20 giugno 2012

Umbilicus Domus



La cucina. Ventre materno. Attrattore gravitazionale delle traiettorie casalinghe. Brodo primordiale della vita familiare. Se la casa è il Sé, allora la cucina è l'Io.

Se l'Umbilicus Urbe è il centro di Roma, la cucina è chiaramente l'Umbilicus Domus.

E dato che la leggenda ci narra che il prospiciente Lapis Niger possa essere la tomba di Romolo, io, molto più modestamente, chiederò di essere tumulato prospicentemente alla mia cucina, anzi sotto di essa, dotata di un bel pavimento in pietra lavica azzurra, cosicché, in un futuro remoto, possa la leggenda narrare di analoga ed altrettanto nobile sepoltura sotto il Lapis Caelestis.

Perché la cucina, come stanza, trascende ampiamente i banali principi architettonici del costruire; supera d’un balzo le piatte ed omologate regole dell’arredamento d’interni; umilia, peraltro senza alcun rimorso, le prevalenza dell’apparire sull’essere.

La cucina è il luogo. Tutte le altre stanze sono spazi.

Quando vi viene a trovare un amico caro, dove ci scambiate quattro chiacchiere sorseggiando un caffé ? In cucina, I suppose ? Molto più intimo e meno freddo del salotto, seduti sul divano di pora nonna.

Dove prende inizio la vostra giornata, con le caccole agli occhi, il pigiamino di Oviesse e la bocca che emana quel simpatico afrore di cibo mal digerito e barriccato nel vostro stomaco per l’intera notte ? Ma in cucina, che diamine ! Non certo sul tavolo delle grandi occasioni, che se ne sta tronfio nel vostro salotto.

In cucina ci si sta. Nelle altre stanze ci si passa.

Ci sarà pur stato un motivo, se le nostre nonne tenevano i salotti perennemente chiusi, con il cellophane sui divani, no ?

Citiamo spesso i nostri avi in merito alla loro saggezza, al vivere la vita secondo principi e valori che oggi non ci sono più (per non parlare delle stagioni) e poi dimentichiamo che, nell’antichità, la vita si svolgeva in cucina ?

La cucina è custode della memoria. Le altre stanza sono custodi di cose.  

I quadri della nonna, dopo un po’, se ne vanno soli soletti in cantina; il divano della mamma, a lungo andare, viene spodestato da quello dove ci ha posato il culo la Ferilli; il tappeto orientale, che giace in salotto da anni, si autoarrotola grazie agli acari che lo vivono, e si esilia nel classico spazio tra armadio e muro (alzi la mano chi in casa non ha almeno uno spazio-tra-armadio-e-muro).

Il pentolame no, non si butta. Si stratifica a futura archeologica memoria; si rintana nell’angoliera della cucina, si nasconde nel più profondo dei cassetti, ma non si butta. Mai.

Voglio che la mia cucina sia la culla dell'umanità, ne sia la storia. Semmai un giorno mi citofonassero gli alieni, io farei salire i simpatici ometti verdi e gli mostrerei la mia cucina, e tutte le cose in essa celate, a testimonianza della nostra millenaria esistenza e del progresso che l'ha accompagnata.

E quando i discendenti di E.T, scambiandosi uno sguardo complice e, dando prova di perfetta conoscenza semiotica, si picchettassero la tempia con il dito indice leggermente piegato, io risponderei, fiero e tronfio, "non capite un cazzo" e li accompagnerei gentilmente alla porta.

Che soddisfazione ! Altro che quella minchiata del Voyager Golden Record, che nessun marziano mai leggerà. Io sono colui che svelerà l'essenza dell'umana stirpe !

Eh già, perché io nella mia cucina ho di tutto, di tutte le fogge e di tutte le epoche: da esemplari in bronzo, credo di epoca neolitica, di pela-verdura, fino a ciotoline di chiara origine etrusca, dove immagino, un tempo, i nostri vicini della Tuscia servissero fraga et cremor.

Come ci sono finiti, non lo so. Secondo me sono sempre stati lì e la casa è stata costruita intorno ad essi.

Ovviamente mai li uso e mai li userò. Però stanno lì, rassicuranti, quasi a dirmi "amico, puoi sempre contare su di noi. Se un giorno ci sarà l'apocalisse nucleare, ed ogni forma di energia sparisse, noi saremo al tuo fianco, in modo che, anche nel periodo più buio dell'umanità, quando tristezza e desolazione saranno le tue uniche compagne, tu potrai sempre prepararti una macedonia, fosforescente si, ma pur sempre una macedonia".

Se non ricordo male, credo che la filosofia abbia creato lo Yin e lo Yang come conseguenza di un'attenta osservazione della cucina, altro che quella strampalata ipotesi dell'osservazione del giorno che si trasforma in notte e viceversa. Quanta banalità in questa teoria.

Cucina e pentolame. Yin e Yang. Ontico e ontologico. Il tutto per la parte, la parte per il tutto.

Ah, quanto sarebbe avanti la filosofia se avesse guardato nella direzione giusta !

Avete ancora qualche dubbio ? Sentite che qualcosa si agita nella vostra mente, ma temete che sia la vostra coscienza che vi suggerisce di consigliarmi un buon analista ?

Pavidi. E' tutto scritto. Da tempo. Voi guardate ma non vedete.

Anche il linguaggio ce lo conferma: la cucina è l'unico luogo che si fregia di un nome sintomatico di ciò che in essa si fa. In cucina si cucina, ma in salotto non si salotta, né in camera da letto ci si letta.

Qualche ingenuo potrà pensare che nello studio si studia, quando in realtà ci si scrivono minchiate come quella che state leggendo, e che in bagno ci si bagna, quando invece, è risaputo, ci si compila la settimana enigmistica.

Rimane solo un ultimo mistero da svelare, complesso a tal punto da meritare una trattazione separata, che sta alla cucina come il sarcofago del faraone sta alla piramide che lo contiene: il frigorifero.

Ne parleremo quando saremo emotivamente pronti. Perché è sul frigorifero, o meglio sul suo contenuto e sul modo di disporlo, che si sono sviluppati i più grandi conflitti che l'umanità abbia mai vissuto.

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