17 ottobre 2012

Luci, ombre e mezzitoni: cronaca di una serata ad Eataly


Eh si, alla fine ho ceduto. Il canto delle Sirene del marketing ha avuto la meglio sulla tenuta delle corde che mi tenevano legato al palo della non omologazione.

Messo quindi da parte un certo snobismo, del quale non è che vada particolarmente fiero e che mi faceva vedere con sospetto ad iniziative di questo genere, ho ceduto alle pressioni di mia moglie, l'ho caricata in macchina, insieme alla figlia, e mi sono tuffato nell'avventura (il figlio grande, naturalmente, nemmeno ho provato a convincerlo).

Ovviamente la precondizione che ho messo sul tavolo è stato un uso smodato della carta di credito, senza limitazioni e senza, soprattutto, frasi del tipo "ma che ci fai, ne avrai già dieci uguali !".

Superata con successo la negoziazione familiare ed il tragitto, sono arrivato e quella che segue sarà, allora, una cronaca spensierata delle tre ore che ho passato in una splendida operazione di marketing, ma non solo, perché fortunatamente, a volte, i nostri preconcetti vengono in parte smentiti dalla realtà dei fatti.

Prima di proseguire con uno spensierato resoconto, anticipo un giudizio sui prezzi, più bassi di quanto mi sarei aspettato e, in generale, assolutamente confrontabili con quanto si trova altrove, per prodotti della stessa categoria. Non ho fatica ad ammettere che la cosa mi ha sorpreso, avendo erroneamente presagito prezzi da boutique di lusso.

L’arrivo

Tragitto piacevole, con annesso attraversamento della Città Eterna, stranamente poco trafficata – erano le 18 di sabato 6 ottobre, giornate della Notte dei Musei, per cui la gente stava probabilmente ancora affilando le armi in previsione di buttarsi nella mischia – e nessuna difficoltà di parcheggio, grazie all’ampia disponibilità, a pagamento, con la prima ora gratutita, proprio a fianco di Eataly.

Dal parcheggio all’ingresso monumentale

Pochi passi, giusto per ammirare i carrelli multicolore, un po’ fighetti, ma decisamente più accattivanti di quelli dei supermercati, e con quella crescente eccitazione, assolutamente puerile, che ti prende quando ti avvicini a qualcosa che non conosci, per la quale fai mille congetture, ansioso di verderle confermate o smentite.

L’entrata

Forse un po’ angusta, soprattutto se confrontata con la maestosità del tutto.

Si entra direttamente dietro alle case – non molte, mi sembra tre o quattro -  esattamente come  in un supermercato.

C’è il solito muscoloso vigilante, che ti indirizza con decisione verso il percorso da seguire, manco dovessimo fare il check-in all’aereoporto e, finalmente, ti puoi tuffare nelle bellurie – ma anche in qualche brutturia – del compro-cose-che-nemmeno-so-cosa-ci-farò.

Il colpo d’occhio è molto da megastore dell’elettronica, con le scale mobili centrali che ti portano ai vari piani ed una struttura molto tecnologica, tra le quali spiccano tutti i laboratori/cucine a vista. C’è a chi piace e a chi no, per cui non mi esprimo, anche perché il valore, almeno per me, sta in ciò che il megastore vende e non al come lo vende.

L’esplorazione

Visto che la mia mente, superati i cinquanta, perde qualche colpo, per cui  ad una decina di giorni di distanza, non è che mi ricordi la planimetria completa di Eataly, e non sono quindi in grado di riportare con precisione cosa c’è ad ogni piano ed in quale posizione, procederò in modo un po’ disordinato, collocando luci, ombre e mezzitoni così come mi ritornano in mente.

Si parte dal piano terra, dal lato sinistro rispetto all’entrata, dove ci sono le dolcezze, con buona pace degli iperglicemici, a partire dalla cioccolata, con il solito assortimento di cioccolatini, dove ho lasciato quasi venti euri per un sacchetto assortito, che portato a casa è durato pochi giorni. Buoni, ma nulla che non si trovi altrove.

Sempre in tema glicemia, un bell’assortimento di mieli, di vari produttori, due barattoli dei quali me li sono accattati e li ho usati per questa ricetta e per quest’altra.

Poi marmellate varie, con etichette accattivanti, e forse un po' furbe, dolcetti ed altre amenità varie. Comprendo il lamento di mia moglie, che non ha trovato, tra frutti di ogni tipo e provenienza, una marmellata di visciole. Inspiegabile.

Infine, ma solo perché non ho esplorato altro, la pasticceria, con laboratorio a vista, molto bello, dove abbiamo assaggiato un cannolo siciliano fantastico, un classico maritozzo con la panna, niente di che, ed una porzione di torta pere e cioccolato, anch’essa niente di che.

Abbiamo anche preso un paio di bottiglie di yoghurt bio-natural-senza-nulla-aggiunto, che dalle smorfie prodotte da mia figlia quando li ha assaggiati, non mi sembrano sia tutto ‘sto granchè.

Giudizio sul settore glicemia: mezzotono.

Terminato il nostro contributo all’aumento degli zuccheri corporei, siamo saliti al primo piano, sempre dal lato sinistro, dove c’è un ristorante che offre pizza e pasta, molto affollato, per cui siamo bellamente passati oltre, ma che, buttando un occhio, mi ha colpito per le porzioni molto abbondanti.

Sempre da quelle parti, c’è la postazione piadine e quella dei panini, sulle quali non esprimo giudizio, visto che le abbiamo solo guardate da lontano.

Ci siamo poi trastullati tra i salati, girovagando tra legumi, farine, riso, pasta, conserve, oli e aceti.

Un discreto assortimento, dove ho preso un pacco di riso, qualche pacco di pasta di gragnano, in particolare quello del pastificio Afeltra, che come forse alcuni sapranno è partecipata da Oscar Farinetti, patron di Eataly, cosa che gli consente di vendere la sua pasta a prezzi assolutamente concorrenziali.

Ho preso anche un paio di pacchi di farina, ma solo perché me la sono trovata davanti. Ci ho fatto il pane ed è venuto buono come normalmente viene quando uso farine prese in altri negozi (sto parlando non di farine da grande distribuzione, ma di quelle prodotte da mulini meno industriali).

Restando in tema, ho allegramente saltato il reparto panetteria, dato che oramai mi sono dedicato alla panificazione casalinga.

Curiosando tra gli aceti balsamici, ho avuto la sorpresa, negativa, di trovarci anche quelli da supermercato, il cui costo dovrebbe far venire qualche dubbio sulla loro qualità, ma anche qualcosa di più artigianale, come quello invecchiato 3 anni che mi sono portato a casa al costo di 12 euro (la mia posizione sul balsamico dovreste conoscerla, per cui ritengo la spesa assolutamente giustificata).

Sull’olio ho glissato, anche perché ho la fortuna di avere qualche amico che lo produce, olio umbro e della Sabina, dai quali oramai mi servo da molti anni. Sospendo quindi ogni giudizio.

A coronamento della visita in questo settore, mi sono accattato una busta di fagioli del Fortore, che ho poi usato in questa ricetta.

Giudizio sul settore salati: mezzotono, con qualche luce.

Abbiamo poi continuato la scalata, salendo al secondo piano, dove ci sono i vini – discreto assortimento, con qualche etichetta interessante, a prezzi assolutamente in linea con quelli che trovo nella mia enoteca di fiducia - Enoteca Rocchi in via Animuccia, zona Piazza Vescovio – certo, non nelle quantità e nelle varietà di una enoteca specializzata.

Molto bello il settore birre artigianali, con prezzi allineati al mercato ed un assortimento di primissimo livello, con etichette che non conoscevo e mi hanno colpito. Non faccio fatica ad ammettere che, altrove, non ho ancora trovato un assortimento del genere.

Giudizio sul settore vino e birre: luce.

Ci siamo poi spostati nell’ala destra, dove, sempre al secondo piano, c’è una bella isola gastronomica, con i banchi della carne, del pesce, della mozzarella di bufala e dei salumi e formaggi.

Qui qualche sorpresa, sia in positivo che in negativo.

Bellissimo il banco del pesce, con un assortimento difficilmente riscontrabile altrove, soprattutto nel settore crostacei, dove trovate praticamente tutto ciò che il mare ci offre. I prezzi sono alti, ma secondo me giustificati dalla qualità.

Ci siamo soffermati nelle vicinanze e ci siamo fatti tentare da un aperitivo a base di prosecco, due calici, con un piatto di ostriche ed un carpaccio di ricciola, il tutto a 17 euro, prezzo più che adeguato alla qualità e alla freschezza del pesce.

Giudizio sul settore pesce: luce, forte e intensa.

Molto bello anche il settore salumi e formaggi, sia nazionali che stranieri, con prevalenza di quelli francesi, e dove ho preso un formaggio alla birra, il Baladin, usato poi in questa ricetta.

Qualche salume e qualche formaggio l'ho poi assaggiato a cena, ma di questo ne parlerò più avanti.

Giudizio sul settore salumi e formaggi: luce.

La zona dedicata alla mozzarella di bufala, dell’azienda casertana di Roberto Battaglia, è a vista, con una produzione in loco e a vista.

All'assaggio, però, mi ha deluso, per una sorta di mancanza di nerbo, nel sapore e nella consistenza.

In definitiva, nemmeno lontanamente paragonabile a quella del caseificio La Baronia, mio spacciatore preferito. Ma qui, mi rendo conto, è in parte anche una questione di gusti.

Giudizio sul settore mozzarella: ombra.

Il banco carni, interamente dedicato all’azienda La Granda, non mi è piaciuto: netta prevalenza di piatti pronti da cuocere rispetto ai tagli, con in più lo sconcertante uso di luci rosse, abilmente nascoste sotto il ripiano superiore del banco, per dare un colore più rosso alla carne. Decisamente una caduta di stile.

Sempre relativamente alla carne, accanto al banco del fresco, c’è tutta un’area dedicati a piatti precotti e imbustati, che mi ha lasciato un po’ perplesso, con un’aria più da “Quattro salti in padella” della Findus che da tempio del gusto.

Giudizio sul settore carni: ombra, cupa (per colpa delle luci rosse).

Rimanendo in zona, praticamente al centro dei settori appena descritti, c'è un area dove si può mangiare, ordinando piatti e bevande delle diverse zone che la circondano.

I tavoli sono alti, con sgabelli tipici da American Bar, più adatti a due persone che a famiglie più numerose. Belli esteticamente, ma decisamente poco comodi e funzionali.

Noi abbiamo preso un piatto di salumi e formaggi, dove i salumi erano fantastici ed i formaggi nella norna; un piatto con mozzarella e verdure, niente di che; un fritto di pesce, decisamente sottotono, soprattutto per un olio di frittura, probabilmente non cambiato da troppo tempo, che ha mortificato l’intero piatto. Molto buono il pane e deliziosa la birra artigianale; me ne sfugge il nome, ma era veramente notevole.

Il tutto a circa 50 euro, forse un pelino caro, ma niente di scandaloso.

Giudizio sulla cena: mezzotono in media, con luce intensa per i salumi e ombra per il fritto.

Parzialmente sazi, ma anche un po’ delusi, e soprattutto stanchi, abbiamo deciso di saltare a pie’ pari l’ultimo piano, dove c’è il ristorante Italia, considerato il miglior ristorante di Eataly, anche se qualche critica velenosa non è mancata, ed abbiamo quindi cominciato la discesa, percorrendo l’ala sinistra, dove al piano inferiore a quello dove abbiamo mangiato, c’è l’area della frutta e della verdura, che non è nulla di che, dato che ci si trova ciò che normalmente si trova in un qualsiasi mercatino rionale.

Sinceramente mi aspettavo di più, ad esempio le patate sono quelle che si trovano ovunque, mentre mi sare aspettato qualcosa di più particolare, che so, ad esempio la patata di Avezzano, la patata blu, che si comincia a trovare anche nei supermercati, e la patata viola del Perù.

L’unico guizzo di creatività, si fa per dire, è un carellino che vende futta secca al peso, carino e dove ho fatto rifornimento di pinoli.

Giudizio sul settore frutta e verdura: mezzotono.

Scendendo ancora, tornando quindi al piano terra, c’è il settore dei prodotti di bellezza e per il corpo, che potete immaginare quanta curiosità possano avere in me suscitato, mentre moglie e figlia ne sono stati attratti come calamite.

Io, nel frattempo, mi sono trastullato nel reparto più tecnologico, quello dell’utensileria da cucina che, però, si è rivelato una delusione, almeno se confrontato con il negozio dove io spendo il mio tempo e, cosa ancora più grave, i mie soldi: Professione Cucina.

La delusione, forte, è dovuta alla furbizia del reparto, peraltro non troppo esteso, che strizza un occhio a ciò che va di moda, tralasciando tutto ciò che rappresenta, per così dire, l’attrezzatura del mestiere, quella utile.

Quindi, grosso spazio alle impastatrici orbitali, che oramai tutti vogliono avere, con due scaffali pieni di tutti i modelli della Kenwood e della Kitchen Aid, peraltro a prezzi decisamenti alti, ampiamente maggiori di quelli che si trovano online.

Poi coltelli, soprattutto in ceramica, ultimo grido del cucinare, pentole e padelle, più fighette che pratiche, altri utensili più belli che funzionali, stampi rigorosamente in silicone.

Totale assenza di stampi in alluminio, di pentole professionali, come quelle di Baldassarre Agnelli, di utensili realmente utili, ma probabilmente poco costosi, quindi poco interessanti da vendere.

In definitiva, ma solo per placare la mia esigenza da shopping compulsivo, che si era manifestata al momento di partire da casa e che era progressivamente aumentata durante il tragitto, mi sono preso qualche mini teglia da dolci, che ho poi usato, devo ammetterlo, con molta soddisfazione, ad esempio per questa ricetta e per quest’altra.

Resta comunque la sensazione che si poteva fare decisamente di più.

Giudizio sul settore utensileria da cucina: ombra.

Non c’è molto altro da dire. Rapido passaggio in cassa con il carrellino multicolore bello pieno; pagamento, con annesso, ed ampiamente previsto, commento della moglie sull’inutilità delle cose comprate e ritorno al parcheggio.

Le conclusioni ? Variegate, come il gelato. Meno peggio di come mi sarei aspettato, soprattutto dopo aver sentito e letto molto sull’argomento, potendo anche dire, a posteriori, che forse molto di quanto letto e sentito era dovuto ad atteggiamenti preconcetti e, forse, anche all’invidia da parte di alcuni operatori del settore sul successo imprenditoriale dell'iniziativa - perché tutto si può dire tranne che l’operazione non sia un successo commerciale.

Ci tornerò ? Direi di no. Se devo comprare qualcosa di particolare, posso farlo dai miei fornitori abituali, facendo meno chilometri e, forse, spendendo anche di meno.

Lo consiglierei ? Direi di si, almeno per una volta vale la pena andarci, senza particolari aspettative, ma con la mente scevra da ogni pregiudizio.

Fine della storia.

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