i ceci spiaccicati sulle pareti del bicchiere.

      Alla fine sono ricorso al santo Minipimer (una delle invenzioni del secolo), che mi ha permesso di frullare il tutto con relativa semplicità, muovendolo in modo selettivo sui ceci e sfiancando ogni loro resistenza.

      Bene, dopo questa vittoria, della quale siete liberissimi di andarne fieri, aggiungete ai ceci un uovo sbattuto, una bella macinata di pecorino romano grattugiato ed un trito, molto fine, fatto con gli aghi del rosmarino e con lo spicchio d'aglio. Aggiustate di sale e date anche una bella macinata di pepe.

      Mescolate per benino il tutto, non preoccupandovi se qualche cecio non si sia perfettamente frullato.

      Prendete ora i pistacchi, almeno una bustina, e passateli al mixer (quello ad alta velocità, che si usa per macinare il caffè) e riducetelo quasi in polvere.

      Con l'impasto di ceci, che ripeto deve essere molto sodo, fate delle polpette della dimensione che preferite.

      Prendete una padella della misura giusta a contenere le polpette, senza che rimangano spazi vuoti, se non altro per non dover usare troppo olio, versateci l'olio che avete scelto per friggere (scegliendo tra olio di oliva o di arachidi e dimenticandovi di altre strane misture che si trovano in vendita).

      Al quantità d'olio dovrà essere tale che, una volta immerse le polpette, l'olio raggiunga almeno la loro metà, in modo che una sola girata riuscirete a friggerle alla perfezione (benché, in teoria, vi servirebbe una perfetta conoscenza del Principio di Archimede, direi che una valutazione ad occhio dovrebbe comunque andar bene).

      Portate la padella sul fuoco, a fiamma media, e fate scaldare l'olio a 160° (giuro che non dirò più nulla sull'utilità di un termometro da cucina, ma voi in cambio promettetemi che ne comprete uno). Ricordatevi di non impanare mai le cose con troppo anticipo rispetto alla loro frittura, dato che altrimenti la panatura si inumidisce troppo.

      Tanto che l'olio si scalda, passate le polpette nell'uovo e poi nei pistacchi macinati e poi immergetele rapidamente nell'olio e friggetele in modo uniforme, per non più di qualche minuto, dato che i ceci sono già cotti e la panatura non deve colorarsi troppo.

      Scolate le polpette, mettetele su un piatto coperto con qualche folgio di carta da cucina o da frittura, portate in tavola e dateci dentro.

      Le mie ricette - Contaminazione di pappa al pomodoro


      Chi, soprattutto fra gli attempati, non conosce la Pappa al Pomodoro ? Al di la del suo sdoganamento da parte di Rita Pavone nei panni di Gianburrasca, la pappa al pomodoro è uno dei piatti più rappresentativi della cucina toscana.

      Appartiene, come molti altri piatti della tradizione italiana, alla cosiddetta cucina povera, cioè a quella cucina fondata sul recupero delle "cose avanzate", alla faccia delle tante parole che oggi si spendono sul contrasto agli sprechi alimentari e che, appunto, restano spesso solo parole.

      Deriva demagogica a parte (chiedo perdono), e visto che ogni tanto fremo nel provare cose nuove, ho voluto tentare, appunto, una contaminazione della ricetta, aggiungendo al pomodoro e al pane un altro ingrediente tipico della realtà toscana: il cecio.

      Premetto che, come tutte le ricette semplici, la genuinità degli ingredienti è fondamentale, per cui qui non ci sarà spazio per dadi da brodo, pomodori e ceci in scatola e, visto che la ricetta oramai la sapete, direi neanche per il pane comprato, anche perché la ricetta vuole quello toscano sciapo, che al di fuori della Toscana, difficilmente si trova.


      Ingredienti (le quantità le lascio come esercizio...)
      1. Una confezione di ceci secchi
      2. Pane raffermo di qualche giorno
      3. Pomodori da sugo (San Marzano, a grappolo,...)
      4. Brodo vegetale (carota, cipolla, patata, sedano,...)
      5. Sale e pepe
      6. Olio extra-vergine di oliva
      7. Un paio di rametti di rosmarino
      8. Uno o due spicchi d'aglio
      9. Peperoncino (se vi piace)
      La ricetta non richiede dosi troppo precise, ma si fonda sull'armonia del tutto. Una vera ricetta olistica.

      Per prima cosa lessate i ceci, ricordandovi di metterli a mollo nell'acqua fredda la sera prima (senza aggiungere nulla, tanto meno il bicarbonato, che non serve a nulla), scolandoli la mattina successiva e mettendoli sul fuoco in abbondante acqua fredda, alla quale avrete aggiunto un po' di sale grosso.

      Tanto che i ceci vanno, preparate il brodo vegetale, che non dovrà essere troppo forte, visto che il suo ruolo è più che altro quello di "allungare" la pappa durante la cottura e non di dargli chissà quale sapore. Per tale motivo evitate le verdure dal sapore troppo deciso.

      Passiamo ai pomodori, che dovranno essere belli maturi. Per prima cosa li dovrete pelare, operazione che potrete fare "a freddo", usando un pelapatate, oppure a caldo, portando a bollore dell'acqua e buttandoci dentro i pomodori interi per tre minuti. Una volta scolati, vedrete che la buccia del pomodoro si toglierà con estrema facilità.

      Una volta pelati, tagliate i pomodori in grossi pezzi e passateli al passa pomodoro, in modo da raccogliere solamente la polpa. L'operazione è un po' lunga e noiosa, a meno di non avere il passa pomodoro elettrico, cosa che peraltro stimolerebbe la mia invidia nei vostri confronti, visto che a me ancora manca.

      Dopo aver passato i pomodori, rivolgete la vostra attenzione ai ceci, che stanno lì ad annoiarsi nella loro acqua di cottura. Prendetene un po’ e frullateli insieme al loro liquido di cottura, tenendo presente che, per la quantità, più o meno dovrete considerare 2/3 di pomodoro ed 1/3 di ceci passati. Non siate avari con il liquido di cottura, in modo da ottenere un crema di ceci piuttosto liquida.

      Ora passiamo al pane che, come da tradizione, dovrebbe essere di qualche giorno prima.

      Ovviamente, se non vi è avanzato, non disperatevi, dato che va benissimo anche il pane fresco. Dovrete invece essere molto fiscali per quanto riguarda la sua tipologia e qualità: pane rigorosamente sciapo e, preferibilmente, di tipo toscano, che ha una bella e soda mollica. Se non lo trovate, cosa che temo a meno che non viviate, appunto, in Toscana, fatevelo voi a casa, seguendo ad esempio la mia ricetta.

      Tagliate il pane a fette e mettete le fette in forno,a 220° per cinque minuti, in modo che possano leggermente tostarsi, ma senza colorirsi.

      Togliete le fette dal forno e, come quando vi fate la bruschetta, strofinate su ciascuna fetta l'aglio, in modo che questo possa trasferirle il sapore. In questo modo il sapore d'aglio si trasferirà poi alla pappa, evitando di far soffriggere l'aglio o di lasciarlo nella pappa durante la cottura, con il rischio che poi non lo ritrovate più e qualcuno, più sfortunato degli altri, se lo troverà in bocca.

      Tagliate le fette di pane in pezzi più piccoli, in modo che questi possano distribuirsi meglio nella casseruola.

      Bene, piano piano ci avviciniamo alla fine.

      Prendete una casseruola bella larga, metteteci 5 o 6 cucchiai di olio extra-vergine, i rametti di rosmarino, eventualmente il peperoncino e portate sul fuoco a fiamma bassa. Quando il rosmarino comincerà a scurirsi, toglietelo dall’olio ed aggiungete le fette di pane, il pomodoro ed i ceci passati e qualche mestolo di brodo in modo che il pane sia completamente coperto. Il peperoncino, se lo avete messo, lasciatelo dentro.

      Aggiungete anche un po’ di ceci interi, diciamo due o tre mestoli, regolate di sale e fate cuocere, senza coperchio, per circa un’ora.

      Durane la cottura, girate spesso, dato che il pane tende ad attaccarsi al fondo e, ogni volta che girate, cercate di rompere le fette di pane, in modo che queste a fine cottura risulteranno, appunto, una pappa. Se serve, aggiungete ogni tanto un po’ di brodo.

      Alla fine la pappa dovra risultare molto asciutta, con il pane completamente sbriciolato, come se il tutto fosse una sorta di semolino.

      Spegnete, togliete il peperoncino, se lo avevate messo, e fate intiepidire, se non addirittura freddare (la pappa al pomodoro è buona sia tiepida che fredda, sicuramente non bollente) e mettete nei piatti, avendo cura di aggiungere sul tutto, un bel giro di olio extra-vergine ed una macinata di pepe.

      Mangiatevela, ricordando con emozione i bei tempi di una volta e magari, in sottofondo, con la canzone di Rita Pavone.