27 aprile 2018

Spaghettoni scoglio e mare



I classici non muoiono mai, come ad esempio gli spaghetti allo scoglio, che se ben eseguiti - non come ripiego, con gli avanzi del pesce - sono un piatto che adoro, che non faccio spesso, ma che prendo spesso quando vado in un ristorante del quale mi fido.

Quando ho deciso di farli, per alcuni amici a cena, ho pensato che mancava qualcosa per completarli, qualcosa che richiamasse ancora di più il legame con il mare e, alla fine, ho pensato che questo legame fosse appunto il colore blu, che ho realizzato sfruttando le proprietà delle antocianine, molecole che compongo il succo del cavolo viola, che a seconda dell’aggiunta di elementi acidi o basici, cambiano colore.

Nel mio caso, quindi, ho corretto il succo del cavolo viola con una soluzione leggermente basica, fatta semplicemente con l’acqua corrente della mia zona, che ha un pH intorno all’8.0, alla quale ho aggiunto giusto una punta di bicarbonato di sodio, insapore e che spesso si usa in pasticceria, aumentando ancora il pH complessivo. Per i più curiosi, vi consiglio l’articolo del grande Dario Bressanini, che approfondisce l’argomento.

Per il resto, calamari, cozze e vongole, tutti cotti rigorosamente in bianco e rispettando i diversi tempi, in modo da non mortificarne le caratteristiche, e un croccante di pane, aggiunto solo al momento dell’impiattamento, che dona croccantezza al piatto.

Avrete notato che non ho menzionato gli scampi, sempre presenti in questa preparazione, cosa che è dipesa dal non averli usati, per il semplice motivo di non averli trovati freschi come avrei voluto.

Come formato di pasta, gli spaghettoni e, nello specifico, quelli monograno di Felicetti, uno dei pastifici che più apprezzo.

24 aprile 2018

Tartare di filetto, burrata di bufala, cavolo rosso e carciofo romanesco



La mia fortuna è che mia figlia adora il filetto - si, sono d’accordo con voi, mia figlia si tratta molto bene - cosa che mi permette, tutte le volte che lo prendo, di farmene dare un po’ di più, in modo da poterlo consumare crudo, cosa che a me, come oramai avrete capito, piace molto, che sia carne o pesce.

Il filetto, quindi, con il quale ho preparato una tartare decisamente semplice, avendola condita solo con olio extravergine di oliva, fior di sale, che con la sua grana media aggiunge anche un minimo di croccantezza, e un poco di pepe di Sichuan, più delicato rispetto al pepe tradizionale.

Ad accompagnare la carne, la burrata di bufala, dal sapore più deciso rispetto a quella più classica di latte vaccino, che a mio avviso ben si sposa con la carne cruda, creando un bel contrasto nei sapori.

Infine, come elementi croccanti e leggermente acidi, il cavolo rosso e il carciofo romanesco, anch’essi rigorosamente a crudo e conditi con olio extravergine di oliva, sale marino e, rispettivamente, qualche goccia di aceto di mele e di succo di limone.

Tutti qui, per un piatto molto veloce nella preparazione, che non richiede tecniche particolari e per il quale vi sarà sufficiente un coltello ben affilato e un tagliere.

19 aprile 2018

Coda alla vaccinara, sbagliata



Questa ricetta è dedicata al “Calendario della cucina romanesca”, un’iniziativa di Tavole Romane


Ovviamente, da romano che sono - non proprio da sette generazioni, ma ci vado vicino - non potevo non appassionarmi alla pregevole iniziativa di Tavole Romane, che celebra la meravigliosa, verace e popolare cucina della Città Eterna.

Dopo un bel po’ di tempo che non lo usavo - no, non c’è stato un motivo particolare - ho tirato nuovamente fuori il rivoluzionario sistema di cottura in vuoto di Tecla, denominato Alladin, del quale tempo fa ho parlato in questo post, e l’ho rimesso all’opera, questa volta profanando un classico della cucina romana, azione della quale chiedo anticipatamente venia.

La coda - ho usato quella di vitello, l’unica che sono riuscito a trovare - che ho prima passato in una sorta di marinatura fatta con senape forte, miele di castagno, olio extravergine, sale e pepe, e poi cotto per due ore, mantenendo la temperatura interna della vasca a circa 110°, temperatura controllata tramite un termometro a sonda, cosa che ha dato alla coda una consistenza che oserei definire perfetta, morbida, con le carni che si staccavano perfettamente dalle ossa e dalle cartilagini e con le parti grasse e fibrose tenere al punto giusto.

A fine cottura, ho poi ridotto i succhi rilasciati, fino a renderli densi, quasi cremosi, con i quali ho bagnato la coda in modo da non perdere nemmeno una stilla del suo sapore.

Poi, come da nome del piatto, ho aggiunto, ovviamente in forma diversa, altrimenti non avrei sbagliato, gli ingredienti tipici della coda alla vaccinara, a partire dal pomodoro, lentamente essiccato al forno e poi ridotto in una sorta di polvere grossolana e dal sapore concentrato, che ho poi aggiunto al momento dell’impiattamento.

Con il sedano, invece, ho preparato sorta di mousse, lavorata completamento a freddo, con l’aggiunta di un poco di aceto di mele e addensata usando la gomma di xantano - vi servirà una centrifuga per succhi o un estrattore - che dona una nota fresca e leggermente acida, che ben contrasta il sapore grasso della coda.

11 aprile 2018

Il risotto nasconde lo scorfano



Ricordatevi che il pesce crudo, prima di essere preparato e servito, deve essere abbattuto o congelato (il tempo di abbattimento dipende dalla temperatura e va dalle 9 ore a -40° fino alle 96 a -15°) in modo da eliminare il rischio di contaminazioni da parte di batteri e parassiti, tra i quali il più pericoloso è sicuramente l'Anisakis. Per quanto riguarda gli esercizi commerciali, punti vendita e ristoranti, esiste l'obbligo di informazione al consumatore, come stabilito dal Ministero della Salute.

Oggi una ricetta che abbina pesce, riso e zafferano, in particolare quello di Nepi, che ho potuto provare grazie alla benevolenza di Zafne, un consorzio che associa due fantastici produttori del viterbese, uno dei quali, l’Azienda Agricola Sansoni, che apprezzo particolarmente, visto che produce anche un’eccellente carne biologica.

      
        


Come pesce ho scelto lo scorfano, che a me piace particolarmente, dato il suo sapore deciso, del quale ho utilizzato tutte le parti, fedele alla regola di non sprecare mai nulla di ciò che consumiamo: con gli scarti ho fatto un brodo ristretto, poi utilizzato, insieme allo zafferano, per la cottura del riso; la polpa l’ho lavorata a crudo, preparandoci una tartare, condita solamente con olio extravergine di oliva, semi di coriandolo e sale marino, che ho poi messo sul fondo dei piatti, prima di unire il risotto, in modo, appunto, di nascondere lo scorfano e farlo rivelare solo al momento dell’assaggio; la pelle, infine, l’ho essiccata in forno, in modo da renderla ben croccate, e poi usata come elemento di guarnizione dei piatti, una guarnizione che può ovviamente essere sgranocchiata.

Il riso - ho utilizzato la varietà Carnaroli di Riso Acquerello - l'ho tostato a secco, senza quindi utilizzare grassi, né tantomeno sfumato con il vino, e portato poi a cottura utilizzando il bordo di scorfano allo zafferano.

La mantecatura, infine, l'ho fatta con olio extravergine, fatto solidificare in freezer, in modo da accentuare lo shock termico al momento della mantecatura, cosa che facilita l’azione della componente grassa.

6 aprile 2018

Orecchiette con bieta e finto pomodoro



Da quando mi sono regalato l’estrattore per succhi, peraltro preso a un prezzo fantastico durante il Black Friday, continuo a dedicarmi a sperimentazioni, estraendo succhi da qualsiasi cosa e poi usandoli nelle più svariate preparazioni, fugando il dubbio di chi avesse ingenuamente pensato che consumassi i succhi al naturale, perseguendo un’alimentazione salutare.

Questa volta ho utilizzato la bieta rossa, della quale ho utilizzato le foglie, cuocendole insieme alla pasta, mentre dai gambi ho estratto il loro succo rosso intenso, che ho poi usato in mantecatura, ottenendo l’effetto della presenza del pomodoro, da cui il nome del piatto.

Tutto qui, se si eccettua la classica presenza del parmigiano, per un piatto velocissimo e facile nella preparazione, che ovviamente richiede però la disponibilità di un estrattore o, come seconda scelta, di una centrifuga, che qui vedo meno adatta, data la struttura dei gambi della bieta.

Come formato di pasta, infine, ho scelto le orecchiette, venendo incontro al desiderio di mia moglie, che ama questo formato.